Prima di entrare nel merito di questa breve riflessione sui risultati elettorali (in parte già avviata nell’editoriale di questo numero del giornale) vorremmo fare due semplici premesse.
La prima è che il risultato elettorale rappresenta comunque, anche se in modo deformato, la situazione dei rapporti di forza tra le classi sociali. Deformato poiché condizionato da mille situazioni e dinamiche che non permettono l’espressione di un rapporto “razionale”, chiamiamolo così, tra la situazione nella quale si trovano gli elettori e l’espressione a livello di voto di questa loro situazione.
Una contraddizione che gran parte dei salariati risolve, semplicemente, non andando a votare, sempre più cosciente che quel tipo di “rappresentanza” non rappresenta né lui come singolo soggetto, né la comunità alla quale esso appartiene. Deformato, ma, come detto, pur sempre vero nei suoi aspetti e nei le linee di fondo dei rapporti di potere.
Una seconda considerazione riguarda l’espressione del voto. È consuetudine, da sempre potremmo dire, che i partiti salvino le apparenze facendo riferimento, in sede di bilancio di una votazione, i risultati che permettono loro di uscirne meglio (o meno peggio), raffrontandoli a tornate elettorali precedenti, pure scelte con la stessa logica. Nel caso del Ticino, vista l’importanza del voto personale (per il Consiglio di Stato, ma anche per il Gran Consiglio, per quest’ultimo spesso decisivo), tendono a ragionare in termini di voti (cioè suffragi personali sommati) e in termini di percentuali. Così, ad esempio, una diminuzione della partecipazione (che di per sé è segno di perdita di influenza e di consenso per i partiti che partecipano alle elezioni) permette di “salvarsi” in termini percentuali.
Per questa ragione, a conclusione di questa seconda premessa e come abbiamo già detto a più riprese anche in altri interventi, il metro più corretto e realistico per valutare l’espressione del consenso o del dissenso politico degli elettori e delle elettrici è di utilizzare i voti di lista (cioè quelli dati direttamente la partito o ai partiti formanti un’unica lista) e confrontarlo con quello di 4 o 8 anni prima. Ed è così che noi faremo.
Una sconfitta dei partiti di governo
I dati del Gran Consiglio sono chiari. Come abbiamo già indicato altrove i quattro partiti presenti in governo (Lega, PLRT, PPD, PS) hanno ottenuto, complessivamente, circa 13’000 schede in meno rispetto a quelle ottenute nel 2015: un cifra importantissima, ancor più significativa se si vanno a vedere i singoli partiti. La Lega, ad esempio, ha perso praticamente un quarto dei voti: infatti le 6’558 schede perse corrispondono 23,8% di quelle ottenute quattro anni prima. Lo stesso vale per il PPD e il PLRT (circa il 10%), minore quella del PS con circa il 7%.
Tutto questo ci dice che il governo esce malridotto da questa consultazione e quelli che cerca di vantare come dei “successi”, a cominciare dal cosiddetto “risanamento delle finanze cantonali” non è percepito come tale dalla popolazione. La quale, giustamente, ha una percezione molto diversa della situazione sociale, della crisi reddituale, occupazionale, sociale nella quale vive che, sicuramente, non corrisponde a quella della classe politica.
Sono queste scelte fondamentali (declinate nelle scelte di politica fiscale, sociale, formativa, sanitaria) che hanno incontrato il disappunto della popolazione; e poco serve prendersela con l’MPS e il fatto che con la sua campagna su rimborsi spese e trattamento pensionistico abbia messo in cattiva luce l’esecutivo. Caso mai, con la sue campagne su temi come la politica ospedaliera o la lotta al dumping, l’MPS ha mostrato quali fossero gli interesse che il governo difende.
Il “successo” delle forze di opposizione
Non vi sono dubbi, dati alla mano, che sono stati i partiti di opposizione a ottenere in migliori risultati.
L’UDC è infatti l’unico partito di destra che progredisce (seppur di poco: 600 schede).
Dall’altra parte progrediscono i Verdi (anche qui di poco: circa 600 schede) e, soprattutto, le forze che in qualche modo rappresentano l’opposizione sociale e temi che caratterizzano questa opposizione (come quello di genere, ad esempio): pensiamo prima di tutto alla lista MPS-POP, così come alla lista del PC e alla lista Più Donne. Vorremmo aggiungere che anche il risultato dei Verdi; non vi sono dubbi che senza lo sviluppo delle mobilitazioni sociali sul clima il loro risultato sarebbe stato (e anche molto) negativo.
Anche qui, val la pena fare qualche distinguo per mostrare come la realtà appaia diversa a seconda del punto di vista che si adotta.
Non vi sono dubbi che la lista MPS/POP e quella del PC abbiano totalizzato, assieme, il maggiore balzo in avanti. Queste tre liste (con una configurazione diversa) avevano ottenuto, nel 2015, 1’863 schede; questa volta si è arrivati complessivamente a 3’596 schede, praticamente il doppio! In termini di seggi si è passati da 2 a 5. Ed è su questo che, ad esempio, i giornali hanno messo l’accento. Ma per indicare come questa prospettiva sia tutto sommato ingannevole, basterebbe ricordare che sarebbe stato sufficiente che la lista MPS/POP e quella del PC ottenessero poco più di un centinaio di schede in meno a testo e avremmo avuto solo 2 seggi invece di 5 (2 per la lista MPS-POP e nessuno al PC). Li vediamo già i commentatori del Corrierone teorizzare che “la sinistra radicale marcia sul posto”: e questo anche se in termini di schede avremmo comunque ottenuto un eccellente risultato.
Avanti sul terreno sociale
Alla luce delle premesse che abbiamo fatto e delle considerazioni sui risultati, appare evidente come l’epicentro della nostra azione debba essere il terreno sociale. La nostra maggior voce nelle istituzione deve servirci a far conoscere meglio le nostre proposte, le lotte sociali alle quali partecipiamo, le nostre critiche ad un capitalismo sempre più distruttivo della vita sociale e ambientale.