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Per l’occasione delle recenti primarie del Pd, l’uno Renzi si è fatto trino dissolvendosi in tre candidati. Il neoeletto segretario, Zingaretti, col 66% dei consensi, vanta una carriera nell’apparato di partito vecchio (Pci-Pds) e nuovo. Ha vinto tre elezioni amministrative. È stato un supporter delle riforme renziane, ma si è proposto come candidato ufficialmente anti renziano, affiancato però del gruppo di punta del governo Renzi e Gentiloni. Si è confrontato con un candidato dichiaratamente renziano che ha raccolto il 12% e col vicepresidente al tempo di Renzi, un po’ renziano e un po’ no, che ha ottenuto il 22%.

La nuova segreteria del Pd non promette alcuna svolta a sinistra sugli elementi centrali dei grandi temi economici e sociali e continuerà a darsi come orizzonte il liberismo economico e sociale. Col passato recente la distanza è nei toni più che nel merito. La discontinuità con Renzi riguarda due punti: il dialogo coi sindacati e la proposta di un ritorno allo spirito originario del centrosinistra sostituendo l’antiberlusconismo, che negli anni della Seconda repubblica fu il collante dello schieramento d’opposizione, con l’antisalvinismo, unitamente alla descrizione sprezzante dei Cinquestelle e dei suoi elettori come una massa di incapaci e idioti, convinti che molti ritorneranno alla casa Pd dopo la breve scappatella movimentista.

Pur condividendo il giudizio negativo sulla linea politica del governo Lega-Cinquestelle, nonché la necessità di mettere in piedi un largo movimento di opposizione, non si deve dimenticare che le condizioni per l’affermazione di questa destra reazionaria sono state poste con il contributo fondamentale del Pd. Le politiche di austerità e le riforme strutturali dopo la crisi del 2008 sono state approvate in larga parte dai governi del Pd, che ha continuato l’opera di Berlusconi, con aggiunte peggiorative per quanto concerne le condizioni di vita delle classi lavoratrici.

Rimuovere la sconfitta subita alle elezioni del 4 marzo dell’anno scorso, come si fa con un brutto sogno, sperando che tutto torni com’era prima può consolare, ma è un errore. Il Pd non sarà credibile se continuerà a presentarsi come sinistra del neoliberismo perché essere di sinistra significa contrastarlo, non assecondarlo introducendo misure come il job act, la buona scuola e tutta la serie di “riforme” che hanno costellato la storia del Pd, dal 1991 in poi.

Il Pd ha pagato un caro prezzo per le sue scelte, ha perso egemonia e consensi, tuttavia esiste ancora, mentre la sinistra è dal 2008 che prova a riscattarsi, senza riuscirci, prigioniera del destino che sembra condannarla ad esistere elettoralmente solo come componente in alleanza col centrosinistra. L’attrazione del buon vecchio tempo del centrosinistra rischia di avere alcune possibilità di successo, date le difficoltà in cui versa la sinistra, o ciò che di essa rimane. Il Pd può rappresentare una alternativa all’attuale governo? Ci sono, e sono in crescita, quelli che a sinistra nutrono questa speranza (o illusione), disposti a dimenticare gli errori passati del Pd a patto che non li ripeta. Sinistra italiana, da esempio, è nel pieno di questo dilemma. Governa con Zingaretti nel Lazio e in coalizione con il Pd in molte altre importanti Regioni, in Piemonte, alle prossime elezioni regionali sosterrà la candidatura del governatore Chiamparino, su un programma pro-Tav e di difesa degli interessi capitalistici, mentre alle elezioni europee, che si terranno lo stesso giorno, parteciperà a una coalizione unitaria con altre forze di sinistra, separata dal Pd. Le elezioni non risolveranno i problemi della sinistra radicale: il confronto in quest’area deve proseguire, non riproporsi solo in occasione delle elezioni, come solitamente è accaduto.