La Luxury Goods International (LGI), che le autorità ci hanno descritto per anni come una “solida realtà” ben ancorata in Ticino, in “realtà” è solo una scatola vuota. Ora, grazie all’accordo raggiunto dal gruppo del lusso Kering per chiudere il contenzioso con il fisco italiano, ne abbiamo la prova certa. Resta da capire se il gruppo in Ticino ha beneficiato di appoggi che gli hanno permesso di far figurare attività mai svolte nel nostro cantone. A seguito di questa vicenda è necessario anche rivedere le valutazioni fornite finora sul potenziale di crescita e gli sbocchi professionali in Ticino offerti dal settore Moda.
Nel comunicato che annuncia l’intesa con l’Agenzia delle entrate italiane, Kering riconosce di aver creato una “stabile organizzazione occulta” in Italia tramite la LGI. Questo significa che le attività di commercializzazione venivano svolte in Italia e non in Ticino. Secondo diverse inchieste giornalistiche, il gruppo ha fatto figurare come dipendenti della LGI 22 alti quadri, che in realtà non hanno mai lavorato nel nostro cantone, solo per giustificare le attività della LGI. Anche l’attuale CEO di Gucci, Marco Bizzarri, e l’ex Ceo, Patrizio di Marco, figuravano come residenti nel nostro cantone e avrebbero ottenuto la tassazione secondo il dispendio. I due hanno richiesto il permesso B lo stesso giorno e avevano il loro “domicilio” nella stessa residenza di Paradiso. Eppure nemmeno questa “strana coincidenza” sembra aver risvegliato l’interesse delle autorità preposte ai controlli. A quanto pare non ci sono mai state verifiche né al loro domicilio né all’ipotetico posto di lavoro.
L’MPS ha segnalato il caso al Procuratore pubblico e chiesto l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta per fare chiarezza e capire se vi siano state eventuali connivenze in seno alle amministrazioni cantonale o comunali. Anche per quanto riguarda i casi di abusi sul lavoro, già denunciati nel 2014 e di nuovo pochi mesi fa, ci si chiede se siano stati effettuati tutti i controlli.
La LGI non è un caso unico: ricordiamo che anche Armani ha già lasciato il Ticino dopo aver raggiunto un accordo con il fisco italiano e che il marchio di calzature Ishikawa, con sede a Lugano, è stato sequestrato l’anno scorso dalle autorità italiane. Quanto agli abusi alla Philipp Plein, non si sa come sia stato risolto il caso.
Bisogna inoltre fare chiarezza sulle cifre che riguardano il settore Moda e sugli studi che il cantone ha commissionato per determinare le scelte per lo sviluppo economico. Recentemente anche Bak Economics ha ridimensionato il peso di questo settore: “La sua quota sul valore aggiunto nominale totale dell’economia ticinese è pari all’1% circa”, ha detto in un’intervista il presidente della direzione. Come è possibile che, appena qualche anno fa, questo settore sia stato definito in diversi studi “promettente” e che il cantone abbia deciso di farne uno dei quattro settori su cui puntare in futuro?
Quanto ai grandi gruppi di logistica che si sono insediati in Ticino, essi non hanno alcuna interazione con le imprese presenti sul territorio, stando a uno studio dell’Osservatorio delle sviluppo territoriale. Eppure per ben due volte il Ticino ha presentato una candidatura per diventare un’antenna del Parco nazionale dell’innovazione sul tema “Moda e Logistica” (bocciata entrambe le volte), anche se il potenziale di innovazione era stato giudicato scarso dallo studio del 2014 del Bak Basel.
Ma, soprattutto, è necessario sapere quali siano i reali sbocchi che offre il settore moda in vista della realizzazione della scuola di Moda di Chiasso. Far lievitare il dato relativo al numero di aziende e dei posti di lavoro semplicemente includendo nel conteggio anche la fabbricazione di orologi, occhiali, la raffinazione di metalli preziosi e altro non serve a garantire un lavoro ai futuri laureati. Ci vogliono dati reali sui posti di lavoro, il tipo di professioni e le retribuzioni offerte dal settore.
C’è da sperare che almeno stavolta si metta da parte la difesa aprioristica degli interessi di pochi per fare piena luce e per evitare così di costruire il futuro economico del cantone sulle sabbie mobili.