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Questa riforma fiscale è stata costruita sulle rovine della precedente bocciata nel 2017. Perché non vi bastano le correzioni fatte nel frattempo?

«Perché le proposte fiscali sono sostanzialmente le stesse di quelle della riforma bocciata dal popolo nel 2017. Governo e Parlamento hanno dimostrato di non tener conto dell’opinione dei votanti. Ne sono ben coscienti visto che per far accettare gli sgravi si sono inventati quella che chiamano una «compensazione sociale» che dovrebbe «consolidare» l’AVS, ma che di «sociale» non ha proprio nulla. Legare i due temi è palesemente un ricatto».

I privilegi fiscali dovranno comunque essere aboliti. Voi come impostereste una riforma della fiscalità delle imprese?

«Noi non contestiamo certo l’abolizione dei privilegi fiscali. Il problema è che essi vengono sostituiti da nuovi privilegi fiscali per grandi imprese multinazionali e per i maggiori azionisti. Nel nostro cantone ci sono imprese “innovative” che registrano molti brevetti, ma pagano salari da fame (anche meno di 3.000 franchi lordi al mese). Pensiamo, ad esempio, ad un’azienda come la Swatch che, inoltre, consuma territorio con grandi capannoni e genera inquinamento e traffico; o, ancora, alla Medacta che paga 3.000 franchi lordi ingegneri laureati. Queste imprese verranno premiate dalla RFFA con sostanziosi sgravi. È inaccettabile!».

In caso di approvazione della riforma le imposte a carico di chi finora ha usufruito di statuti speciali aumenterebbero. Dove sarebbero i regali?

«Swissholding, l’associazione della multinazionali presenti in Svizzera, sostiene la RFFA e non certo per spirito di sacrificio. Oggi un’impresa a statuto speciale versa l’8% di imposte sull’utile, quindi 8 franchi ogni 100 franchi guadagnati. In futuro, cumulando questi nuovi sgravi, potrebbe pagare solo sul 30% degli utili, vale a dire che guadagna 100 ma paga le tasse solo su 30 franchi. Applicando un’aliquota del 24%, fanno 7,20 franchi. Inoltre i Cantoni sul cui territorio sono insediate molte multinazionali hanno già iniziato a ridurre massicciamente le aliquote in previsione della Riforma III: Vaud, Ginevra, Basilea Città hanno ridotto o prevedono di ridurre l’aliquota dell’imposta sull’utile quasi della metà».

Non considerate la possibilità di una fuga d’attività in assenza di misure di riequilibrio?

«Con tutto il rispetto, questa domanda è un po’ superata dopo quel che è successo negli ultimi anni nel settore Moda. Armani e la Luxury Goods non se ne sono andate perché avrebbero dovuto pagare più imposte, ma perché sono state colte in fallo dal fisco e dai magistrati italiani. Sulla permanenza delle società di trading, la RFFA non ha nessuna incidenza visto che non fanno ricerca e non registrano brevetti. Poi tenga conto che in futuro le multinazionali non potranno più trasferire in Svizzera gli utili realizzati all’estero e non saranno più le “galline dalle uova d’oro” tanto osannate oggi».

Una perdita di attrattiva fiscale non rischia di sfavorire gli insediamenti e di creare danni per tutta l’economia?

«Mi pare che l’attuale fiscalità sia più che competitiva. Il vostro giornale ha dato grande risalto solo poche settimane fa allo studio Bak Economics secondo cui la crescita del PIL nello scorso decennio in Ticino è stata la più marcata rispetto ad altri Paesi e al resto della Svizzera. L’attuale fiscalità è più che competitiva. Abbiamo visto, ad esempio con il caso Gucci, che le imprese non vengono per creare posti di lavoro (e si li creano sono di pessima qualità e malpagati, come detto prima); vengono soprattutto per risparmiare miliardi di imposte e per far pagare meno imposte ai loro manager, magari procurando loro domicili fittizi, come è stato il caso dei manager Gucci. Per noi, oltre al danno le beffe».

I vostri scenari sulla perdita di gettito sono molto negativi. Paventate tagli e sacrifici in molti settori. Ma come fate ad esserne così sicuri? Non state esagerando?

«Non sono i “nostri scenari” ma quelli dell’amministrazione federale. In un incontro “riservato” ai giornalisti gli specialisti dell’amministrazione federale hanno parlato di effetti negativi sul gettito che potrebbero durare fino a 20 anni con perdite fra i 10-20 miliardi solo per Cantoni e Comuni».

Berna sostiene che nel medio termine le entrate fiscali aumenteranno. Voi come replicate?

«Ueli Maurer è molto ottimista: pensa che gli sgravi faranno lievitare gli investimenti e l’occupazione e di conseguenza le entrate fiscali. Noi molto meno perché negli ultimi anni i preventivi della Confederazione si sono sempre rivelati sbagliati e non di poco. E poi abbiamo l’esempio della Riforma II: le perdite fiscali si sono rivelate 10 volte superiori al previsto e i miglioramenti promessi sul fronte dell’occupazione e dei salari non si sono verificati. Guardi le cifre: la disoccupazione è aumentata, il lavoro è sempre più precario e i salari reali sono in calo. Gli utili sono finiti nelle tasche degli azionisti e le uniche retribuzioni ad essere aumentate sono quelle dei manager».

Ci sono Cantoni che hanno già deciso sgravi fiscali nel solco di questa riforma. Un no non rischierebbe di esacerbare la concorrenza fiscale intercantonale?

«Favorire la concorrenza fiscale fra Cantoni è proprio uno degli scopi della RFFA e delle riforme precedenti. In questa continua corsa al ribasso ci guadagna solo chi possiede molto. Per la stragrande maggioranza della popolazione invece ci sono stati solo tagli alle prestazioni e programmi di risparmio. Dal 2011 sono stati distribuiti in Svizzera ben 874 miliardi di dividendi sui quali non è stato pagato un franco di imposte, grazie al principio degli apporti di capitale introdotto dalla Riforma II. Poi però il Parlamento “risparmia” sulle prestazioni complementari AVS e AI».

Un no alla RFFA significherebbe anche impedire un finanziamento aggiuntivo dell’AVS di 2 miliardi all’anno. Perché vi opponete?

«Di fronte agli sgravi fiscali la RFFA propone certo un finanziamento aggiuntivo all’AVS, ma tutto a carico dei salariati: attraverso i maggiori contributi salariali, attraverso un aumento dell’apporto dell’IVA (che grava maggiormente sui salari modesti), attraverso la fiscalità generale. Quindi sono i salariati e le salariate a subire un aggravio per finanziare le proprie pensioni future. E la cosa non sembra finire qui. Le prossime tappe del “risanamento” dell’AVS, le ha già illustrate a grandi linee il Consiglio federale (progetto AVS21), vanno nella stessa direzione: aumento dell’IVA dell’1,5%, aumento dell’età AVS per le donne ecc. Come vediamo il piatto forte si presenta ancora più indigesto dell’antipasto RFFA».

Quale potrebbe essere per voi una soluzione duratura per il risanamento del primo pilastro?

«Dobbiamo prima di tutto ricordare che con la RFFA gli attuali pensionati non vedranno nemmeno un centesimo di aumento delle loro rendite. E questo è sicuramente uno dei problemi maggiori dell’AVS al quale le riforme annunciate non intendono porre mano. La situazione dell’AVS è tutt’altro che “drammatica” come si pensa. Sono state le politiche fiscali come la RFFA a danneggiare le finanze dell’AVS, oltre alla evoluzione del mercato del lavoro caratterizzata da lavoro precario, salari sempre più bassi ecc. Come si può proporre un salario minimo legale di 3.000 franchi al mese e non rendersi conto che, a termine, i conti dell’AVS ne subiranno le conseguenze?

Le risposte quindi partono da qui, dalla constatazione che l’AVS, le pensioni altro non sono che salario differito (che viene versato oggi all’AVS per garantire il reddito quando non si lavorerà più). Se dunque i mezzi per garantire un salario/pensione a chi ha lavorato tutta una vita non sono sufficienti mi pare evidente che devono aumentare i contributi di chi ha sfruttato il lavoro di queste persone, cioè i datori di lavoro. Un aumento del loro contributo all’AVS (non di un misero 0,15% come si propone oggi), anche solo dello 0,5%, risolverebbe i cosiddetti problemi finanziari dell’AVS per i prossimi decenni. Si potrebbe poi sicuramente aumentare in modo cospicuo il finanziamento da parte della Confederazione: le sue floride finanze lo permetterebbero da anni».

*Intervista di Giovanni Galli a Giuseppe Sergi pubblicato sul Corriere del Ticino del 7.5.2019.