Gli studi e le cifre divulgati dalle autorità e dall’amministrazione cantonali dovrebbero essere affidabili, realizzati in maniera trasparente e accessibili a tutti. Questo purtroppo non è sempre il caso, e tutta la vicenda legata al settore della Moda ne è un esempio lampante.
Per anni si sono tessute le lodi dei grandi gruppi di Moda italiani che si sono insediati in Ticino, ma in realtà solo le attività di logistica e fatturazione sono state trasferite nel nostro cantone, e per mere questioni di ottimizzazione fiscale. La tanto decantata Fashion Valley è una distesa di capannoni che non ha nulla di glamour. Perfino parlare di Moda risulta assurdo visto che nessuno di questi gruppi produce in Ticino. Ora poi che le regole internazionali contro l’erosione della base fiscale e il trasferimento degli utili (BEPS) diventano più restrittive, è sempre più evidente che questi grandi gruppi non avevano nessuna relazione con il territorio e nessun reale interesse a rimanere in Ticino a parte i vantaggi fiscali. Armani ha sbaraccato in poche settimane tutta la sua attività dopo aver trovato un accordo con il fisco italiano e la LGI si è già trasferita fiscalmente, tanto è vero che a Cadempino il gettito fiscale risulterà ridotto del 95%, e il resto delle attività di logistica sarà mantellata in poco tempo. Risulta pertanto incomprensibile che studi e cifre diffusi dal cantone fino a pochi mesi non abbiamo in alcun modo preso in conto questa realtà.
Solo quattro anni fa la Moda è stata definita uno dei “settori promettenti” su cui puntare per lo sviluppo economico futuro del cantone sulla base di uno studio commissionato dal cantonale all’istituto Bak Basel[1]. Quest’anno scopiamo che “l’importanza del settore della moda (produzione tessile, abbigliamento e calzature), nonostante l’elevato grado di specializzazione, risulta essere un po’ sopravvalutata, in quanto la sua quota sul valore aggiunto nominale totale dell’economia ticinese è pari all’1% circa”, secondo quanto dichiarato da Marc Bros de Puechredon, CEO di BAK Economics, al Corriere del Ticino.
Nel frattempo però il Consiglio di Stato ha approvato un credito di 7,6 milioni di franchi per la costruzione del Centro professionale tecnico del settore tessile a Chiasso, che costerà in tutto 45 milioni; inoltre il cantone ha presentato due candidature come antenna del Parco nazionale dell’Innovazione sul tema “Moda e Logistica”[2], entrambe bocciate, e sono pure state introdotte formazioni specifiche alla SUPSI e all’USI.[3]
Era chiaro già allora che l’elevata produttività del commercio all’ingrosso di articoli di abbigliamento era gonfiata dalle pratiche di “ottimizzazione fiscale” (trasferimento degli utili, trasferimento dei prezzi), non più tollerate a livello internazionale (vedi programma BEPS). Sembra però che nessuno abbia tenuto conto di questi fattori. Nello studio “Oltre la metà del guado”, pure commissionato dal cantone, si afferma ad esempio:
“Economicamente non è poi certo trascurabile l’apporto fiscale dei centri di logistica integrata, ormai da porre fra i migliori contribuenti del Cantone, persino meglio delle maggiori banche”.
Una generalizzazione incomprensibile se si pensa che in uno studio dell’Osservatorio dello sviluppo territoriale[4], a proposito delle attività di logistica internazionale si precisava che:
“la rapida crescita di queste attività comporta un uso del suolo non indifferente, quindi indirettamente costi aggiuntivi per i comuni coinvolti (anche soltanto in termini di infrastrutture e di opere di urbanizzazione), non sempre compensabili con le imposte pagate da queste aziende (in ragione del numero esiguo di addetti, ma anche della ramificazione nazionale e internazionale in cui si inseriscono)”
La situazione è ulteriormente peggiorata negli ultimi anni. Il nuovo studio dell’Osservatorio dello sviluppo territoriale pubblicato lo scorso anno (“Nuove geografie della logistica in Ticino”) ha messo in risalto come la maggior parte delle imprese logistiche (segnatamente quelle organizzate sotto la forma di Holding con più specializzazioni nei servizi ai trasporti) non hanno relazioni con il territorio in cui sono insediate e non sono inserite in dinamiche di cluster. Nello studio inoltre si mette in risalto anche la facilità con cui queste grandi imprese di logistica spostano le loro piattaforme in funzione delle circostanze congiunturali: Armani e la LGI ne sono esempi lampanti.
Gli autori hanno espressamente auspicato che venga realizzato “uno studio socioeconomico del settore che comprenda a) una valutazione rigorosa delle ricadute fiscali dell’insediamento delle aziende logistiche e b) una indagine sulle condizioni di lavoro del settore, segnatamente per quanto attiene alle specializzazioni, alle retribuzioni e alla provenienza dei lavoratori.” Questi aspetti infatti non sono stati valutati nel dettaglio da nessuno degli studi economici commissionati e presentati dal cantone e ci si chiede quindi quali siano i reali sbocchi professionali nel settore Moda dove vigono salari minimi da 14,90 all’ora nella produzione e di 17 franchi nella logistica. [5]
Non è possibile ipotecare il futuro di un intero cantone basandosi su studi limitati e incompleti, che hanno tenuto conto unicamente di un aspetto “economico” facendo astrazione degli impatti a livello sociale e ambientale e degli sviluppi a livello internazionale. Le scelte che riguardo lo sviluppo economico infatti hanno un impatto su tutta la società e il territorio: dalla formazione dei giovani, al sovraccarico della rete viari, con i conseguenti problemi a livello di inquinamento, al mercato del lavoro.
In quest’ambito risulta ancora più incomprensibile che vengano divulgati dall’autorità cifre e dati basati su “potenzialità” e “possibilità di migliorare i legami economici” senza nessun riscontro nella realtà.
L’Amministrazione cantonale, appena appreso della “delocalizzazione” dei dipendenti addetti alla fatturazione delle LGI, ha richiesto all’IRE “una rivalutazione e attualizzazione dei dati” riguardanti il settore Moda[6] e d’improvviso il numero di aziende e di posti di lavoro è risultato essere oltre il doppio rispetto alle cifre fornite dallo stesso Consiglio di Stato a precedenti interrogazioni. Per effettuare la “valutazione” l’IRE si è basato su una definizione di “meta-settore” contenuta in uno studio del 2013[7] che include numerosissimi rami economici, fra cui la raffinazione di metalli preziosi, la fabbricazione di orologi, ecc.
Nello studio – definito “una riflessione più ampia rispetto alle possibilità di migliorare i legami economici tra Svizzera e Italia” – era precisato chiaramente che questi rami “non rientrano direttamente nella catena di produzione del meta-settore” e nelle pubblicazioni successive che trattano del settore moda, comprese quelli commissionate dal cantone (Bak Basel[8], “Oltre la Metà del guado”, “Ticino futuro”) si afferma che il settore moda è costituito dalla fabbricazione di tessili e abbigliamento, commercio all’ingrosso, logistica e servizi alle imprese.
Le cifre della “rivalutazione” dell’IRE quindi non forniscono una visione della realtà attuale del settore Moda, ma sono più un’ipotesi di possibile sviluppo futuro; eppure sono state citate dal consigliere di Stato Christina Vitta in un commetto sul settimanale Il Caffè il 14 ottobre scorso, senza essere contestualizzate:
Secondo gli ultimi dati a disposizione riferiti al 2015, il settore conta in Ticino indicativamente 700 aziende che impiegano oltre 9’000 persone. Una realtà di rilievo che contribuisce anche a generare un indotto finanziario per il nostro Cantone.
È chiaro che simili dichiarazioni fatte dal responsabile del Dipartimento delle finanze e dell’economia contribuiscono a dare un’immagine distorta della realtà. Interrogato sulla questione, il Consiglio di Stato si è imitato a rispondere: “si tratta di valutazioni metodologiche che competono all’istituto di ricerca che ha svolto lo studio”[9]. Non è neppure la prima volta che il governo elude domande di questo tipo appellandosi all’autonomia scientifica[10]. Esiste inoltre un problema quanto all’accessibilità e alla trasparenza di queste cifre: non è chiaro dove siano state pubblicate, a chi siano state fornite e perché[11].
Per essere affidabili e trasparenti, gli studi commissionati dal cantone e le affermazioni di autorità cantonali debbano essere basate su fatti chiari, accessibili a tutti, e il Consiglio di Stato deve essere in grado di giustificarle, altrimenti c’è il rischio di scivolare nei “fatti alternativi”.
Con la presente mozione chiediamo quindi che:
1 – gli studi commissionati dal cantone vengano sottoposti a revisione paritaria (peer review)
2 – gli studi economici tengano conto anche degli aspetti sociali e ambientali e dell’evoluzione delle normative internazionali. Per questo è necessario che allo studio collaborino esperti di discipline diverse.
3 – le cifre citate dalle autorità e dall’amministrazione cantonale siano accessibili a tutti e che la metodologia sia chiaramente consultabile.
4 – il Consiglio di Stato e l’amministrazione cantonale siano in grado di rispondere in modo trasparente alle domande relative a studi commissionati dal cantone o ad affermazioni fatte da funzionari cantonali e dai consiglieri di Stato.
Note:
[1] Analisi dei settori ticinesi: benchmarking internazionale e smart specialisation
[2] Scelta incomprensibile se si pensa che nello studio del Bak Basel il potenziale di innovazione del settore moda è molto basso, il potenziale di crescita nullo e che si sarebbe potuto puntare su biomedicina.
[3] Risposta alla domanda 5 dell’interrogazione 153.18
[4] Attività economiche e uso del suolo nel Cantone Ticino 2000 – 2010
[5] In base alla convenzione siglata fra TicinoModa e i sindacati, il salario minimo nella produzione nel 2019 in questo settore è di 14,90 franchi l’ora, che trasformato in salario lordo standardizzato (40 ore al 100%) fanno 2’580 franchi al mese. Per un addetto alla logistica della Moda il salario minimo è di 17 franchi l’ora, per gli impiegati di commercio si va da 3’300 fr lordi a 4’100 fr per i responsabili per 42 ore settimanali. Per quanto riguarda il design non ci sono indicazioni sui salari, ma i posti di lavoro – stando alle cifre fornite dal Consiglio di Stato – sono 300 (248 ETP) nel design industriale in generale, senza però specificare quanti lavorano nel settore moda (a titolo di paragone nel 2015 c’erano in Ticino 228’694 posti di lavoro)..
[6] Risposta alla domanda 1 dell’interrogazione 188.18
[7] “La catena di valore transfrontaliera: il potenziale dei sistemi integrati di produzione”
[8] Analisi dei settori ticinesi: benchmarking internazionale e smart specialisation
[9] Risposta alla domanda 3 dell’interrogazione 188.18
[10] Risposta alla domanda 6 dell’interrogazione 50.18
[11] Sappiamo per certo che sono state fornite al capogruppo PLR in Gran Consiglio Alex Farinelli, visto che le ha citate il 12 ottobre 2018 durante un dibattito televisivo, e all’Ocst, che ha sottoscritto il contratto aziendale con LGI, poiché sono state ripetute da un rappresentante del sindacato in un’intervista pubblicata dal Caffè il 21 ottobre. Non sappiamo però chi altri le abbia ricevute.
*Interrogazione del Gruppo MPS-POP-Indipendenti Simona Arigoni, Angelica Lepori, Matteo Pronzini del 21 maggio 2019