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Il portavoce dell’NPA Olivier Besancenot in una intervista a Pauline Gralle di Mediapart, propone di creare un “coordinamento permanente” che permetta alla sinistra sociale e politica di trovare la strada per un dialogo sostenibile. Secondo lui, dopo le elezioni europee del 26 maggio, nessuna organizzazione può rivendicare l’egemonia politica. In altri tempi, l’idea che Npa potesse oliare i meccanismi della sinistra avrebbe fatto sorridere. Ma da un anno ormai, Olivier Besancenot cerca, come meglio può, di far parlare la sinistra politica e sociale. Nella primavera del 2018, la sua volontà unitaria si era materializzata durante il movimento dei ferrovieri contro la privatizzazione della SNCF, durante la quale l’organizzazione anticapitalista aveva organizzato diversi incontri unitari a La Brèche, la libreria NPA.

Questa volta, propone di creare “coordinamenti permanenti”, un po’ come il forum politico e sociale che Sinistra Anticapitalista propone in Italia, permettendo, nel tempo, incontri all’interno dell’ecosistema di una sinistra che non si parla più. Questo è il senso del meeting “contro Macron e l’estrema destra” lanciato dall’NPA, che si terrà il 19 giugno a La Bellevilloise, a Parigi, con la comunista Elsa Faucillon, l’economista di Attac Aurélie Trouvé, e Éric Beynel, sindacalista di Solidaires. Besancenot ha anche annunciato la sua presenza il 30 giugno al cirque Romanès, per l’incontro pubblico in seguito alla richiesta di un “big bang” da sinistra, lanciato in particolare da Clémentine Autain di La France Insoumise.

Mediapart gli ha domandato il senso della proposta di un tale assemblement della sinistra politica e sociale? «A causa dell’urgenza politica prima di tutto. Nelle elezioni europee, i peggiori nemici del mondo, la coppia Macron/Le Pen – in altre parole, la migliore amica del capitalismo e la peggiore oppositrice della classe operaia – è riuscita a fagocitare la scena politica. Ma anche se questa apparente egemonia elettorale della destra e dell’estrema destra non ha un raccordo con la realtà politica francese, gli incidenti naturalmente non sono da escludere. Dobbiamo prendere la misura delle cose. In assenza di una risposta sociale e politica alla posta in gioco, verrà il momento in cui, data la politica di Macron e la repulsione che suscita, la strategia di mostrarsi come l’“ultimo baluardo contro il RN” non funzionerà più. La prospettiva che Le Pen prenda il potere non è più un caso di scuola. Serve una reazione a questo campo di rovine che è la sinistra della sinistra dopo le elezioni europee. La sinistra radicale non solo è sgretolata, è profondamente indebolita e fatica a pesare concretamente sui rapporti di forza. Tuttavia, la mobilitazione sociale dei “gilet gialli” (GJ) in particolare – ma potrei evocare tutte le altre lotte che si svolgono oggi nella scuola e nella sanità pubbliche ecc. – ha dimostrato che il malcontento è enorme. E che la rivolta non è mai stata molto lontana. Questa discrepanza tra la prospettiva politica e la combattività delle mobilitazioni sociali ci sfida tutti.

Uno “iato” che Besancenot spiega inquadrandolo nello «sconvolgimento globale dei rapporti sociali e politici, caratterizzato da un’evoluzione globale in cui della crisi storica dei partiti istituzionali beneficiano principalmente il populismo, le correnti di destra e di estrema destra e persino i movimenti fascisti. Questa stessa crisi politica totalizzante indica uno spostamento del capitalismo internazionale, che sta probabilmente entrando in una nuova fase del suo sviluppo, la post-globalizzazione liberista. Questa svolta ha colpito l’intero edificio della società e indebolito considerevolmente il movimento operaio tradizionale, che non ne aveva bisogno. Più che mai, è quindi questione di essere politicamente disponibili al rinnovamento della lotta di classe, così com’è, e non solo come avremmo voluto che fosse. Dal mio punto di vista, il mancato appuntamento, in gran parte, tra la sinistra radicale e il movimento senza precedenti dei gilet gialli, è indicativo di questa situazione. La nostra incapacità di agire lealmente, in un modo forte, unito e assunto in questo movimento, è un fallimento che non possiamo più permetterci il lusso di riprodurre».

Eppure anche LFI ha investito molto sulle rotonde, i luoghi in cui i GJ organizzavano i blocchi stradali. Besancenot riconosce che molte cose sono state fatte e alcune iniziative unitarie hanno avuto successo, specialmente contro la repressione poliziesca. «Ma centralmente, non abbiamo saputo, o voluto, dimostrare il nostro desiderio comune. L’interrogativo sull’inizio del movimento era legittimo. Tuttavia, la lotta di classe non è mai “chimicamente pura”. Questo tipo di movimento ci destabilizza, ma è davanti a noi, permanentemente iscritto nello scenario per gli anni a venire. In questi tempi incerti, dobbiamo imparare ad agire di nuovo insieme. Questa sequenza è una lezione di cose».

Appunto, la lezione dei GJ. «Ci insegna che se partiamo per un tour sulle solite discussioni, ossessionati dalle solite prospettive elettorali ed egemoniche, non faremo un bel niente. Faccio una domanda: è possibile dimenticare le elezioni per 30 secondi? Non è che sia un tabù o per censurare qualcuno, ma solo per tentare di sottrarci collettivamente, il tempo di un momento almeno, ai tempi della Quinta Repubblica, inventare e costruire il nostro proprio tempo politico, il nostro spazio democratico comune. In breve, per liberarsi, qui e ora, per quanto possibile, dalle catene istituzionali che presiedono a tutto e di cui siamo prigionieri. Perché questa volta non abbiamo altra scelta che riuscire: di fronte a noi, il governo ha una singolare politica liberale. Prendendo il testimone di venti o trent’anni di alternanza liberale, questo potere vuole, questa volta, portare veramente il colpo di grazia. Sullo sfondo di politiche violentemente e scandalosamente repressive e autoritarie, intende sistematizzare le riforme strutturali istituendo la pensione “a punti”, lasciando migliaia di persone fuori dall’assicurazione sanitaria o smantellando pezzo per pezzo i servizi pubblici. Viviamo il preteso tentativo di sradicare tutto il nostro sistema di protezione sociale. O cosa ne è rimasto. Ci siamo dentro fino al collo. Ciò avrà conseguenze irrimediabili nella vita quotidiana di milioni di persone. Questa è la sfida che tutti affrontiamo. Ecco perché abbiamo la responsabilità di impegnarci in battaglie immediate, oltre una dozzina, venti, qualunque cosa, obiettivi comuni. Azioni attraverso le quali la sinistra radicale, politica e sociale, si può ritrovare, ma questa volta in modo permanente, per agire a lungo termine».

Durante la vertenza degli cheminots ci sono stati tentativi, a porte chiuse, di confronto promossi da Npa con Pcf, Génération.s, verdi … Eppure, la battaglia fu persa. «Sì, la mobilitazione è fallita, in particolare a causa della mancata generalizzazione dello sciopero. Ma per quanto modesto, il nostro sostegno unitario ha avuto la sua parte di utilità. A dicembre e gennaio, durante la sequenza più forte del movimento dei GJ, siamo finalmente riusciti a incontrarci più volte, e più ampiamente di prima, dal momento che il quadro non era quello dei partiti politici. C’erano sindacati come il Sud o l’UD CGT, l’Unione della Magistratura, ma anche Attac, Copernic, il collettivo Adama-Traore … un’interessante forma di alleanza tra la sinistra sociale e la sinistra politica». Incontri che non hanno sedimentato «nulla di durevole, sfortunatamente. Motivo per cui suggeriamo di creare proprio uno o più “coordinamenti permanenti”. Non importa quale il nome che daremo a questo raggruppamento. L’idea è di incontrarci regolarmente, a livello locale e nazionale, per agire, lottare e discutere … Non credo che alla fine la soluzione politica unificante possa emergere dallo sviluppo lineare di una singola formazione politica o sociale o da una singola corrente di pensiero. Dopo le elezioni europee, le carte si sono rivoltate: è un’opportunità per mettere le cose a posto e parlare tra noi, con rispetto ma anche franchezza, perché permangono anche i problemi di contesa».

Qual è la differenza tra una chiamata unitaria e la chiamata per un coordinamento permanente? «Forse la volontà di agire insieme come preambolo di tutto. Non lo so, ma mi sembra che al di là di disaccordi (ce ne sono alcuni e non piccoli: la relazione con le istituzioni, la questione della proprietà, l’internazionalismo …), ci sono molte affermazioni che spesso facciamo in comune, in scioperi o dimostrazioni: salari, pensioni, servizi pubblici, contro la repressione, il riscaldamento globale, le lotte femministe, antirazziste … Prendiamoci il tempo per identificare ciò che ci unisce, per agire, senza temere di discutere francamente di ciò che ci separa. Ma smettiamo di andare nelle mobilitazioni in modo scoordinato. È forse anche in questo modo che possiamo essere ascoltati da un milieu che non ci segue più. Perché non si tratta di creare un cartello o un’ennesima combinazione della sinistra della sinistra, ma di creare una dinamica che superi tutte le nostre forze, le correnti, i collettivi e le individualità che si aggregheranno».

E la questione elettorale? «Prima di guardare l’aldilà, iniziamo rimanendo sulla terra».

Il partito di Besancenot ha sostenuto, alle ultime europee, Lutte Ouvrière, un partito che è contro ogni convergenza con altre forze di sinistra. Inoltre, l’NPA, nei giorni scorsi, s’è dichiarata contro l’unione della sinistra. «Siamo contrari a qualsiasi forma di “unità della sinistra” che, oltre alla tragica memoria lasciata nelle coscienze, abbia come vocazione quella di eleggere leader che, una volta al potere, condurranno alla fine una politica di destra. Grazie, abbiamo già dato! Ma per impegnarci in azioni comuni con altri movimenti, siamo disponibili, naturalmente, e lo facciamo sempre! La questione è cercare di sistematizzarlo. Poi bisogna farlo con la sinistra radicale per quello che è, e rispettare le formazioni nella loro autonomia e nella loro pluralità: NPA, LO, LFI, PCF, Génération.s, gli antifascisti, gli ecologisti, attivisti del movimento sociale e sindacale … Ciò che manca oggi è un po’ come le Camere del lavoro che esistevano nel XIX secolo. Spazi aperti dove, motivati dalla volontà di battersi, tutti hanno ascoltato, scambiato, discusso se necessario, ma sempre con l’idea di partecipare al nostro campo sociale, quello degli sfruttati e degli oppressi , parla e agisci nel suo stesso nome. Uno spazio aperto e democratico, dove non c’è l’obbligo di accordarsi su tutto … Credo sia necessario che la sinistra radicale abbandoni questa logica mortificante del “tutto o niente”. Paradossalmente, quando la sinistra radicale recita e finge di concordare su tutto, le azioni e le discussioni unitarie progrediscono meno. Ora, è vero che una volta detto tutto questo, non ho una soluzione pronta e una metodologia “chiavi in mano” da suggerire». Tutto questo, per Besancenot, non implica una leadership: «Non risolve nulla. Pone persino alla sinistra radicale più problemi che soluzioni. Tagliare teste o portare altri al potere non cambia fondamentalmente il sistema e le regole del gioco che descriviamo. Rosa Luxembourg diceva che dobbiamo partire dal basso». Perché la proposta, stavolta, potrebbe avere un’eco?

«Ciò che mi fa sperare è che siamo tutti spalle al muro … Chi può pretendere oggi di determinare una dinamica da solo, raggruppare tutti dietro di lui? È una lezione di umiltà. Anche per noi».

Che cosa c’è in agenda, nell’immediato, è l’ultima domanda della giornalista di Mediapart: «Ci sono delle emergenze, le lotte per gli ospedali, ovviamente, i licenziamenti, la riforma delle pensioni, ma anche il referendum sulla privatizzazione di Aéroports de Paris … Al tempo del dibattito sul Trattato costituzionale europeo, nel 2005, abbiamo organizzato incontri congiunti in cui c’erano molte persone e molte speranze. Perché non prendere ispirazione da quel successo?».

 

*tratto dal sito Pop Off