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«Dall’esperienza francese Rosa Luxembourg trasse queste conclusioni. La politica pratica tanto osannata si rivelò tutt’altro che “pratica”, perché la classe operaia, legata dalla partecipazione del partito socialista alla politica governativa, non poteva far valere il peso della sua forza». (Paul Frölich, Rosa Luxemburgo y su obra) [1]

Il fallimento dell’investitura di Pedro Sánchez alla presidenza del governo – con solo 124 voti a favore, 155 contro e 67 astensioni – presuppone indubbiamente la frustrazione delle aspettative che, per quanto limitate, le elezioni del 28 aprile avevano suscitato: non solo nell’elettorato di sinistra, ma anche nella maggior parte degli elettori che avevano votato le formazioni sovraniste “periferiche” [2].

Viceversa, nella destra spagnolista si è tirato un respiro di sollievo per come sono andate le cose: basta guardare il titolo del quotidiano conservatore monarchico «ABC» («No se puede»), mentre altri mezzi di comunicazione non nascondono la propria soddisfazione nel vedere come il leader del Partido Socialista Obrero Español (PSOE) ritenga ormai scartata la possibilità di un governo di coalizione con Unidas Podemos (UP) e si mostri disposto a «esplorare nuove soluzioni». Ovviamente, con questa espressione si deve intendere che quello che Sánchez cercherà prioritariamente nei prossimi due mesi [3] è di ripristinare un rapporto con il Partido Popular (PP) che si è apparentemente “ri-centrato”, dopo aver preso atto dell’inutilità sino a ora di fare pressioni sul leader di Ciudadanos (C’s), impegnato in una istrionica campagna sul “No” a «Sánchez e alla sua banda» [4]. Comunque, non sembra che Sánchez vedrà premiati i suoi sforzi nel riuscire a far compiere a questo partito [Ciudadanos] una svolta nel medio termine, nonostante gli aiuti fornitigli da Macron e dai sondaggi.

Quanto alla direzione di Podemos, sembra intenzionata ad aggrapparsi alla proposta di un governo di coalizione, nonostante che la strada appaia ormai impraticabile, limitandosi a compilare una lista di lagnanze (in linea generale, peraltro, giustificate) per il comportamento del PSOE nel corso delle trattative … sulla distribuzione degli incarichi ministeriali. Cosicché non resta che la speranza che si apra un dibattito al suo interno, e con Izquierda Unida (IU) e le confluencias [5], che contribuisca a tracciare una via alternativa in grado di contrastare la demoralizzazione del suo elettorato e la smobilitazione dei suoi militanti, in costante diminuzione.

Era possibile una diversa conclusione? Senza dubbio. Sarebbe stata possibile se Sánchez avesse accettato la proposta fatta all’ultimo minuto da Iglesias dai banchi del Congresso – e suggerita, a quanto sembra, da Rodríguez Zapatero -, e che consisteva in un’ulteriore riduzione delle condizioni. Se però ciò fosse avvenuto, e se la investitura avesse avuto luogo, le prospettive che si sarebbero aperte per Unidas Podemos con questo ipotetico governo di coalizione non sarebbero state per nulla rosee.

Perché ciò che si è potuto verificare nel corso delle trattative dell’ultimo minuto è che le concessioni che la delegazione di Unidas Podemos aveva fatto erano ormai troppe: “lealtà” rispetto a ciò che il governo avrebbe detto rispetto alla questione catalana e alla sentenza giudiziaria contro il procés; rinuncia ai “ministeri di Stato” (ovvero, a quelli che conformano il nucleo duro della politica e che comprendono, come si è visto, Finanze e Transizione ecologica); accettazione dell’esclusione di Pablo Iglesias dalla compagine ministeriale… E si dovrebbe aggiungere la rassegnata accettazione del veto della CEOE [Confederación Española de Organizaciones Empresariales, equivalente alla Confindustria italiana] all’accesso a incarichi ministeriali come quello del Lavoro, per non dire del fatto che non vi sarebbe stata la possibilità di opporsi ai tagli da 6.000 a 8.000 milioni di euro pretesi dalla Commissione europea.

Date tutte queste restrizioni esplicite (e non credo sia necessario menzionare le implicite, che si riferiscono al “non mettere mano” alla monarchia o a quelle cloache dello Stato che tanto si sono accanite contro Podemos, e alle quali non sono estranee le grandi banche, come s’è visto con lo scandalo del BBVA [Banco Bilbao Vizcaya Argentaria]), difficilmente si poteva pensare che Unidas Podemos avrebbe potuto attuare politiche di sinistra stando al governo. Anzi, con il suo silenzio avrebbe finito per rendersi complice di politiche di destra sul piano economico-sociale e di carattere repressivo nel caso della Catalogna.

Si poteva prevedere un esito simile? Tutto porta a rispondere di “sì”. Il leader del PSOE si è comportato in questo modo (rimandando l’inizio delle trattative e continuando ad abbassare il livello delle concessioni al leader di UP) non a caso o per pura mancanza di fiducia personale. In realtà, era del tutto consapevole del fatto che inserire UP nel governo poteva essere possibile solo a condizione di una tale subalternità che gli permettesse di vincere le resistenze dei grandi poteri economici e dell’Unione europea, per non dire dello stesso regime, sempre più preoccupato dal clima di incertezza economica (aggravata dalla Brexit) e dalla crisi politica che potrebbe derivare in seguito alla sentenza, probabilmente severa, contro il procés [catalano], prevista per l’autunno. In questo scenario, il ruolo che hanno avuto i dirigenti sindacali di Comisiones Obreras (CCOO) e della Unión General de Trabajadores (UGT), che non hanno posto al centro del dibattito sul programma le politiche contro l’austerità, non ha per niente aiutato a contrastare queste pressioni dall’alto.

Ciò spiega perché Sánchez, nel suo intervento introduttivo e nelle sue repliche nel corso di tutto il dibattito parlamentare, abbia dedicato più tempo a invitare il PP e Ciudadanos ad astenersi nell’investitura, appellandosi al loro “senso dello Stato”. Così facendo mostrava di adattarsi al discorso del “tripartito di destra” [PP, Ciudadanos e Vox] sconfitto il 28 aprile (difesa di una “democrazia militante” che pretende di escludere populisti e indipendentisti in nome della comune difesa della “unità della Spagna”), criticando Unidas Podemos e limitandosi a sottolineare il “tono positivo” di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) – che non ha chiesto «niente in cambio», come ha ripetutamente ricordato – e del Partido Nacionalista Vasco (PNV) per la sua predisposizione di non bloccare l’investitura.

Il discorso di investitura del dirigente del PSOE proclamava, certamente, la volontà di avviare – niente di più e niente di meno – la «seconda grande trasformazione del Paese», elencando obiettivi e provvedimenti già contenuti in gran parte nel programma elettorale, accompagnandoli con alcune “perle” (come l’affermazione che «nel 1975 siamo usciti dalla dittatura», legittimando così, ancor più esplicitamente, il ruolo del successore di Franco, il re Juan Carlos I, come “motore del cambiamento”), con contraddizioni (per esempio, esaltando il feticismo della «crescita economica» assieme all’aspirazione a dar risposte all’emergenza climatica) e con genericità, come la volontà di realizzare un «progetto di rigenerazione nazionale» (senza menzionare una solo volta la Catalogna) o la disposizione a contribuire alla costruzione di un’Europa «in grado di competere con le altre potenze globali», nello stesso tempo in cui prometteva di intensificare ancor più la collaborazione con il regime marocchino nella sua criminale politica migratoria.

L’unica novità consisteva nella proposta di intraprendere una riforma dell’articolo 99 della Costituzione – quello che regolamenta le procedure dell’investitura -, al fine di garantire la non ripetizione di quanto accaduto nel 2016 e si è ripetuto ora: permettere che la lista più votata possa formare il governo, evitando così la paralisi del parlamento [6]. Una patente prova della sua nostalgia per i decenni dell’alternanza bipartitica che però, nonostante le crisi di Ciudadanos e di Unidas Podemos, difficilmente si ripeteranno, tanto più che nel Parlamento si fa più consistente la presenza della realtà plurinazionale dello Stato.

Guardare oltre il momento contingente

In base all’esperienza di questi giorni dovremmo concludere che la strada imboccata dalla direzione di Podemos in risposta alle aspettative espressesi con il 28 aprile – e cioè che si formasse un governo alternativo al tripartito reazionario – poteva solo condurre a un fallimento, data la natura del PSOE di partito del regime e dati i rapporti di forza squilibrati fra i due partiti. Viceversa, una soluzione “alla portoghese” è e continua a essere – secondo noi, ma anche, come ora sembra, secondo Izquierda Unida – la più coerente: consente di costringere la direzione del PSOE ad impegnarsi pubblicamente su un accordo di minima che permetta di votare a favore dell’investitura di Pedro Sánchez e, nello stesso tempo, garantisce l’indipendenza politica per sviluppare sia una ferma opposizione in parlamento, sia mobilitazioni popolari, in modo che ogni volta che si renda necessario ci si possa smarcare, confrontare o scontrarsi col PSOE, come con il regime e l’Unione europea dell’austerità.

Siamo ancora in tempo per tentare di percorrere questa strada, facendolo assieme alle organizzazioni più rappresentative dei movimenti sociali e partecipando attivamente alla preparazione di nuove mobilitazioni, fra le quali va indubbiamente segnalata quella dello “Sciopero mondiale per il clima” del 27 settembre.

Dobbiamo riuscire a guardare oltre il momento contingente, nel bel mezzo di una crisi di regime che non accenna a risolversi. Dobbiamo sforzarci di riaprire un nuovo scenario rupturista, in «una nuova combinazione di radicalismo e visione strategica», come propone Stathis Kouvelakis a partire dall’esperienza dei gilets jaunes.

*Jaime Pastor, politologo, è direttore di «Viento Sur»

Note

[1] Con «esperienza francese» ci si riferisce all’esperienza, iniziata nel 1899, della partecipazione di un socialista, Alexandre Millerand, a un governo di difesa repubblicana. Jean Jaurès, che aveva inizialmente approvato questa partecipazione, riconoscerà anni dopo l’errore commesso. [La traduzione della citazione è di Marzio Vacatello, curatore dell’edizione italiana dell’opera di Frölich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987, pag. 147. Ndt]

[2] [Non è forse superfluo ricordare che «sovranista» (soberanista) non ha nel lessico politico spagnolo il significato che ha assunto in Italia e in altri Paesi. In questo caso si tratta delle rivendicazioni di maggiore autonomia o di indipendenza, all’interno o all’esterno di un ordinamento federale, rispetto al governo centrale. Con “sovranisti” si intendono partiti, soprattutto catalani, baschi e galeghi, di diversa collocazione sull’asse destra/sinistra. Ndt]

[3] [Sánchez ha per legge ancora due mesi per cercare di ottenere l’investitura, in mancanza della quale si dovranno convocare nuove elezioni. Ndt]

[4] [Citazione testuale della raffinata espressione del leader di C’s, Alberto Rivera, che dopo aver cercato di collocarsi dapprima fra la socialdemocrazia di destra, poi fra i liberali di destra alla Macron, ha deciso ora che il suo spazio è nella destra senza altre specificazioni, e si sforza di fare concorrenza al PP, non disdegnando l’appoggio dell’estrema destra di Vox nella formazione dei governi locali e regionali. Si tratta dello stesso leader che, all’indomani delle elezioni del 28 aprile, molte personalità “progressiste” (una fra tutte: Paolo Gentiloni) avevano indicato come il “naturale” alleato del PSOE. Ndt]

[5] [Sono i cartelli politico-elettorali che Podemos e IU hanno organizzato in diverse regioni “periferiche” con altre forze di sinistra. Ndt]

[6] [Nel 2016 la lista più votata fu quella del Partido Popular, ma il suo leader, Mariano Rajoy, non riuscì a ottenere l’investitura e fu sottoposto a una mozione di censura da parte del PSOE, che consentì a Sánchez di formare un governo di minoranza, rimasto in carica sino alle elezioni del 28 aprile 2019. Ndt]

Titolo originale: El gobierno de coalición, en vía muerta. ¿Y ahora qué in: https://vientosur.info/spip.php?article15005

Traduzione e note di Cristiano Dan