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Ursula Von Der Leyen e Christine Lagarde: le due lady austerity, che nel curriculum vantano nientepopodimeno che lo strangolamento della Grecia, rispettivamente scelte alla guida di Commissione Europea e BCE.

Con il sostegno determinante dei liberali (vero ago della bilancia), le borghesie francese e tedesca fanno prove di rafforzamento del patto di supremazia sulle altre borghesie dell’Unione, rilanciando in grande stile il progetto austeritario.

Dal canto loro, i nazionalisti del gruppo di Visegrad si schierano sostanzialmente a favore, sia per ragioni economiche (il rapporto con l’economia tedesca è stretto), sia per ragioni politiche (noi vi appoggiamo, voi ci date i fondi europei e ci lasciate mano libera sugli immigrati), dimostrando che il nazionalismo di destra è l’altra faccia della medaglia della gestione delle politiche di austerità, una faccia certamente brutta e pericolosa, ma che è strettamente legata all’austerità di marca liberale.

Il governo italiano non ottiene nulla e, c’è da scommetterci, farà ancora di più la faccia dura con i lavoratori in lotta, i poveri, gli immigrati, gonfiando nazionalisticamente il petto, nella speranza di mantenere i consensi che cominceranno lentamente a scricchiolare dopo una manovra che si annuncia lacrime e sangue, dal momento che applicherà pedissequamente i diktat dell’UE. Neanche erano state finalizzate le nuove nomine, che ieri il governo italiano aveva varato un aggiustamento di bilancio e un decreto di supporto che recepisce in pieno le richieste di Bruxelles: in piena continuità con le politiche liberiste e anzi con un aumento per il 2019 dell’avanzo primario dall’1,4% all’1,6%. In poche parole, si taglia e si spende di meno di quel che si incassa, naturalmente al netto degli interessi del debito.

La borghesia italiana non è tuttavia soddisfatta di questo governo, non perché sarebbe in qualche modo dalla parte dei lavoratori (chi dice questo, è da ricovero coatto), ma perché non è in grado di rappresentarne compiutamente gli interessi in Europa, poiché formato da partiti che hanno radici sociali, politiche, ideologiche non coerenti con le caratteristiche richieste da Confindustria & Co.

Ciò nonostante, la borghesia italiana sa che non può permettersi una crisi al buio, tanto più nel nuovo scenario e con una legge finanziaria che incombe. Da qui l’intervento di Mattarella a tutela non del governo, ma dei superiori interessi delle frazioni della borghesia più dinamiche e proiettate sul piano internazionale. Non possiamo sapere quel che accadrà ma è certo che, sebbene incidenti politici non si possano escludere, la Presidenza della Repubblica farà tutto ciò che è in suo potere per impedire una crisi di governo.

Sul piano generale, colpisce la pervicacia con cui si confermano le politiche che hanno contribuito in maniera rilevante alla crisi di rappresentatività delle borghesie in diversi paesi europei, oltre ad aver approfondito l’instabilità sociale e politica che ne è conseguita. Evidentemente, non si tratta, come non lo fu nel caso della Grecia, di “irrazionalità”, ma, al contrario, di una razionalità capitalistica che nasce dall’esigenza di rafforzare l’UE attorno al progetto delle classi dominanti francesi e tedesche nel quadro di un’esacerbata competizione globale; d’altro canto, è anche testimonianza che l’attuale fase del capitalismo non contempla margini significativi di riformismo oltre l’elargizione di elemosine sociali e la mera gestione della povertà, e deve comprimere costantemente e con vari mezzi il salario diretto e indiretto per sostenere questa stessa competizione.

Si tratta di una situazione che alimenta la polarizzazione, ma in prospettiva aumentano anche le contraddizioni esplosive, che saranno in ogni caso difficili da gestire per la governance europea.

In questo quadro, la sinistra di classe, nelle sue diverse declinazioni, è, nel migliore dei casi, afona perché fondamentalmente il conflitto sociale e di classe è ai minimi termini e le mobilitazioni di massa non ripartono, o, laddove si siano prodotte, non sono riuscite a ottenere risultati apprezzabili.

Eppure, di fronte a una nuova crisi finanziaria, che la nuova configurazione UE favorirà, le contraddizioni a lungo sopite esploderanno, ed è impossibile escludere una ripresa importante delle mobilitazioni di massa in tutta Europa, sebbene con un’asimmetria spaziale e temporale che porrà a sua volta nuovi problemi tattici e strategici.

La direzione politica che prenderanno le mobilitazioni non è preordinata, ma sarà funzione della ricostruzione di una sinistra di classe in tutta Europa in grado di essere agente strategico nelle lotte, in grado di radicarsi socialmente e nei luoghi di lavoro, di creare un nuovo immaginario e di riprendere una visione credibile di emancipazione di tutti gli sfruttati e oppressi.

Per farlo le diverse componenti della sinistra di classe dovranno superare le pulsioni di autoreferenzialità che ancora sono forti, e mettere in campo una sostanziale capacità di unità d’azione e discussione strategica, stringendo forti legami internazionali. Al tempo stesso sarà fondamentale promuovere e animare con forza la costruzione di componenti sindacali classiste che, a prescindere dalla collocazione, lavorino per sostenere l’organizzazione e la fiducia in sé stessi di settori sempre più larghi della classe lavoratrice, combattendo il padronato, ma anche le burocrazie sindacali che, in special modo nell’attuale congiuntura, approfondiscono il ruolo di agenzie di prevenzione del conflitto di classe in servizio effettivo e permanente. Allo stesso modo, occorrerà combattere i tentativi di divisione della classe su basi organizzativistiche, che rendono più difficile costruire l’unità nelle lotte.

Il cammino è lungo e arduo, ma, soprattutto di fronte alla rinnovata sfida che l’Unione Europea capitalista pone agli sfruttati e agli oppressi, non c’è ragione per cui tutto ciò non possa e non debba essere fatto.