di Angelica Lepori e Monica Soldini
È probabile che nella delegazione che questa estate è andata in Corea del Nord con alcuni rappresentanti della Sinistra Unita di Bellinzona, vi fosse (nascosto per non dare troppo nell’occhio) anche il sindaco di Bellinzona, responsabile per il Municipio dell’amministrazione, quindi anche della gestione del personale.
Ed è in quel paese che sicuramente ha preso ispirazione, poi trasmessa al resto del Municipio e al capo del personale della città, per impedire che una discussione democratica avvenisse nel corso dell’assemblea del personale dello scorso 5 settembre.
Un’assemblea che ha deciso di sostenere (a larga maggioranza) l’accordo concluso tra i sindacati di regime (VPOD e OCST) e il Municipio, e consegnato ad un messaggio che il Consiglio Comunale deve ancora approvare.
Un’assemblea durante la quale ai lavoratori che si opponevano ai risultati dell’accordo (ritenuto insufficiente e inadeguato a garantire il recupero delle perdite pensionistiche che si prospettano) è stato addirittura impedito di presentare una propria proposta di risoluzione (che pubblichiamo in questa stessa pagina). Senza contare le pressioni che da giorni i vertici dell’amministrazione esercitano sui lavoratori, con i soliti ricatti condivisi anche dai sindacati di regime (o si accetta questo o non vi sarà nulla). Il tutto condito con informazioni che, da almeno due anni, sono false, sbagliate, spesso – quelle che vengono date – imprecise e incomprensibili: il tutto per nascondere un’evidenza che nessuno (nemmeno i sindacati di regime) osa ormai negare: il passaggio alla nuova cassa pensione si è rivelato una grossa perdita per la stragrande maggioranza dei salariati.
Che dire ancora di questa assemblea? Parecchie cose, che la caratterizzano come un’assemblea degna della Corea del Nord, convocata solo per dire sì. Infatti non tutti i lavoratori e le lavoratrici hanno ricevuto una convocazione personale per questa assemblea; nessuno ha ricevuto una riga di documentazione (e si sa quanto difficili siano da comprendere le questioni di ordine pensionistico: non basta certo proiettare un paio di slade per “informare”); nessuno ha ricevuto una documentazione personale che segnali in modo preciso a quanto ammonta la perdita con il nuovo sistema; addirittura l’ingresso all’assemblea è stata autorizzata al solo personale…e al sindaco Branda che ha potuto prendere la parola per esercitare ricatti e pressioni sui lavoratori, senza che altri potessero esporre un punto di vista alternativo. E che dire del fatto che una parte del personale (quelli impegnata in lavoro a turni, come ad esempio il personale delle case anziani) non abbia potuto nemmeno avere la possibilità di partecipare ad un’assemblea che cominciava alle 16.30? La proposta fatta da alcuni dipendenti di tenere due assemblee in orario diverso per permettere a tutti e tutte di partecipare non è stata nemmeno presa in considerazione.
Si tratta sicuramente di una reazione di paura. Una paura che ha cominciato a montare nella scorsa primavera quando, arrivati i nuovi certificati assicurativi, una fetta importante del personale ha cominciato a capire che era stata fregata e che, contrariamente alle promesse del Municipio, non solo avrebbero visto rendite e salario disponibile diminuire, ma non avrebbero potuto più esercitare il diritto ad un pensionamento anticipato senza perdite stratosferiche che, di fatto, impediscono proprio l’esercizio di tale diritto.
Di fronte all’attivismo dell’MPS, che ha cominciato a denunciare la situazione e a riunire il personale, i sindacati di regime sono corsi ai ripari: hanno dovuto ammettere che, effettivamente (e contrariamente a quanto avevano sempre sostenuto), i lavoratori avrebbero subito delle perdite. Cominciava allora una trattativa il cui risultato era un importo di circa 3 milioni messo a disposizione dal Municipio. Una miseria, subito denunciata come tale. Il personale faceva poi un ulteriore passo avanti e firmava, in maggioranza, una petizione con una serie di richieste. Ed è stato proprio sulla base di questa pressione che i sindacati di regime sono stati costretti a rinegoziare l’accordo e il Municipio a concedere quasi il doppio (i 5,8 milioni dell’attuale accordo) con la speranza di potersela cavare.
Inutile dire che questi soldi servono a malapena a coprire la metà della perdita subita dall’aumento del tasso di conversione deciso dalla nuova cassa (e che i lavoratori della città subiscono perché non ancora integrati a pieno titolo nella nuova cassa: tutti gli altri assicurati hanno potuto beneficiare dello scioglimento di riserve che ha neutralizzato questa perdita). Questa mancata integrazione totale nella nuova cassa pensione viene dal fatto che il Municipio di Bellinzona non ha voluto coprire (come invece hanno fatto altri Comuni, ad esempio Biasca e Ascona) la differenza del tasso di copertura, preferendo che venisse addossato ai lavoratori che ci impiegheranno circa 5 anni a coprire questa differenza e potranno poi così essere integrati a pieno titolo: con il pericolo che nel frattempo vi siano nuovi adeguamenti del tasso di conversione verso il basso e ulteriori perdite.
Resta quindi la perdita della metà di questa diminuzione del 13% delle rendite; a cui si aggiunge la perdita di una rendita transitoria per chi volesse beneficiare del pensionamento anticipato che prima veniva garantita dal fondo di prepensionamento della città, sciolto al momento del passaggio alla nuova cassa.
Perdite pesanti, come hanno dimostrato tutte le calcolazioni fatte (persino quelle imprecise e pasticciate dei sindacati di regime) che gettano un’ombra sinistra sul futuro pensionistico dei dipendenti della città di Bellinzona.
Che Municipio e sindacati di regime abbiano ottenuto l’assenso dell’assemblea del personale, manipolandola in modo antidemocratico, non toglie nulla alla gravità della situazione. Potremmo ricordare che gli stessi partiti politici che siedono in Municipio e gli stessi sindacati convinsero più di 40 anni fa il popolo svizzero a votare per il sistema pensionistico dei tre pilastri (creando quel mostro che si chiama secondo pilastro), preferendolo ad un rafforzamento dell’AVS. Ed è proprio in questi anni che cominciamo a pagare pesantemente quelle scelte, con un sistema ormai in grave difficoltà proprio per l’impostazione allora caldeggiata da lor signori al quale il popolo svizzero, come oggi i lavoratori che hanno partecipato all’assemblea del personale, ha dato fiducia. Mai è stata così mal riposta.