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Era nell’aria ed è arrivato: concentrico, condotto dai cosiddetti “partner sociali” e dalle stesse forze che avevano sostenuto sia la RFFA che il progetto PV2020.

Alludiamo ai due progetti presentati nelle scorse settimane e che vogliono “riformare” i due pilastri del sistema pensionistico svizzero: il primo pilastro (l’AVS) e il secondo (la Legge sulla Previdenza Professionale – LPP).

Questa simultaneità nella presentazione dei due progetti è la presa d’atto di un sistema (forgiato una quarantina di anni fa con il concorso dei partiti nazionali di governo e delle direzioni sindacali) che, in alcune sue componenti fondamentali (pensiamo al secondo pilastro), non è ormai lontano dall’implosione.

Non sorprende quindi che a proporre queste “riforme” siano esponenti di punta di quelle stesse forze che ci hanno portato alla difficile situazione per gli attuali e i futuri pensionati: il progetto sulla riforma della LPP è stato infatti presentato dalle direzioni sindacali e dai rappresentanti delle associazioni padronali, capitanate dal già candidato al consiglio federale PSS Pierre-Yves Maillard (riciclatosi alla testa dell’USS dopo il lungo periodo in Consiglio di Stato nel canton Vaud); quello sull’AVS dal governo per bocca del consigliere federale PSS Berset (a suo tempo preferito proprio a Maillard…).

Queste stesse forze, unitamente ai partiti borghesi, erano state decisive una quarantina d’anni fa per far passare il sistema dei tre pilastri, a scapito di un sistema di pensioni popolari fondato sullo sviluppo dell’AVS.

La difficile e problematica situazione nella quale ci troviamo è il risultato di quel sistema ormai giunto a maturazione.

Per quel che riguarda l’AVS, tutto come da copione, come avevamo denunciato durante la campagna contro la RFFA. Il governo propone di aumentare l’età AVS per le donne da 64 a 65 anni e di aumentare l’IVA dello 0.7%. È significativo che, proprio a pochi giorni, dal più grande sciopero delle donne della storia di questo paese, sciopero incentrato – tra l’altro – sul tema della parità, il governo, in più per bocca di un ministro “socialista” non trovi di meglio che proporre quella che, da sempre, viene indicata come un esempio deleterio di parità al contrario (l’aumento dell’età AVS da 64 a 65 anni), cioè quella parità che per le donne rappresenta un peggioramento e non un progresso di qualsiasi tipo. Semplicemente vergognoso!

Per il resto val la pena ricordare come l’IVA sia una tassa che va a colpire soprattutto i consumi dei salari più modesti e quindi rappresenti un modo di finanziamento assolutamente contraddittorio (poiché non solidale) con quella che vuole essere l’impostazione dell’AVS. Inutile aggiungere che l’aumento dell’IVA inciderà anche sul salario disponibile di pensionati e salariati.

Va infine sottolineato come, tra tutte le misure previste da questa riforma, nessuna, ma proprio nessuna migliorerà anche di un solo centesimo la difficile situazione nella quale si trovano oggi molti pensionati.
In altre parole, uno dei temi più gravi e urgenti con il quale sono confrontati centinaia di migliaia di salariati già in pensione, cioè il livello insufficiente delle rendite, non viene nemmeno sfiorato: non male per una riforma del sistema previdenziale che “guarda al futuro”.

Per quel che riguarda il secondo pilastro, la proposta dei cosiddetti partner sociali penalizza fortemente i salariati ed avvantaggia in modo determinante i padroni.

Rientrano in questo ambito, prima di tutto, la diminuzione dall’attuale 6,8% al 6% del tasso di conversione.

Si tratta di una diminuzione delle rendite del 12%. Una misura, val la pena forse ricordarlo, già respinta a più riprese in votazione popolare. Una dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di quanto poco conti per questi personaggi (qualsiasi sia il colore politico che dicono di rappresentare) quella volontà popolare che tanto dicono di voler rispettare.

A questa misura se ne aggiungono altre che vengono presentate come favorevoli ai salariali e alle salariate che percepiscono bassi salari, in particolare i lavoratori e le lavoratrici a tempo parziale o, ancora, i lavoratori e le lavoratrici più anziani/e.

Rientrano in questa logica le nuove percentuali degli accrediti di vecchiaia che da tre vengono ridotte a due, diminuendo di fatto a partire dai 35 anni di età. Questo significa, visto che le pensioni altro non sono che salario (salario differito viene chiamato in termini tecnici) una diminuzione del salario versato ai dipendenti a vantaggio dei datori di lavoro.

Che questo poi possa favorire (come pretendono coloro che lo propongono) l’occupazione (poiché meno onerosa per i datori di lavoro) è tutto da dimostrare e la diminuzione certa di questo costo salariale non rappresenterà un motivo giuridicamente valido per opporsi ad eventuali licenziamenti.

Pure polvere negli occhi la cosiddetta rendita transitoria (di 200 franchi mensili, 2’400 franchi annuali) per i primi 5 anni poi ridotta a 150 franchi mensili, 1’800 franchi annui per i successivi 5 anni e per i 5 anni successivi a 100 franchi mensili, cioè 1’200 franchi annuali) finanziata con un prelievo dello 0,5% sui salari (lo 0,25% a carico dei datori di lavoro).

Anche in materia di finanziamento di questa rendita transitoria, va ricordato come un aggravio dello 0.25% per il padronato è poca cosa di fronte alla diminuzione delle aliquote per gli accrediti di vecchiaia (che diminuiscono dai 35 anni in avanti).

Alla luce di queste prime considerazioni, appare chiaro l’obiettivo padronale e delle direzioni sindacali, nonché del Consiglio federale: mettere delle pezze ad un sistema pensionistico ormai divenuto inefficace, sia dal punto di vista del suo funzionamento che della sua capacità di offrire rendite adeguate oggi e in futuro, scaricandone i costi sui salariati, in particolare diminuendone fortemente le prestazioni. Caricando tuttavia l’onere sui salariati che, in compenso, otterranno poco o nulla.

Il padronato si troverà fortemente sgravato dagli oneri pensionistici che altro non sono, val la pena ricordarlo, salario. In altre parole si tratta di una riforma che redistribuisce a favore del capitale e a sfavore del salario. Esattamente il contrario di quanto si dovrebbe fare se si volesse sul serio rafforzare il sistema pensionistico: redistribuire ricchezza a favore del lavoro e non del capitale.

Per tutte queste ragioni l’MPS, così come aveva già fatto negli ultimi due anni su PV2020 e sulla RFFA, si mobiliterà, contro questi due progetti a tutti i livelli.

Aumento età pensione donne, non se ne parla!

Una parte dei commenti sulla proposta del governo di aumentare l’età AVS per le donne, fulcro della proposta di riforma AVS21, mette in relazione l’entrata in materia sulla stessa sottoponendola ad una serie di condizioni.

In particolare da parte del PSS (e in parte anche dei Verdi) si sottolinea come questa proposta possa entrate in linea di conto sulla base di determinate condizioni.

Per in Verdi, ad esempio, s e ne potrebbe discutere se fossero realizzate tutta una serie di condizioni, a cominciare da quelle relative alla parità salariale.

Per il PSS (e per una parte del movimento sindacale) l’impostazione è sempre la stessa, quella che lo ha portato a sostenere, ad esempio nell’ambito del progetto PV2020, l’aumento dell’età AVS per le donne a 65 anni. Nel corso di quella campagna referendaria molti esponenti del PSS (a cominciare dall’attuale presidente del Consiglio Nazionale Marina Carobbio) il “compromesso” raggiunto che contemplava l’aumento dell’età AVS per le donne.

Il ragionamento di allora di costoro, come detto, è sempre lo stesso: trovare delle compensazioni sufficienti a giustificare questo aumento. In altre parole mettere a disposizione dei salari più bassi dei versamenti compensativi che permettano alle donne di andare in pensione ancora a 64 anni (quindi in modo anticipato) senza subire sostanzialmente grosse decurtazioni nella rendita.

Oggi, nel progetto presentato dal Consiglio federale, queste compensazioni sono ritenute dal PSS insufficienti (malgrado la “lotta” in Consiglio Federale di Berset per aumentare la somma messa a disposizione!); solo attraverso una messa a disposizione di maggiori mezzi il PSS è pronto ad entrare in discussione.

A noi queste posizioni “possibiliste” paiono decisamente sbagliate. L’aumento dell’età AVS per le donne non risponde ad un bisogno astratto di “parità”, ma a quello, concreto, di allungare il tempo di lavoro: un’esigenza che governo e padroni condividono. Questo aumento per le donne è (che, particolare non secondario, rappresentano la maggioranza della popolazione) è un primo passo affinché poi venga aumentata l’età del diritto al pensionamento AVS per tutti. Progetti già avanzati pubblicamente a più riprese.

E non a caso, nel quadro del progetto AVS21, è prevista la possibilità di un pensionamento “à la carte” tra i 62 e i 70 anni di età.

Quindi un “NO” chiaro all’aumento dell’età AVS per le donne, senza se e senza ma.

 

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