Il Cile è stato considerato per decenni l’esempio più evidente di stabilità in Sud America attraverso l’adozione di politiche neoliberali, attuate come se fossero principi religiosi. Il paese si trova ora in una situazione di aperta ribellione. Questa rivolta è esplosa in Cile proprio a causa delle conseguenze di queste stesse politiche.
Il Presidente Sebastián Piñera e la brutale e violenta repressione del governo cileno hanno ucciso almeno 18 persone. Più di 5’000 persone sono state arrestate o sono detenute. Sui social media circolano centinaia di video che testimoniano di orribili azioni militari e della polizia contro la popolazione cilena. Le tattiche sempre più disperate del coprifuoco, dello stato di emergenza, della repressione, della denigrazione pubblica dei manifestanti descritti come criminali e della violenza senza sosta stanno portando ogni giorno più gente per le strade. Ad ogni intensificazione della repressione, le strade si riempiono, il giorno successivo, di nuova energia, un’energia già incredibile.
Giovedì 24 ottobre, più di 20 porti sono stati bloccati dai portuali. Oggi e domani, i sindacati di tutto il paese hanno chiesto e stanno organizzando attivamente uno sciopero generale.
Come tutto ciò potrebbe essere solo la conseguenza di un aumento di 30 pesos delle tariffe dei trasporti pubblici [1]? È evidente a tutti che non può trattarsi solo di questo, anche se il trasporto è assai caro. Un lavoratore con un salario minimo a Santiago paga fino al 15% del proprio stipendio per i trasporti pubblici se prende l’autobus o la metropolitana due volte al giorno. E ciò in un paese in cui più della metà della popolazione guadagna meno del salario minimo ufficiale.
Ma, naturalmente, qualsiasi ribellione di tale portata e profondità richiede molto più carburante.
La guerra di classe dall’alto
Dalla dittatura militare degli anni ’70, il Cile è stato il più fedele aderente alla politica neoliberale della scuola di Chicago, nota come “guerra di classe dall’alto”. Ci sono una serie di elementi reali e sostanziali ereditati da quell’epoca che alimentano direttamente l’attuale ribellione. I “miracoli della privatizzazione” della Thatcher e di Reagan sono stati modellati sulle esperienze cilene iniziate ai tempi di Pinochet.
Quasi tutto ciò che era pubblico è stato privatizzato in tutto o in parte. Come negli Stati Uniti e in molti paesi dell’America Latina, il Cile ha un sistema sanitario pubblico attivamente indebolito, debole e frammentato. Coloro che possono permetterselo spendono una parte significativa del loro reddito per i piani sanitari privati, in modo da non far parte delle migliaia di cileni che muoiono ogni anno in attesa di cure mediche. Come in Canada, gli studenti devono pagare tasse scolastiche elevate per frequentare l’università e riescono a laurearsi solo accumulando un debito che richiede regolarmente più di un decennio ai laureati e alle loro famiglie per poter essere rimborsato.
Il sistema pensionistico è completamente privatizzato [sistema a capitalizzazione individuale]. Nel quadro di sforzi politici mal celati per replicarne il modello, gli economisti presentano il modello cileno degli “amministratori dei fondi pensione” (AFP) a capitalizzazione individuale come un grande successo in tutta la regione. Questo sistema è stato istituito ai tempi della dittatura. È gestito da aziende private che “prestano” a sé stesse denaro prelevato dal fondo pensione dei lavoratori! Esse possono poi trattenere per sé stesse tutti i profitti derivanti da questi investimenti e trasferire le perdite ai lavoratori. Il sistema lascia i pensionati in condizioni di miseria. I sindacati e altri gruppi si battono da anni per cambiare questo sistema. Piñera ha presentato alcune proposte, attualmente all’esame del Senato, che permetterebbe di attribuire ulteriori risorse a queste aziende.
Gli abitanti di Santiago pagano alcune delle più alte bollette dell’acqua di tutto il continente e devono far fronte a carenze croniche. La rete idrica è stata completamente privatizzata ai tempi di Pinochet. Si tratta esattamente del modello promosso dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Oggi, tre quarti dei cileni sono favorevoli al ritorno della proprietà dell’acqua in mano pubblica.
La costituzione nazionale cilena e il regime dei diritti dei lavoratori sono stati pure creati sotto la dittatura militare. Molti sindacati sono deboli e frammentati dalla legge, hanno poco potere contrattuale, gli orari di lavoro sono lunghi, le vacanze sono rare e lo sfruttamento è intenso. L’unico paese della regione con maggiori disuguaglianze è il Brasile (il Cile compete con la Colombia per il secondo posto). Proprio il paese in cui l’attuale presidente sta cercando di riprodurre le politiche cilene.
Anche se i Mapuche (il principale gruppo indigeno cileno) non hanno mai formalmente ceduto allo Stato coloniale, la violenza sistematica contro di loro è stata inesorabile per secoli e i suoi effetti sono stati esattamente quelli previsti. La violenza pubblica e privata contro i popoli indigeni continua oggi in un contesto simile a quello del Canada, dove molti popoli indigeni sono visti come ostacoli imbarazzanti all’utilizzazione di “risorse naturali” altamente redditizie.
La guerra di classe dal basso
Così, la risposta immediata di alcuni organizzatori intelligenti, giovani e strategici all’aumento delle tariffe del trasporto pubblico è stata l’organizzazione di una campagna “salta al di là del tornello”. La campagna è iniziata immediatamente. La reazione del governo è stata quella di militarizzare le stazioni della metropolitana e reprimere violentemente il movimento. Quando questo non ha funzionato, la polizia ha chiuso le stazioni durante l’ora di punta. I lavoratori che tornavano a casa e a cui era stato negato l’accesso alle stazioni hanno quindi deciso di unirsi alle manifestazioni sempre più ampie.
La polizia di Santiago ha perso il controllo completo la scorsa settimana, quando 16 stazioni della metropolitana e la sede della multinazionale italiana dell’energia Enel sono state bruciate. Diversi altri edifici pubblici e privati e numerosi veicoli sono pure stati bruciati: tra cui Walmart. L’esercito è stato mobilitato ed è stato dichiarato lo stato di emergenza, così come il coprifuoco. Ciò è stato considerato particolarmente scandaloso anche perché questa eredità della dittatura militare non è mai stata messa in discussione in Cile.
Mentre Piñera ordinava un aumento della repressione per le strade, l’Istituto nazionale cileno per i diritti umani ha segnalato una serie di abusi e gravi violazioni da parte delle forze di sicurezza in tutto il paese: “Ci sono segnalazioni di uso eccessivo della forza al momento degli arresti, di molestie ingiuste nei confronti degli adolescenti, maltrattamenti, colpi al viso e alle gambe, torture, spogliazione di donne e uomini, violazioni di tipo sessuali e altre violazioni”. La risposta del Presidente è stata quella di dichiarare apertamente che il Cile è “in guerra“, alimentando nuovamente la protesta popolare. Quasi immediatamente, un generale [2] ha dichiarato pubblicamente di non essere in guerra con nessuno.
Il coprifuoco è stato apertamente contestato, poiché migliaia di manifestazioni decentrate si sono svolte in quartieri popolari e borghesi di tutte le principali città del paese. Dimostrazioni di questa rabbia si stanno ora manifestando in tutte le parti del paese, sia nelle grandi città che nelle zone rurali. I partiti politici tradizionali e la vecchia sinistra socialista del Cile sono stati totalmente incapaci di dare indicazioni o guidare questi movimenti.
Piñera ha promesso sempre più ampie concessioni a partire da lunedì scorso [3]. Prima ha annunciato la revoca dell’aumento delle tariffe, poi, dopo aver finalmente accettato che non era solo questione delle tariffe dei trasporti pubblici, ha proposto rapidamente un aumento del 20% per le pensioni più basse e l’inclusione di alcune costose cure mediche nel sistema pubblico. Tutto questo senza alcun effetto. Le dimostrazioni e ora gli scioperi generali continuano a crescere in forza.
L’unica risposta dello Stato è stata la repressione con quasi 10.000 soldati nelle strade delle città, dal nord al sud del paese. L’Istituto nazionale per i diritti umani sta attualmente indagando su un centro temporaneo di tortura che l’esercito ha allestito in una stazione della metropolitana chiusa. Sembra che la dittatura in Cile non sia mai realmente scomparsa. Ma è anche vero che nemmeno la resistenza è mai scomparsa. La rabbia popolare si consolida in questo coraggio e fiducia che porta all’affermazione che l’azione collettiva funziona, anche nei momenti politici più repressivi. Il mito secondo cui politiche neoliberali ben attuate assicureranno stabilità e crescita economica è morto. Adelante!
*Euan Gibb lavora per il sindacato Public Services International (PSI). Ha sede a São Paolo. Articolo pubblicato sul sito web canadese The Bullet, del 25 ottobre 2019. La traduzione in italiano è stata curata a partire da una traduzione in francese allestita dalla redazione del sito www.alencontre.org al quale si devono anche le note che seguono.
1. Reazione all’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana, fissandolo a 830 pesos, ovvero più di un euro nelle ore di punta, che rappresenta una somma molto significativa in relazione ai redditi della maggioranza della popolazione, costretta a percorrere lunghe distanze a causa della ristrutturazione socio-urbana degli ultimi decenni in una metropoli con una popolazione di 7,6 milioni di abitanti; alcuni studi indicano che un sesto del reddito medio della famiglia è dedicato ai trasporti.
2. Si tratta del generale Javier Iturriaga del Campo, considerato inflessibile. È il nipote di Pablo Iturriaga Marchese, alto ufficiale militare della dittatura, ritenuto responsabile della scomparsa di molti attivisti, tra cui Omar Venturelli, leader del MIR.
3. La sera di martedì 22 ottobre – al termine di una quinta giornata di manifestazioni di massa nelle principali città del paese – Sebastian Piñera si è rivolto per la seconda volta alla popolazione durante un discorso televisivo. Ha cercato di fare marcia indietro, pur mantenendo lo stato di emergenza: “Abbiamo sentito la voce di coloro che hanno espresso il loro dolore e le loro speranze… Non siamo stati in grado di riconoscere la portata di questa situazione di disuguaglianza e abuso…Mi scuso per questa mancanza di comprensione“. Chiedere perdono non ha messo fine alle mobilitazioni che esigono, tra l’altro, la partenza dei soldati che occupano le strade, le piazze e le stazioni della metropolitana. Piñera ha aggiunto: “Oggi abbiamo incontrato i presidenti dei partiti politici che hanno accettato il nostro invito al palazzo presidenziale [il PC e le altre forze di sinistra hanno rifiutato questo incontro] per cercare insieme di contribuire ad un grande accordo nazionale che ci permetterà di stabilire con grande urgenza un’importante agenda sociale“. In questo programma spiccano: un aumento del 20% delle pensioni più basse, un aumento del salario minimo, il congelamento delle tariffe elettriche, una riduzione dei salari dei parlamentari, un aumento delle tasse per i più ricchi. In relazione alla richiesta di ritiro dell’esercito dispiegato nelle grandi città, Piñera ha detto: “Come Presidente del Cile, ho il dovere di non revocare lo stato di emergenza finché non sono sicuro che l’ordine pubblico, la tranquillità, la sicurezza dei cileni e la protezione della proprietà pubblica e privata saranno rispettate”.
Va ricordato che, durante gli ultimi sei giorni di mobilitazione, le richieste di dimissioni del capo dello Stato e di modifica della Costituzione hanno occupato un posto significativo. Ciò solleva la seguente domanda: come saranno accolte queste “concessioni”, nel prossimo futuro, da una parte significativa della popolazione?