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Tradizionalmente, in occasione della Fiera Internazionale di Tessalonica Salonicco[i] i governi greci presentano i rispettivi programmi e le loro prospettive.

Quest’anno questo onore spettava a Kyriakos Mitsotakis[ii]. Il leader ultra-liberista di Nuova Democrazia si avvaleva del supporto della vittoria politica del suo partito nella tornata elettorale del 7 luglio 2019. Nuova Democrazia (ND), con il 39,8% dei voti, ha eletto 158 deputati, ottenendo la maggioranza dei 300 seggi del parlamento e quindi la possibilità di governare autonomamente. Benché la prospettiva della sconfitta di Syriza fosse prevedibile già da tempo, un risultato simile era inimmaginabile un anno prima, quando la maggioranza degli analisti politici avevano predetto la vittoria di Mitsotakis e della destra, ma non una maggioranza parlamentare autonoma per ND. La questione in concreto consisteva nel timore di un nuovo periodo di instabilità politica per il capitalismo greco, per le eventuali difficoltà di formare un governo di coalizione di ND con uno dei piccoli partiti, soprattutto con il Movimento per il cambiamento –KINAL – il piccolo partito (8,1%) di Fofi Gennimatas,[iii] sopravvivenza del PASOK di Andreas Papandreu, un tempo molto forte ma ormai sprofondato.

Anche nelle elezioni regionali [26 maggio e 2 giugno] ND ha vinto in 12 delle 13 regioni del paese. La destra esce dunque incontestata vincitrice delle prove elettorali della fine del periodo del governo SYRIZA. L’avvenimento è stato accolto favorevolmente da tutte le forze del sistema, che hanno dimenticato in fretta il loro scetticismo sulla capacità di leadership di Kyriakos Mitsotakis e l’efficienza politica del suo partito. Ricordiamoci che nei sondaggi effettuate durante i tumultuosi anni dal 2015 in poi, ND, in riflusso più moderato del PSOK, fosse scesa al 14% delle intenzioni di voto, conservando solamente il nocciolo duro della destra storica. Ora però tutti i pilastri del sistema salutano unanimi “il ritorno alla normalità”.

Un lettore attento constaterà come quel che si acclama sulle pagine della stampa borghese “seria” non è la sconfitta di Alexis Tsipras – dimostreremo più avanti come ci si sforzi di mantenere le prospettive del gruppo dirigente di SYRIZA – ma soprattutto la sconfitta del grande movimento operaio e popolare degli anni 2010-2013, che portò alla vittoria di SYRIZA nel gennaio 2015. E, sulla scia, alla nascita di una forza popolare che, in occasione del referendum dell’estate 2015, con la forza del 62% dei voti (per il NO) reclamava la fine immediata dell’austerità e il rovesciamento delle controriforme neoliberiste. L’attuale parola d’ordine del “ritorno alla normalità” denuncia esattamente la “follia” di un’epoca in cui “quelli in basso” avevano nutrito la speranza di vincere la battaglia politica.

Il governo di destra

Kyriakos Mitsotakis, quando stava per arrivare al governo, era ricorso a slogan duri e al linguaggio di una destra revanscista. Puntava a trasformare la prevedibile sconfitta politica di SYRIZA in una sconfitta strategica del movimento operaio e della resistenza sociale, cercando di svalutare tutte le idee, i metodi e gli stessi simboli delle lotte popolari. Alcuni alti responsabili di Nuova Democrazia, quali gli attuali ministri Adonis Georgiades e Maxis Voridis, provenienti dall’ala dell’estrema destra del partito, avevano pubblicamente preannunciato l’obiettivo del predominio politico della destra di ampiezza analoga a quella insediatasi in Grecia dopo la guerra civile del 1944-1949.

Durante i primi due mesi del governo Mitsotakis, si sono lanciati alcuni segnali allarmanti. La polizia, diretta dall’ex socialdemocratico Michalis Chrisochoïdis, amico dei servizi segreti americani e ben in vista sotto il governo del PASOK per il suo contributo alla “lotta contro il terrorismo”, ha aggredito e smantellato le “occupazioni” dei rifugiati. Ha poi dichiarato guerra per “l’applicazione dell’ordine e della legge” nel quartiere di Exarchia (ad Atena), luogo emblematico dell’attivismo anarchico, dell’estrema sinistra e del movimento giovanile. La ministra ultraliberista dell’Istruzione, Niki Kerameos, ha inaugurato il proprio mandato sopprimendo “il diritto d’asilo”, l’inviolabilità da parte della polizia dei siti universitari, una conquista del movimento studentesco contro la dittatura dei colonnelli che nessun governo finora aveva osato rimettere in discussione. Alcuni quadri dirigenti di ND ed esponenti del governo parlano dei rifugiati e dei migranti in modi assolutamente sprezzanti (“rifiuti umani”), legittimando in questo modo atti razzisti. La Chiesa ortodossa greca ha istituito una giornata di “lutto” dedicata ai “bambini non nati”, inaugurando la rimessa in questione del diritto all’aborto legale e gratuito.

La lotta contro la repressione, il razzismo e l’offensiva ideologica conservatrice della destra costituirà un primo banco di prova per il movimento popolare, il cui esito si delineerà nel corso delle battaglie di questo autunno.

L’intera storia della lotta delle classi in Grecia, tuttavia, dimostra come la repressione, da sola, non sia mai bastata a garantire la longevità di un governo. L’esempio migliore è quello del governo di Konstantinos Mitsotakis il quale, avendo promosso l’offensiva neoliberista del 1989 con l’appoggio incondizionato di tutte le forze del sistema, è stato alla fine rovesciato nel 1993, sulla scia di un grande movimento contro le privatizzazioni, le cui occupazioni e i dinamici scontri ad Atene non erano animati dall’estrema sinistra o dagli anarchici ma dai lavoratori delle banche, dei trasporti e delle telecomunicazioni.

Kyriakos Mitsotakis, in occasione della Fiera di Salonicco di quest’anno, si è dimostrato consapevole dei pericoli cui si troverà di fronte a medio termine. Con sorpresa della maggior parte degli analisti della stampa, è ricorso a un linguaggio “centrista”, lasciando spazio in questo modo a trattative politiche e, se necessario, a “consensi più ampi”. Chiaramente, il messaggio era rivolto sia al KINAL di Fofi Gennimatas, sia a SYRIZA e ad Alexis Tsipras.

Al centro di questa scelta c’è il timore dei futuri sviluppi. Tutti sono consapevoli che l’accordo dell’agosto 2018 tra Tsipras e i creditori della Grecia, quello di un’ingannevole “uscita dai memoranda”, si basa sullo scenario più ottimistico per l’economia internazionale. Interrogato a Salonicco sulle conseguenze di un eventuale rallentamento economico internazionale, l’ultraliberista Kyriakos Mitsotakis ha escluso dalle sue congettura una simile eventualità ed ha auspicato una… svolta neokeynesiana dell’UE, portando a mo’ d’esempio l’esigenza di moderazione delle misure di austerità in Germania.

Certo, dietro queste esitazioni, dietro il linguaggio suadente in cerca di consenso, si profilano tutte le scelte inflessibili che la classe capitalistica esige oggi dalla Grecia:

● Mitsotakis ha annunciato l’immediata abrogazione di tutte le restrizioni in materia di protezione dell’ambiente e di riassetto territoriale che potrebbero scoraggiare gli investitori, nonché degli obblighi minimi in fatto di sanità e sicurezza dei/delle lavoratori/lavoratrici, per ogni singola nuova impresa. Al centro di questa fascia di misure va segnalata la “flessibilizzazione” dei Contratti collettivi, che consente ai capitalisti di pagare i salariati qualificati, in certe regioni o settori, con il salario minimo legale (650 euro mensili) invece del salario contrattuale spettante a queste categorie.

● Annuncio di un’accelerazione galoppante delle privatizzazioni, a partire dalla conclusione della vendita al ribasso di un enorme area costiera, ad Elliniko nell’Attica, al gruppo immobiliare privato Latsis [Fondazione Latsis Internazionale, con sede a Ginevra]; la vendita dell’aeroporto di Atene, la privatizzazione della società pubblica Greek Petroleum (che controlla una delle maggiori raffinerie nel Mediterraneo), la privatizzazione della Compagnia pubblica di gas naturale. Inoltre, e non è un segreto per nessuno, è già in preparazione il progetto di privatizzazione della grande società pubblica dell’elettricità, cosa che non aveva osato finora alcun governo.

●Sul problema scottante della fiscalità, Mitsotakis ha annunciato l’immediata riduzione al 24% dell’imposta sui profitti delle imprese – oggi al 28% – entro l’anno in corso, quindi al 20% l’anno successivo, nonché di quella sui dividendi degli azionisti dal 10% al 5%. Si tratta di un regalo rilevante per i capitalisti, mentre le riduzioni delle imposte per i semplici cittadini saranno irrilevanti. Mitsotakis ha annunciato la riduzione del tasso di imposta per i cittadini, ma solo se al disotto dei 10.000 euro, quando già 8.648 euro non sono soggetti a imposta. I tassi dell’IVA, l’imposta che grava sul consumo popolare, rimarranno immutati fino alla fine dei quattro anni del suo mandato.

Il problema della specifica tassa fondiaria detta ENFIA, che grava notevolmente sui carichi dell’alloggio, è la questione su cui ND spera di basare la sua alleanza con il ceto medio. La progressiva diminuzione di questa tassa, con l’obiettivo della sua riduzione finale media del 30%, avvantaggerà i proprietari di beni di valore elevato, mentre è una misura che concederà solo qualche briciola a numerose famiglie popolari, che dovranno subire l’aumento del costo dell’elettricità

● Infine, sul problema critico della ricontrattazione delle elevatissime “eccedenze di bilancio”- concesse ai creditori da Tsipras al 3,5 del PIL annuo – per il rimborso del debito pubblico, Mitsotakis si è preso cura di ritornare sui propri impegni preelettorali. Ha rinviato la questione a un futuro imprecisato, sottolineando che aveva l’intenzione di rimetterla sul tappeto soltanto dopo accordo con i creditori, dicendo di poter dare per scontato al riguardo l’appoggio di… Christine Lagarde, appena eletta alla guida della BCE.

Non c’è da sorprendersi: un programma simile è stato accolto benissimo dalla classe capitalista. La stampa ha emesso la diagnosi: una soluzione ragionata, priva delle contraddizioni ideologiche cui sottostava Tsipras.

Tuttavia, questi commenti non riflettono un qualche entusiasmo e neppure un ottimismo di fronte all’eventuale “arrivo della crescita”. L’indomani degli annunci alla FIT il quotidiano To Vima, di proprietà dell’oligarca V. Marinakis (amico di Mitsotakis), ha pubblicato un lungo articolo di Nikos Christodoulakis, ex ministro delle Finanze del precedente governo social-liberista di Kostas Simitis [1996-2004, ma aveva occupato ministeri a partire dal 1981]. L’ex “zar” dell’economia greca ha sottolineato come le “piaghe” economiche greche non siano ancora guarite: disinvestimento massiccio, fortissima percentuale di effettiva disoccupazione, forte calo della domanda interna. In queste condizioni, scrive, soltanto un programma di massiccio investimento pubblico sarebbe in grado di rafforzare la marcia del paese verso la “crescita”. Ma questo è escluso, finché l’obiettivo “insensato” delle eccedenze di bilancio a livello del 3,5% determinerà la politica fiscale e di bilancio. Peraltro, Nikos Christodoulakis ha ironizzato sull’”ottimismo” di Mitsotakis, facendo notare che gli unici investimenti di cui sarebbe al corrente sono progetti di produzione di farmaci oppiacei in Grecia (nel momento in cui il settore è in crisi negli Stati Uniti), nonché certi progetti di “valorizzazione” turistica a briglie sciolte delle coste greche, che minacciano di distruggere l’ultimo “valore” non ancora intaccato dalla crisi greca. Nikos Christodoulakis ha inoltre suggerito un’altra nefasta eventualità: che la riduzione dell’imposta sul capitale, insieme alla soppressione del controllo dei capitali, potrebbe portare a un nuovo ciclo di fuga all’estero di questi ultimi e non all’aumento degli investimenti privati. Dal suo punto di vista, che non è assolutamente quello della classe operaia, il social-liberista Nikos Christodoulakis è per molti aspetti più coerente di coloro che applaudono Mitsotakis.

La crisi e l’instabilità del capitalismo greco non sono terminate: Il destino del governo Mitsotakis sarà quindi scritto dalla resistenza operaia e popolare (un fattore che nessuno in Grecia può sottovalutare), ma anche dagli sviluppi economici internazionali e dalle loro ripercussioni su un’economia locale che resta gravemente malata.

SYRIZA

Per sorprendente che sia stato l’accesso di ND alla maggioranza parlamentare autonoma, non meno lo è stato il fatto che SYRIZA abbia ottenuto il 31% dei voti degli elettori.

L’origine di questo risultato va ricercata sul versante della grande avversione di una larga parte dei lavoratori e della popolazione pauperizzata dalla ND, in particolare dalla famiglia Mitsotakis. All’epoca del potere del PASOK, il suo leader Andreas Papandreu impiegava lo slogan “Il popolo non dimentica che cosa significa la destra” per rafforzare e perpetuare la propria egemonia politica. Se uno slogan del genere veicola demagogia e confusione, riflette pur sempre un’esperienza storica: le linee di demarcazione all’interno del popolo greco, scavate durante il secolo scorso da due lunghe dittature e una guerra civile.

Parecchia gente, appartenente ai settori dello spazio radicale che non ha niente a che vedere con il partito di Alexis Tsipras, ha votato per SYRIZA “tappandosi il naso” per fare da contrappeso a Mitsotakis: Tuttavia, anche se questo spiega la conservazione delle forze elettorali di SYRIZA, non dice assolutamente nulla delle sue prospettive politiche. Perché la politica di Motsotakis procede nel solco scavato da Tsipras, e cioè l’imposizione del terzo memorandum.

Sotto il governo di SYRIZA, la vita dei lavoratori e degli strati popolari non solo non è migliorata, ma si è deteriorata ulteriormente in seguito alle misure in atto del terzo referendum. La quota di salari e pensioni in percentuale del PIL è diminuita, contrariamente a quella di cui ha beneficiato il capitale. Il salario reale medio della classe operaia si è ridotto. nonostante l’aumento del salario minimo, e le remunerazioni di una parte crescente dei/delle lavoratori/lavoratrici tendono verso il salario minimo e per periodi più prolungati della loro vita attiva. Il calo della disoccupazione è artificioso, poiché le statistiche escludono le centinaia di migliaia di giovani costretti a emigrare e tacciono sull’aumento enorme del numero di posti di lavoro precari. Le privatizzazioni sono state “legittimate” come inevitabili e per la prima volta sono state estese ai cosiddetti settori strategici (porti, aeroporti, grandi infrastrutture pubbliche), in larga parte risparmiati finora. L’impiego nel settore pubblico è diminuito e si è precarizzato, con tutte le drammatiche conseguenze per il funzionamento delle scuole e degli ospedali pubblici. La legge Georgios Katrougalos[iv] ha posto le fondamenta della completa privatizzazione del sistema di assistenza pubblica.

Sotto l’amministrazione Trump (!), il governo Tsipras è stato più apertamente filoamericano che non i governi greci successivi al crollo della dittatura dei colonnelli. Ha amplificato la nuova strategia nazionalista greca nel Mediterraneo orientale: “l’asse strategico” con lo Stato di Israele e la dittatura egiziana, la rivalorizzazione tecnica e strategica delle basi militari americane in Grecia, la messa in opera di nuovi progetti di armamento secondo gli auspici del militarismo greco.

Le iniziative del governo Tsipras hanno aperto la strada a Mitsotakis. Scoraggiando e frustrando in modo massiccio le forze operaie e popolari, questa politica ha chiuso efficacemente la finestra di speranza storica dischiusa nel 2015, senza calcolare che questo avrebbe portato a una nuova vittoria della destra. La sconfitta politica del 7 luglio 2019 rientra nella continuità della disfatta politica dell’estate 2015.

Tutti questi elementi, al di là del loro valore interpretativo delle cause che ci hanno portato all’attuale situazione, determinano anche i limiti della futura “opposizione” politica di Tsipras di fronte alla destra. Le dichiarazioni di SYRIZA, fatte all’indomani degli annunci governativi alla FIT, rappresentavano un momento di imbarazzo politico: SYRIZA accusava Mitsotakis di approfittare dei risultati positivi della politica di Tsipras e di “servirsi delle conquiste” dell’era SYRIZA! Come criticare le “eccedenze di bilancio” quando è stata instaurata grazie alla firma di SYRIZA? Come criticare la riduzione d’imposta sul capitale quando è stato il governo Tsipras ad avviarla? Come rimettere in discussione la flessibilizzazione dei contratti di lavoro da lui stesso istituita? Come opporsi alle privatizzazioni?

Il progetto politico di Tsipras è conservare delle forze elettorali in attesa dell’usura politica di Mitsotakis. È su questa speculazione che si basa il completamento della svolta social-liberista, annunciata dal progetto di una “Alleanza progressista”.

Il 26 settembre Tsipras ha tracciato le caratteristiche di una nuova SYRIZA. Dal suo prossimo congresso SYRIZA sarà un partito “nuovo”. Fin da ora Alexis Tsipras parla di “e-SYRIZA”, il partito elettronico, indicando la base per la costruzione del nuovo polo del bipartitismo, un’alternativa di tipo “prête-à-porter” a Kyriakos Mitsotakis, avente come modelli ideologici Macron e Renzi.

In un contesto del genere, ogni voce in seno a SYRIZA che si definisca “a sinistra del gruppo Tsipras” è destinata alla sconfitta umiliante e all’emarginazione. Il meccanismo di comunicazione di Tsipras sta già attaccando pubblicamente Panos Skourletis (segretario del partito), Nikos Voutsis (ex presidente del parlamento), Nikolaos Fillis (ex ministro dell’Istruzione, destituito dalle sue funzioni dietro richiesta della Chiesa) e, a volte, persino Euclide Tsakalotos (il ministro delle Finanze firmatario del memorandum, presentato come una “tendenza di sinistra”). Ma tutte queste persone non appartengono alla sinistra radicale, perché tutti i militanti della sinistra radicale, compresa ogni sua sfumatura, hanno lasciato SYRIZA nel corso dell’estate 2015. A rimanere al suo interno sono veterani del movimento eurocomunista e sostenitori di un riformismo “europeista”, alcuni dei quali non sono però disposti a lasciarsi schiacciare da una mutazione completamente socialdemocratica, nell’era della subordinazione della socialdemocratica al neoliberismo. Gli attacchi a questi “dissidenti” sono ripresi a iosa dai media borghesi, il che dimostra che il progetto di un partito SYRIZA “nuovo”, più aperto e allargato imposto dal gruppo Tsipras è sostenuto da varie forze del sistema neoliberista. Queste forze sono riconoscenti verso Tsipras per i servigi resi, l’instaurazione della “pace sociale” e l’imposizione del terzo memorandum. Sono tutte altresì consapevoli che Mitsotakis potrebbe conoscere rovesci politici e che allora “un consenso più ampio” sarebbe utile alla stabilità del sistema.

La sfida è quella delle prospettive di un nuovo “sistema bipartitico”, in via di costruzione. La ND di Mitsotakis è sempre vista con ostilità da un gran numero di lavoratori e di persone povere (come attestano i risultati del 7 luglio nei quartieri operai); il nuovo SYRIZA di Alexis Tsipras è ancora lontano dalla stabilità e dalla determinazione del vecchio PASOK di Papandreu e di Simitis. Inoltre, il capitalismo greco resta debole ed è preoccupato dalla prospettiva di una nuova crisi internazionale.

È in questo contesto e in queste contraddizioni che la necessaria ricostruzione delle forze della sinistra radicale verrà messa alla prova nel prossimo futuro.

La sinistra “oltre” SYRIZA

Gli attuali sviluppi possono assumere un senso soltanto alla luce dell’insuccesso della sinistra “oltre” SYRIZA.

È infatti un dato (inscritto nei risultati elettorali del 7 luglio) che la sinistra radicale, in tutte le sue varianti, non è stata in grado di costruire un’alternativa credibile e unificante di fronte alla deriva neoliberista austeritaria di SYRIZA e alla minaccia del ritorno della destra.

Si possono trovare delle giustificazioni. Le condizioni sociali obiettive sono diventate particolarmente difficili, lasciando sempre meno spazio all’iniziativa politica dei lavoratori e dei giovani. La frustrazione legata alla sconfitta del 2015 ha svolto un ruolo paralizzante. Ancora una volta nella storia, gli effetti paralizzanti della sconfitta hanno avuto un impatto ancor più negativo su quanti/e e quante si sono battuti/e contro l’orientamento che ha prodotto la sconfitta, mettendo in guardia da questa deriva.

Ma il dibattito sulle circostanze attenuanti non ha davvero più importanza. Bisogna rivolgersi verso i problemi politici che si profilano, perché è solo orientando il dibattito in questa direzione che la possibile ricostruzione avverrà.

Le elezioni del 7 luglio costituivano per il KKE (Partito Comunista Greco) una rara opportunità politica. Centinaia di migliaia di persone erano pronte e disposte spontaneamente a lasciare SYRIZA. Alla sua sinistra non esisteva alcuna seria minaccia, anzi centinaia di militanti di differenti sensibilità ne hanno riempito le liste di candidati. Il risultato (5,3%) non ha risposto alle aspettative, malgrado 10 anni di crisi e di grandi lotte sociali. L’incistarsi nell’immobilismo rivela il conservatorismo della sua linea politica (evidentemente, di ogni iniziativa politica, con la scusa che le condizioni non sono ancora sufficientemente “mature”) e il settarismo dei suoi metodi di intervento, evitando qualsiasi forma di unità sia nel movimento sia al livello della sinistra politica. Per la prima volta da anni le divergenze in seno alla direzione del KKE affiorano nel dibattito pubblico, tra coloro che insistono sulla “resilienza” del partito e coloro che cominciano a sostenere alcune aperture, al fine di rivendicare una maggiore influenza per il partito.

ANTARSYA, che aveva rifiutato per la seconda volta (dopo le elezioni del 2015) proposte di collaborazione politica ed elettorale con l’Unità Popolare, è sprofondata nell’insuccesso, ottenendo solo lo 0,4% dei voti. All’interno di questa coalizione, le tendenze centrifughe sono diventate notevoli. Sarà difficile colmare le divergenze tra chi insiste sul carattere “frontista” di ANTARSYA (soprattutto il Partito socialista operaio –SEK) e chi ricerca una strada verso un “nuovo partito comunista (soprattutto la corrente di “Nuova sinistra”- NAR), specie dopo i conflitti e le divisioni ai livelli locale e regionale.

Unità Popolare (LAE) ha subito un insuccesso schiacciante, ottenendo solo lo 0,28% dei voti alle elezioni nazionali, dopo lo 0,6% ottenuto alle europee. È la fine di un percorso e di un progetto inaugurati nel 2015 dalla scissione di SYRIZA e il lancio della “piattaforma di sinistra”. La principale componente interna di LAE (la corrente di sinistra, diretta da Panagiotis Lafazanis), assalita dalle difficoltà politiche del periodo 2015-2019, è ritornata alle tradizioni “fronte-populiste” e a una visione centralista dei problemi organizzativi e politici, con la personalità del capo come pilastro. Una visione ereditata dagli anni della sua prima costituzione all’interno del KKE. Il problema essenziale del “fronte-populismo” nell’attuale congiuntura greca è il suo approccio “amicale” al nazionalismo greco integrato in una strategia di presunta lotta per “l’indipendenza nazionale”. Questa linea politica è fallita: è stata condannata dalla maggioranza di quanti/e hanno seguito LAE nel 2015, ma anche da coloro che ricercavano un’alternativa dopo il disincanto per SYRIZA.

Questo insuccesso generale crea nonostante tutto condizioni nuove. La ricostruzione della sinistra radicale avrà come elemento preliminare un legame nuovo con i movimenti delle donne, le iniziative contro l’estrattivismo e la minaccia del cambiamento climatico, così come con la mobilitazione contro la repressione, ecc. La ricostruzione consiste nel raccogliere le forze intorno a un quadro politico radicalmente di sinistra e, al tempo stesso, unificante, concreto, incisivo… In questo senso, la ricostruzione è legata al rafforzamento di una visione unitaria dell’azione e del funzionamento. Una visione che sembra acquisita da un largo settore di militanti. Una tendenza che si è espressa con le organizzazioni della sinistra radicale che, alcune settimane fa, hanno reso pubblici i loro intenti in un testo comune, sottoscritto da DEA (Sinistra operaia internazionalista), ARAN (Ricostruzione a sinistra), “Confronto”, “Incontro”.[v]

La ricostruzione della sinistra radicale in Grecia potrebbe richiedere del tempo e avrà bisogno di sforzi coscienti e organizzati. Ma si tratta di una cosa che concerne vere risorse militanti (probabilmente più importanti che non in altri paesi d’Europa), di un potenziale che ha accumulato un’esperienza preziosa nel corso degli ultimi anni.

È questo che ci consente di sperare che, in un prossimo futuro, potremo di nuovo tornare a inviare messaggi ottimistici ai nostri compagni su scala internazionale.

Testo inviato dall’autore e tradotto in francese per À l’Encontre da Emmanuel Kosadinos – Traduzione dal francese di Titti Pierini

(i) Si tratta di un “forum” di uomini d’affari, o di personalità politiche e ospiti internazionali, organizzato ogni mese di settembre a Salonicco, sugli sviluppi economici, politici e geopolitici [Ndt].

(ii) La famiglia Mitsotakis è una delle “grandi famiglie” politiche in Grecia. Konstantinos Mitsotakis, il padre dell’attuale Primo ministro, era membro dell’Unione di Centro, che aveva lasciato nel 1965 per collaborare agli intrighi politici del sovrano. Secondo il PASOK, quel “tradimento” preparava l’imposizione della dittatura nel 1967. Dopo il 1977, Mitsotakis ha raggiunto la destra ed è diventato il capo dell’ala neoliberista di Nuova Democrazia. Kyriakos Motsotakis era una quadro di media importanza dei governi di destra. È diventato il capo di ND nel 2015, quando la vittoria di SYRIZA ha comportato l’espulsione dell’estrema destra di Antonis Samaras e dell’ala di “destra popolare” di Kostas Karamanlis [Ndt].

(iii) Figlia di Yorgos Gennimatas, quadro storico del PASOK. Attualmente è alla testa di un piccolo partito socialdemocratico instabile, il KINAL (Movimento per il cambiamento), che rappresenta la prosecuzione del PASOK, mentre è più largamente percepito come un partito “di transizione”. Gran parte della ex direzione del PASOK è già passata a SYRIZA, mentre una minoranza di ex ministri è entrata in ND [Ndt].

(iv) Georgios Katrougalis, ex dirigente del KKE, era il ministro del Lavoro di SYRIZA, istigatore di una legge estremamente neoliberista sulle pensioni. Dopo una sollevazione generale, è passato all’incarico di viceministro degli Esteri [Ndt].

(v) DEA e ARAN hanno lavorato all’interno del LAE. “Confronto” proviene da ANTARSYA e si tratta principalmente del ramo giovanile di una scissione anticapitalista proveniente da NAR. “Incontro” è composto da militanti della sinistra radicale usciti da SYRIZA nel 2015 e che non hanno mai fatto parte di LAE [Ndt].