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Da tempo si sapeva che il DECS (e tramite esso il governo) avevano in mente di rilanciare la formazione professionale in azienda (il cosiddetto sistema “duale”, cioè quello che vede il giovane effettuare un tirocinio presso un’azienda privata e frequentare – uno o due giorno la settimana o con un sistema a blocchi la scuola professionale).

Nei giorni scorsi il DECS ha presentato un progetto presentato con il titolo “Più duale: un piano d’azione per rafforzare la formazione professionale” e il relativo messaggio con una serie di proposte.

L’idea sottesa a questo progetto è che il nostro Cantone sarebbe caratterizzato da un’eccessiva “licealizzazione” (sono infatti quasi il 45% i giovani che, al termine della scuola media (SM) scelgono una delle diverse Scuole Medie Superiori (SMS).

Non si tratta in realtà di una novità: le scelte considerate “eccessive” (non si capisce per quale ragione) verso le scuole medie superiori caratterizzano il sistema formativo cantonale da almeno una ventina d’anni, se non di più. Basti pensare, ad esempio, che nell’anno scolastico 2003/2004 le percentuali non erano molti diversi da quelle attuali: 42% SMS, 22% scuole professionali a tempo pieno, 24% tirocinio in azienda.

Il sistema “duale”, dominato dal padronato

L’idea di fondo del progetto è l’eccellenza del sistema “duale”. Sarebbe quello che, grazie al rapporto ottimale scuole azienda, permette la migliore formazione professionale possibile, competitiva addirittura sul piano internazionale.

E a sostegno di questa “vulgata” i vari concorsi internazionali (con tanto di diretta televisiva) a mostrare che i giovani svizzeri (e ticinesi) sono tra i migliori apprendisti del mondo proprio grazie a questo sistema ancorato (e controllato dalle aziende). E si sprecano gli attestati internazionali che individuano nel sistema svizzero il migliore sistema al mondo…Persino Donald Trump ha avuto parole di elogio per il sistema di tirocinio svizzero.

Il problema di fondo di questo sistema è che esso è completamente controllato dalle aziende, cioè dal padronato.

Il padronato ne controlla, prima di tutto l’offerta di posti di tirocinio, offerta che poi, evidentemente, determina e struttura la domanda costretta ad adeguarsi.

È un problema vecchio e conosciuto: sono le aziende, il padronato, ad offrire determinati posti di tirocinio sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo.

I criteri con i quali vengono offerti questi posti di lavoro sono legati ai bisogni delle aziende e alla valutazione del mercato del lavoro. In altre parole: è reperibile sul mercato del lavoro manodopera qualificata immediatamente disponibile, oppure da formare in poco tempo e che possa garantire un impiegabili stabile a medio/lungo termine?

È rispondendo a questo interrogativo che le aziende decidono di modulare la loro offerta di posti di tirocinio. Ed è comprensibile che, nell’attuale contesto del mercato del lavoro, l’offerta di posti di tirocinio sia orientata verso professioni sostanzialmente con qualifiche basse e medie e da aziende nelle quali gli apprendisti possono di fatto rappresentare manodopera a basso costo.

Se si escludono quelle poche aziende che hanno centri di formazione (tra l’altro profumatamente finanziate per investimenti e gestione dai contributi pubblici), sono piccole aziende che puntano sullo sfruttamento di apprendisti/e ad offrire il numero maggiore di posti di tirocinio.

La tradizionale testimonianza di questa tendenza è la segregazione delle ragazze in quattro o cinque professioni di apprendistati “femminili” (estetista, parrucchiera, impiegata di commercio, di vendita, etc.).

Fino a quando saranno le aziende a dettare l’offerta e le condizioni di apprendistato (a cominciare dalle condizioni di lavoro e di remunerazione con i miseri salari che vengono offerti agli apprendisti: in un regime di libero mercato assoluto) non è pensabile che vi sia una “svolta” e che un numero maggiore di giovani scelga un tirocinio nel settore artigianale o industriale (di tipo duale).

Lo scioglimento dei contratti di tirocinio

Il risultato di questa situazione è il numero elevato di scioglimento di contratti di tirocinio, risultato di una politica che tende a ”piegare” la domanda (che corrisponde alle aspirazioni dei giovani) all’offerta.

Il problema dello scioglimento dei contratti di tirocinio non è nuovo nel nostro cantone. In passato erano stati dedicati alla questione alcuni studi che avevano rilevato una certa persistenza del fenomeno, seppur a livelli elevati (circa il 16-18% se la memoria ci sovviene correttamente), sull’arco degli anni.

Il mantenimento del fenomeno costante, seppur alla soglia indicata, aveva fatto concludere i responsabili della formazione che si trattasse di un fenomeno in un certo senso “fisiologico”, cioè legato alla situazione formativa tipica del contratti di tirocinio in azienda.

Il fenomeno sembra aver assunto una dimensione più rilevante e preoccupante, stando almeno ai dati forniti di recente dall’Ufficio federale di statistica (l’usto) e relativi al periodo 2012-2016.

Secondo questa rilevazione condotta dall’usta il fenomeno è cresciuto anche a livello nazionale dove si assesta attorno al 21% (sono le percentuali relative alle persone che sciolgono un contratto di tirocinio; rapportato al numero di contratti di tirocinio sciolti – una persona può sciogliere più contratti di tirocinio – le percentuali sarebbero ancora più elevate!). La stragrande maggioranza degli scioglimenti dei contratti avviene (oltre l’80%) avviene nei primi due anni, con una punta di quasi il 50% nel primo anno.

In questo contesto la situazione del Cantone appare, come detto, particolarmente difficile (unitamente a quella della Svizzera romanda). Pur richiamando ad una certa prudenza nella valutazione dei dati, l’usto conferma per il nostro Cantone un media di gran lunga superiore a quella federale. In particolare il tasso di scioglimento dei contratti di tirocinio si attesterebbe, complessivamente, attorno al 30%, cioè il 50% in più rispetto alla media nazionale.

Ora non vi è dubbio che questo tasso di disdetta più alto sia da ricondurre (al di là delle specificità regionali nei sistemi formativi) anche la politica condotta nell’ultimo decennio.

Ci riferiamo in particolare alla famigerata campagna “tolleranza zero” (che continua tuttora ad ispirare la filosofia del DECS) e che rappresenta una politica di collocamento a tutti i costi a tutti i costi dell’apprendista, una forzatura del mercato dei posti di tirocinio tesa a “piegare” all’offerta le ragioni della “domanda”; a questo si deve aggiungere la presenza di un numero eccessivo di aziende che, seppur formate come tali, non hanno strutture, personale e cultura aziendali tali da permettere una formazione con successo. Un fenomeno quasi unico a livello nazionale.

Molta aria fritta…

Diciamolo subito: le proposte del DECS e del governo sanno un po’ di aria fritta. Si tratta di cinque punti, quattro dei quali non vanno al di là di dichiarazioni di buone intenzioni o di meccanismi organizzativo-amministrativi: sicuramente inadeguati a raggiungere l’obiettivo che il governo si è fissato, cioè quello di aumentare di 800 posti l’offerta di tirocinio entro il 2023.

L’unico punto concreto, che sicuramente permetterà di aumentare i posti di tirocinio è quello sul quale, da ormai quattro anni insiste con proposte, mozioni e iniziative (una tuttora pendente) l’MPS: e cioè l’aumento dell’offerta di posti di tirocinio da parte dell’Amministrazione cantonale. Proposte sempre sprezzantemente respinte dal DECS, dal governo e dalle maggioranza del Parlamento.

Ma, come detto, tranne questa nostra proposta, le altre non porteranno da nessuna parte, proprio per la loro mancanza di concretezza: dall’idea di sgravare le imprese da compiti amministrativi legati al contratto di tirocinio a quella di affidare alla commissione cantonale per la formazione professionale il compiti di fare proposte, dalla elaborazione di una “carta del partenariato della formazione professionale in Ticino” alla nuova raccolta dei posti vacanti di tirocinio nelle aziende. Una sorta di cortina fumogena per nascondere la crisi del sistema duale.

Aumentare l’offerta pubblica

Quasi 40 anni fa il PSL (il nonno dell’MPS) aveva lanciato un’iniziativa per rafforzare le scuole professionali a tempo pieno.

Quell’iniziativa (che come al solito difendemmo quasi soli contro tutti) venne, seppur onorevolmente bocciata.

Ma la logica da essa perseguita (rompere il monopolio padronato sull’offerta di posti di tirocinio) venne in qualche modo sviluppata.

Da allora l’elemento sicuramente nuovo nel panorama della formazione professionale è stato lo sviluppo di scuole professionali a tempo pieno. Uno sviluppo, tuttavia, orientato soprattutto verso il settore sociale e quello sanitario (in particolare anche a seguito della nascita della SUPSI).

Sarebbe quindi auspicabile rifletterei altre direzioni, in particolare nel potenziamento dell’offerta di posti di apprendistato nelle scuole professionali a tempo pieno nel settore artigianale e industriale. Uno sviluppo che, oltre a rompere il monopolio padronale sul mercato del posti di tirocinio, permetterebbe anche di correggere alcune distorsioni evidenti, a cominciare da quelle di genere.