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Karina Nohales è membro del Coordinamento Femminista 8M e Javier Zuñiga fa parte del Movimento per l’Acqua e i Territori. Entrambi partecipano all’Unità Sociale, un ampio spazio che ha assunto il dibattito sullo Sciopero Generale e intende posizionarsi in esso come attore legittimato dal movimento. L’autore dell’intervista, Alexandre Guérin, parla con i due attivisti sociali della situazione degli ultimi giorni e delle prospettive politiche della classe lavoratrice in Cile.

A che punto siamo della mobilitazione in Cile? Ieri (30 ottobre 2019, ndt) abbiamo saputo delle dimissioni del governo e della fine dello Stato di emergenza. Cosa significa questo? Come si è evoluto Piñera, il presidente del Cile, di fronte al movimento?

Javier Zúñega: Penso che la scommessa di Piñera e del suo governo in questo momento si basi sul presupposto che la risposta politica data attraverso lo stato di emergenza per contenere la mobilitazione non ha funzionato. Le mobilitazioni di massa sono cresciute, fino ad un livello importante: la marcia di venerdì 25 ottobre ne è un’espressione eloquente. Infatti, è stato dimostrato che la risposta repressiva non ha disinnescato gli elementi motrici della mobilitazione. Piñera cerca di catturare un certo livello di malcontento, che iniziò con l’aumento del biglietto della metropolitana, ma si estende ad altre sfere della società. Gli strati del popolo che si sono mobilitati hanno iniziato a esigere delle risposte. Il cambio di gabinetto fa parte dell’idea di fornire misure con effetto comunicativo a poco a poco, ma questo non ha permesso di disattivare la mobilitazione. Non c’è consenso su questo cambiamento.

Karina Nohales: A mio parere, in Cile c’è una rivolta popolare, una rivolta contro il sistema politico il cui contenuto prende la forma di un equilibrio di 30 anni di democrazia concordata. Appare con i giovani che si contrapponevano all’aumento dei biglietti della metro e si estende a tutta Santiago e a tutto il paese. Tuttavia, ciò non riesce a tradursi in richieste concrete, perché rappresenta una sfida per l’intero sistema politico, per i partiti politici che hanno partecipato a questa democrazia concordata. Piñera ha risposto in relazione a come si è presentato il movimento. Comincia con l’aumento del biglietto della metro, e Piñera lo sospende e dispiega i militari in strada. Il movimento risponde agli abusi economici e alle disuguaglianze sociali e Piñera annuncia un pacchetto di misure economiche. Nessuna di queste misure ha funzionato. La mobilitazione ha assunto molte forme. Esplosivo all’inizio, disperso nei territori. Poi, una diminuzione martedì 22 ottobre. A partire da mercoledì ha assunto, però, la sua tendenza attuale: massiccia e concentrata nei centri città. A livello territoriale, le attività sono mantenute.

Cosa significa repressione militarizzata a livello storico? Quali metodi di autodifesa e protezione esistono?

K. N.: Il governo ha impiegato otto ore per dispiegare i militari nelle strade di Santiago, nel contesto dello stato di emergenza. È una decisione forte, perché questo implica un’immagine di instabilità per la borghesia, con ciò che significa nel mercato azionario e in relazione anche alla possibilità di investimento. Questa decisione rompe con la storia della transizione verso la fine della dittatura, che era stata la Nunca Mas. Per noi, Nunca Mas significava la fine dell’esercito per le strade. Per la borghesia rappresentava una lotta di classe. Va sottolineato che l’esercito attuale e quello della dittatura non sono due eserciti diversi. Ovviamente, le persone che lo compongono sono cambiate. Ma l’esercito è un’istituzione intatta, che rappresenta una continuità, così come il carattere della transizione concordata. Le forze armate sono rimaste impunite. Ora c’è un cambiamento di fase in Cile. È successo qualcosa di curioso, la gente non provava paura, uscendo con l’esercito e il coprifuoco. In termini di autodifesa, un popolo senza armi ha due strumenti nelle sue mani: la sua creatività e/o la sua imponenza.

J.Z.: Una prima dimensione è quella di cui ha parlato Karina. La risorsa militare esprime in definitiva lo strumento che la borghesia ha per reprimere un’insurrezione. Per garantire la democrazia borghese, appare la componente militare. Ma, nel nostro caso, non riesce a reprimerlo e diventa un problema per il governo di Piñera. Che cosa lo dimostra? Il coprifuoco si è concluso sabato scorso. Si riapre poi uno scenario: senza militari in strada, che cosa utilizzerà per cercare di disattivare la mobilitazione? Il gioco o è rischioso: cosa ha da offrire il governo in seguito? È probabile, con il cambio di governo, che figure della transizione della Democrazia Cristiana, completamente esaurita, parteciperanno, ma questo non ha senso per le masse lavoratrici mobilitate. Dove potrebbe portarci questo scenario? C’è una crisi politica, ma è o sarà una crisi di egemonia? Vale a dire, una crisi di ogni capacità, per l’intero quadro capitalistico, di produrre egemonia nel resto della società, di ricomporsi insieme ad una base sociale. I capitalisti hanno cercato di risolvere la crisi con i militari e ora questi ultimi tornano nelle loro caserme. In questo quadro, sono apparsi i diversi tipi di violenza e di violazioni dei diritti umani che sono stati praticati (e continuano ad essere praticati con misure repressive). Per i capitalisti, questo rappresenta una sfida a come appariranno le rivolte, come contenere la mobilitazione in questo ciclo politico che si sta aprendo. Si potrebbe configurare un quadro che presuppone degli interrogativi di fondo da analizzare.

K. N.: Le cifre ufficiali dicono che ci sono più o meno 20 morti. È probabile che scopriremo altri casi: l’Istituto Nazionale dei Diritti Umani indagherà sui casi di persone bruciate negli incendi, per capire l’origine della loro morte. Ci sono anche casi di violenza sessuale. In questo momento, a differenza della dittatura, siamo in grado di far riconoscere questo tipo di violenza. La violenza sessuale nella dittatura è stata resa invisibile, ma, con il lavoro delle femministe, si riconosce oggi che non erano eccessi, ma un modo di esercitare una determinata repressione sulle donne, una disciplina nelle corporalità. C’è un caso di questi giorni: poliziotti, e non militari, hanno torturato un giovane, violentandolo e costringendolo a dire che era omosessuale pubblicamente. È una dimensione politica di disciplina da parte delle forze repressive, non un eccesso. Le violazioni dei diritti umani sono ora affrontate in modo multidimensionale. D’altra parte, un ragazzo è stato ucciso nel Cile meridionale. Suo padre ha fatto una dichiarazione in cui afferma di aver incolpato l’uomo che ci ha detto che eravamo in guerra e che ha portato i militari in strada. Questo dimostra che la violenza non sono solo da ascriversi alla responsabilità politica dei militari, bensì di Piñera. Ecco perché gli viene chiesto di dimettersi.


Piñera ha annunciato un’agenda sociale. Quali sono queste misure? Cosa ne pensate?

J. Z.: è importante sottolineare l’influenza dei social network per la circolazione dei messaggi, le convocazioni. Quando Piñera annunciò le sue misure, la reazione fu immediata nelle reti, una reazione di non conformità, incredulità e rifiuto. Per lo stesso motivo, venerdì, la marcia è stata la più grande della storia del Cile. Il segnale politico è che l’annuncio del pacchetto legislativo non ha senso per il popolo, non ha avuto un ruolo di smobilitazione e non poteva cooptare settori del movimento. Le misure sono state percepite come qualcosa che non migliora la vita. Era un montaggio comunicativo. Oggi ero in assemblea, e una signora di più di 60 anni ha detto, a proposito del discorso di Piñera: “non ha avuto alcun effetto perché ci siamo svegliati”.

K. N.: Questo pacchetto di misure è stato annunciato martedì 22 ottobre. Piñera è un uomo d’affari. La mia prima impressione è stata che il presidente si comportava come un uomo d’affari nella contrattazione collettiva. Rispose come se fosse un’azienda, non una società, offrendo cose demagogiche. In sostanza, il 70 per cento delle misure riguardava le pensioni, perché Piñera sa che si tratta di un punto di conflitto molto importante. Poi c’è stata la questione della salute e degli stipendi. Quindi quello che ha offerto è di espandere la copertura sovvenzionando i farmaci nelle mani di aziende private. Per garantire il reddito minimo, ha proposto di sovvenzionare le aziende private con denaro pubblico, e se un lavoratore guadagna meno del reddito minimo, lo Stato lo integra. Per quanto riguarda le pensioni, l’aumento dell’importo per i pensionati avviene senza toccare gli amministratori dei fondi pensione che sono istituti finanziari. Quindi, è l’approfondimento della logica sussidiaria alle società private della costituzione di Pinochet. A nessuno importava di queste misure.

Qual è l’equilibrio dello sciopero generale del mercoledì e del giovedì? Ci sono settori che sono ancora in sciopero?

K. N.: Pochissime volte, e mai da quando c’è stata la democrazia, c’è stato uno sciopero generale in Cile. Le proteste dal 1983 al 1986 sono iniziate con la richiesta di uno sciopero generale, ma, data l’impossibilità per la classe lavoratrice di mobilitarsi nel contesto della dittatura, sono state trasformate in una protesta nazionale. Come abbiamo detto dal Coordinamento Femminista 8M (CF8M), lo sciopero era una parola proibita, il cui significato era sconosciuto. È attraverso il femminismo che lo sciopero generale è stato ripristinato come metodo di lotta per la classe lavoratrice. Il CF8M, che partecipa ad uno spazio più ampio chiamato Unità Sociale, ha proposto di indire uno sciopero generale lunedì 21 ottobre. La Central Unitaria de Trabajadores (CUT) ha dichiarato di non essere stata preparata e ha giudicato la proposta irresponsabile nel contesto del coprifuoco. Così, abbiamo deciso di lanciare l’appello domenica con le organizzazioni secondarie e altre organizzazioni per i diritti umani. Il giorno successivo i sindacati dell’Unità Sociale hanno avuto una riunione per convocare uno sciopero generale mercoledì. Senza la pressione delle giovani e delle femministe, non sappiamo se sarebbe stato indetto uno sciopero. Il 21 ottobre, c’è stato uno sciopero nei venti porti del Cile, e dei minatori di Escondida, la più grande miniera privata di rame del mondo. Questo è molto significativo. Tuttavia, è difficile valutare la reale portata dello sciopero perché tutto era già paralizzato nei fatti. Le corporazioni industriali hanno indicato che le società aperte hanno funzionato al 30% e la maggioranza non ha funzionato perché non c’erano trasporti. Tuttavia, lo sciopero come metodo sta ricomparendo in Cile. Mercoledì prossimo dovrebbe essere indetto un nuovo sciopero generale. Saremo in grado di sapere meglio se funziona davvero.

J. Z.: Le masse lavoratrici si erano mobilitate almeno da venerdì 18 ottobre, è stata costruita una soggettività che implicava barricate, pentole e padelle, la volontà di occupare lo spazio pubblico. In questo momento circolano le chiamate che nascono spontaneamente. La preoccupazione politica di chiamare o meno uno sciopero presuppone un quadro in cui c’è già una rivolta. Le persone erano già in strada prima della chiamata. È diverso dallo sciopero generale femminista convocato per l’8 marzo 2019: il lavoro delle compagne femministe era quello di preparare una pietra miliare chiara, nel lavoro produttivo, e costruire il loro ancoraggio nella riproduzione, con assemblee, spazi di deliberazione precedente, ecc. Pertanto, la differenza di queste chiamate è che sono montate su eventi in corso. Cosa c’è in gioco con la chiamata allo sciopero allora, se le persone sono già mobilitate? A mio avviso, seguendo Gramsci, si stabilisce una dialettica tra la spontaneità e la direzione/orientamento del movimento. La scommessa con lo sciopero è dare una certa direzione alla mobilitazione, una pratica che la maggior parte delle organizzazioni socio-politiche sostengono, anche se questo non implica “mettersi davanti” come sostengono alcuni settori. La soggettività installata, di rabbia e mobilitazione, non si può decretare, ma si può contribuire a dare un orientamento. In questo modo, chiamare uno sciopero permette di condensare politicamente la mobilitazione attuale. Il ciclo politico può essere segnato da una prospettiva anti-neoliberale, almeno questo è ciò che le assemblee popolari sottolineano, in modo che questo possa aprire un nuovo scenario nella società. In questo senso, lo sciopero è ancora una volta uno strumento legittimato dalle masse mobilitate, e se ha successo, viene assunto come una tattica di accumulo di forze. Non è un’affermazione autoindulgente, ma appare come una risorsa incorporata dalle masse lavoratrici. Insieme ad elementi chiave come la disoccupazione in settori strategici, lo sciopero tende a significare che la classe lavoratrice si ferma e si organizza in base ad esso. È ancora una volta un repertorio di azione della classe, e non solo del mondo sindacale e organizzato.

Lo spazio dell’Unità Sociale sembra cercare di guidare il movimento, cosa propone questo settore? Come è legato alle mobilitazioni?

J. Z.: L’Unità Sociale è un referente che si sta posizionando come entità legittimata. Perché, ad esempio, nell’assemblea di base in cui mi trovavo, si riconosce la necessità di un interlocutore a livello generale. L’Unità Sociale è una rete complessa di organizzazioni. A mio avviso, in questo spazio operano tre tendenze. In primo luogo, uno strato composto dalle grandi corporazioni tradizionali: la CUT, No+AFP, una parte della Confederazione Nazionale della Salute Municipale (Confusam), il Collegio dei Professionisti, la Confederazione Nazionale dei Professionisti Universitari dei Servizi Sanitari (Fenpruss), l’Associazione Nazionale degli Impiegati Fiscali (Anef). Imprimono una certa conduzione allo spazio. Questo settore si caratterizza per l’urgenza di essere chi guida il movimento, apparire come agente a capo del movimento, e non come agente disponibile che propone, raccoglie richieste, ecc. Il secondo settore è costituito da organizzazioni femministe, organizzazioni ambientaliste, studenti, associazioni per i diritti umani, ecc. che non rientrano nelle logiche sindacali tradizionali. Non siamo in sintonia con la logica della comprensione della situazione da parte delle organizzazioni sindacali, perché comprendiamo che c’è un momento di emergenza che si contrappone al regime neoliberale nel suo complesso e dovremmo essere a quell’altezza, e non intorno alle sole richieste sindacali. Ciò richiede il mantenimento della situazione aperta e la partecipazione popolare attraverso i municipi e le assemblee di base. Il nostro obiettivo non è cedere ai negoziati che sicuramente verranno, ma aprire un processo di politicizzazione dalla contestazione del regime. Non è possibile vivere come vivevamo un mese fa. Intendiamo l’idea di un’Assemblea Costituente come un processo dinamico che consente la partecipazione politica del popolo. Infine, c’è un terzo settore meno permanente che vede l’Unità Sociale come un ombrello che permette il coordinamento e il comando delle proteste. L’Unità Sociale appare così come un agente relativamente legittimato dal popolo, nonostante il fatto che le differenze siano riconosciute. È uno spazio di contestazione che permette di raggruppare le organizzazioni popolari.

K. N.: Secondo la mia lettura individuale, dall’ultima elezione presidenziale, emerge un nuovo blocco di opposizione (Frente Amplio) e si distrugge la Nuova Maggioranza come blocco di governo dopo la Concertación. Questo apre un problema: formare un nuovo blocco di opposizione. Il partito comunista ha dispiegato un’offensiva per mettersi a capo di una nuova riconfigurazione dell’opposizione, ed è riuscito, ad esempio, con il progetto di ridurre la giornata lavorativa a 40 ore, che ha messo in fila tutti gli avversari dietro il PC. La prova di questo ruolo è che il PC riesce ad escludere la Democrazia Cristiana dal blocco di opposizione. Da questo, l’irruzione del movimento che conosciamo appare, e il PC continua ciò che ha ottenuto in Parlamento attraverso la CUT. La Centrale è integrata nell’Unità Sociale dalla sua formazione e ciò che ne consegue è l’adesione di molte altre organizzazioni. Nel frattempo, il CF8M, che partecipa fin dall’inizio all’Unità Sociale, uno spazio che è stato chiamato da NO+AFP, ha accettato di partecipare criticamente perché percepito come uno spazio diretto da settori di corporazioni conservatrici. Per queste ultime, la lotta di classe è concepita nella sua forma sindacale, l’ecologismo e il femminismo sono considerati subordinati. Abbiamo reso esplicita questa critica.
Nell’attuale congiuntura, l’Unità Sociale ha finito per chiedere uno sciopero generale. Ma tra il CUT e il CF8M la concezione di sciopero generale è diversa. Per la CUT e gli altri sindacati è stato necessario andare in sciopero per dimostrare che siamo organizzazioni serie, per chiedere disciplina e dimostrare la capacità di guidare il movimento. Come se la disobbedienza della classe lavoratrice non fosse una cosa seria. Alla fine è stata proposta una grande marcia per il 23 ottobre, che nel contesto potrebbe sembrare molto indietro rispetto alla situazione. Sono state proposte azioni di smobilitazione anche apertamente. Lo sciopero generale è inteso per questi settori come un momento nel quale hanno la possibilità di mettere le loro direzioni nel movimento. Dal femminismo, intendiamo lo sciopero generale come un processo in cui la classe lavoratrice, con donne e disidencias (le soggettività non conformi alla norma sessuale eteronormata, ndt) in prima linea, può organizzarsi e pensare alla vita che vuole e a come vuole organizzarla. A rigor di termini, le femministe ritengono che lo sciopero non sia stato generale, perché il lavoro di cura non è stato interrotto. Lo sciopero non consiste solo nel fermarsi, ma anche nel pensare molto. Quindi, parliamo di due diverse visioni dello sciopero generale: una è di creare, l’altra di dirigere. Queste concezioni sono state sul tavolo in questi giorni.

Che rapporto ha l’Unità Sociale con la sinistra istituzionale? In quest’ultimo caso, che cosa viene proposto in Parlamento?

K. N.: La mia opinione personale, ma condivisa da altre compagne nell’ultima assemblea del CF8M, è che se non c’è una situazione di ingovernabilità del potere esecutivo è perché l’opposizione ha mantenuto l’attività parlamentare. L’Unità Sociale ha promosso l’idea di uno sciopero legislativo, che però non è avvenuto. Ad esempio, il progetto di ridurre la giornata lavorativa settimanale a 40 ore è stato approvato durante lo stato di emergenza, con i militari in strada. Nel Fronte Ampio (FA), emerso dalle ultime elezioni presidenziali, non si è trovato un accordo tra i suoi diversi settori. Da parte di coloro che vogliono sostenere l’attività parlamentare, l’idea è che, se non lo fanno, non vi sarebbe copertura democratica. Ma se l’opposizione continuasse a legiferare, anche riguardo il pacchetto di misure proposte da Piñera, darebbe una mano al governo. Una volta il governo ha proposto un incontro con i partiti dell’opposizione. Erano i Democratici Cristiani (DC), il Partito Radicale, il Partito per la Democrazia. Non erano il Partito Socialista, il PC e l’FA. La Rivoluzione Democratica, il settore principale dell’FA, stava per andarci in un primo momento. È una cosa seria. Il PC sta ora formulando un’accusa costituzionale contro Piñera, e l’AF è d’accordo.

J. Z.: Il ruolo del PC in tutto questo era molto importante. Immediatamente, ha detto che non avrebbe partecipato alla riunione convocata da Piñera. Al PC viene attribuita molta esperienza politica, quindi influenza l’intero arco dei partiti di opposizione, dissociandosi dalla DC ed esercitando pressioni sul PS e sull’FA. In una dichiarazione che affronta la situazione, il PC riconosce l’Unità Sociale come attore legittimo e sposta l’attenzione del dialogo alla società civile. Pertanto, il PC ha svolto un ruolo determinante in questo spostamento di legittimità. In ogni caso, il movimento non avrebbe accettato alcuna riunione dei partiti di opposizione con Piñera e li avrebbe respinti. Questo è stato abilmente compreso dal PC. Allo stesso tempo, il percorso di riconoscimento della legittimità e dell’interlocuzione dell’unità sociale inizia in un processo parallelo. Parte dell’opposizione esercita pressioni costituzionali, in continuità. In secondo luogo, nell’Unione Sociale vi sono militanti della FA, del PC ed elementi del PS, ma non si può dire che sia guidata dai partiti. Il movimento e la dinamica interna dell’US non ammette che questi gruppi, almeno per il momento, assumano un ruolo guida. Questo per un motivo fondamentale: perché la mobilitazione in cui l’US si inserisce emerge in maniera non coordinata, ma guidata dalla classe lavoratrice come attore che sfida la società nel suo complesso. Trasforma il modo di fare politica. Il fatto che emerga, tuttavia, non significa che si organizzi, non necessariamente prende coscienza della sua esperienza classe lavoratrice, nonostante ci siano forti embrioni di organizzazione e di lotta che puntano in quella direzione. Il potere dell’Unità Sociale, in un contesto in cui la classe emerge come attore, è che può contribuire alla ricomposizione politica della classe lavoratrice, se non si pensa solo al dialogo con il governo o a richieste limitate, sindacali o concilianti.

Sono comparse persone in giubbotti gialli. José Antonio Kast, una figura dell’estrema destra cilena, li ha chiamati a manifestare domenica scorsa. C’è la possibilità di formare una base sociale reazionaria in questa situazione?

K. N.: La prima notizia riportata dai media è che questi sono stati giorni di saccheggi da parte dei criminali, generando un senso di insicurezza. I gruppi sono apparsi nei quartieri indossando giubbotti gialli, con bastoni o qualche forma di armi domestiche per prevenire le rapine e difendere le loro case. Questi gruppi hanno espresso una tendenza fascista. Rapidamente il settore dell’estrema destra ha chiesto ai Giubbotti gialli di partecipare ad una marcia il 27 ottobre, con lo slogan del diritto di vivere in pace, cioè, riprendendo la canzone di Victor Jara che è diventato un inno popolare durante il coprifuoco. È stato tutto molto confuso. Ma l’estrema destra ha deciso di annullare questa marcia venerdì 25 ottobre, dopo la grande marcia che si è svolta quel giorno. Possiamo immaginare, e questa è una domanda, che la marcia non avrebbe avuto tanto successo se non ci fossero stati militari per strada e se il governo non avesse continuato a caratterizzare il movimento come ladri che rapinano e saccheggiano piccole imprese. Ma nel momento in cui i militari si sono dispiegati per strada, è nato un sentimento contro di loro a causa della nostra storia che ha mobilitato molte persone. Forse la grande marcia di venerdì non sarebbe stata così massiccia. Avere soldati per strada riapre un ricordo traumatico. Può essere ottimista, ma questo mi porta a dire che i cileni non sono di destra. Avrebbero potuto esserci più giubbotti gialli di destra senza soldati per le strade. L’estrema destra è abile, ma è stata superata. La storia della rapina e dell’insicurezza è durata due o tre giorni, e quando il governo ha abbassato il profilo della guerra, i media sono passati dalla storia della rapina alla storia del terrore, rendendo pubblici terribili video di repressione, con soldati che sparano alla gente ed entrano nelle case. L’idea era: se esci per strada, ti uccideranno. Da quella storia, che non ha funzionato neanche per loro, sono passati ad un’altra dopo la grande marcia che dice che la gente è pacifica e che dà speranza per un futuro migliore, perché i potenti dicono che stanno ascoltando. Per esempio, Piñera ha detto che è stato bello vedere le famiglie che marciano, mentre in realtà la gente in marcia ha chiesto che se ne andasse.

J. Z.: Settori a destra, i poliziotti e i militari hanno cercato di catturare come base sociale le persone che avevano paura. L’estrema destra cerca di capitalizzare questo sentimento di paranoia e isteria. Quest’ultima vuole fare una svolta verso una soluzione aziendale, puntando a quella parte dei lavoratori che vuole la pace e la tranquillità nell’immediato, contro la parte della classe che scommette sulla protesta perché capisce che è il momento delle rivendicazioni. Tuttavia, la più grande marcia della storia, lo scorso venerdì, ha disattivato la presunta armonia tra l’estrema destra e parte del popolo. Va sottolineato che i giubbotti gialli non erano necessariamente per una soluzione ancora più militarizzata o a favore di José Antonio Kast, la figura di estrema destra che ha ottenuto l’8% nelle ultime elezioni presidenziali e che assomiglia, per certi aspetti, a Bolsonaro. Molti volevano solo stare calmi. Ad esempio, nel mio quartiere, che è Puente Alto, un comune alla periferia della città, quelli che indossavano giubbotti gialli hanno celebrato la pietra miliare del venerdì, hanno fatto grigliate ascoltando musica popolare e di sinistra. Questa marcia ci ha saldati insieme come una classe, dopo che i media hanno cercato di esagerare gli aspetti più reazionari dello sconvolgimento che stiamo vivendo. In ogni caso, Kast ha fatto un discorso securitario che ha saputo mettere in discussione e generare adesioni nei poveri, ma il suo programma economico protegge il neoliberismo, che è l’origine del malessere che viviamo. Si tratta di un limite radicale nel suo progetto. Allora, non può proporre una soluzione programmatica alla mobilitazione, che dice che il modo di vita neoliberale e il malessere che esso genera non può essere sopportato. Va sottolineato, però, che la comparsa dei giubbotti gialli rivela un vero problema: esistono bande organizzate nella popolazione che delinquono all’interno dei quartieri popolari, in relazione al narcotraffico. È in questo settore che i gruppi in giubbotti gialli si trovano ad affrontare, una minaccia efficace, che non implica in alcun modo il sostegno al governo di Kast o a misure repressive.

Le forme di lotta e gli slogan che sembrano assumere maggiore forza sono lo sciopero generale, di cui abbiamo già parlato, ma anche le assemblee territoriali e l’Assemblea Costituente. Qual è la vostra realtà in questo momento? Quali processi di auto-organizzazione si stanno sviluppando? Come sono stati forgiati questi slogan? Spontaneamente, forgiati nelle lotte degli ultimi anni, ecc….?

J. Z.: C’è un misto di autoconvocazione alle assemblee territoriali e il fatto che le persone si raggruppino nelle stazioni della metropolitana e in altri luoghi pubblici, dove si canta, si discute, si organizzano attività culturali, e così via. Questo fenomeno appare spontaneamente. Inoltre, rapidamente, i settori catturano il momento e danno una direzione consapevole, chiamando a sollevare assemblee territoriali. Dal punto di vista tattico, perché queste assemblee sono importanti? In primo luogo, perché stanno accadendo, si stanno organizzando in vari territori, e questo è un dato di fatto. Ho visto processi simili di auto-attività, ma mai con i contenuti e la portata di cui si sta discutendo, e tanto meno con questa portata. Le assemblee popolari devono spingere verso un’Assemblea Costituente, che si posiziona come un meccanismo legittimo per cambiare la Costituzione, un obiettivo che, ovviamente, non è sufficiente di per sé. I settori parlano di una nuova Costituzione, con un nuovo Parlamento, ma non è di questo che stiamo parlando. È qualcos’altro. Aggiungiamo l’aggettivo popolare all’Assemblea Costituente, per affermare la sovranità del processo. L’Assemblea Costituente può spingere e modificare lo scenario politico. Sfidare il regime permette una democrazia partecipativa in cui la classe lavoratrice si presenta come un attore rilevante e principale. La seconda importanza tattica è che le assemblee territoriali stanno formando un sedimento, un tessuto sociale che non scomparirà, anche se l’intensità delle mobilitazioni può diminuire ad un certo punto. È un’esperienza di classe comune, un apprendimento storico organizzativo, che può permettere il mantenimento di un contropotere al Parlamento, nelle istituzioni dello Stato capitalista, sviluppando altri valori nelle popolazioni e altre forme di auto-organizzazione. Tuttavia, la mia enfasi riguarda la possibilità che l’Assemblea costituente abbia la capacità di trasformare la scena politica in una direzione anti-neoliberale. C’è una forza insolita che impugna globalmente il modello di educazione, gestione delle risorse naturali, pensioni, debiti finanziari, ecc. È necessario combinare l’Assemblea Costituente con un programma di denuncia, in una sintesi radicale. Almeno questo sta accadendo nei territori. Ma questo non viene colto da alcuni settori che cercano di mettersi a capo del movimento.

K. N.: Queste sono domande strategiche. La realtà delle assemblee è che sono settoriali e sono state avviate in stazioni della metropolitana, che corrispondono a quartieri, con persone che vivono nello stesso settore. Sono sorte perché gli attivisti vi hanno partecipato fin dal primo giorno e perché era necessario. Le persone si sono incontrate nella rivolta, hanno cominciato a conoscersi e a parlare l’un l’altro. La sfida attuale è così generale che non vengono avanzate richieste concrete. La gente si è trovata a lottare, cercando di capire cosa stiamo sfidando, perché e come immaginiamo ciò che vogliamo. Sembra molto semplice, ma per me è già un momento costituente, non nel senso di cambiare la Costituzione. La classe si sta costituendo da sola in questo processo. È difficile avere un’immagine generale del paese, in termini di assemblee, manifestazioni, repressione, perché la situazione è convulsa e nessuna organizzazione ha la capacità di cogliere l’insieme. È un’esplosione ai margini delle organizzazioni classiche.
Il CF8M e il MAT hanno promosso l’esistenza di queste assemblee. Le assemblee sono state create per assicurare l’approvvigionamento di fronte alla chiusura degli scambi commerciali, per garantire la sicurezza di fronte alla repressione e ai saccheggi e per sostenere la mobilitazione. Le richieste sono che i militari se ne vadano, che Piñera e il ministro degli Interni si dimettano, e la prospettiva di un’Assemblea Costituente. Niente di tutto questo è del tutto spontaneo, ma è impossibile essere certi di quali esperienze precedenti di organizzazione, propaganda e mobilitazione siano state significative. Quello che è certo è che, durante questi 30 anni, ci sono stati settori di persone organizzate, che hanno combattuto, a volte in assoluta solitudine. Il movimento No+AFP è facile da rilevare, dato che è stato massiccio e recente. Anche l’8 marzo scorso fu così. Le assemblee costituenti cercano di creare una nuova Costituzione, e ogni Costituzione affronta il problema di come viene generato il potere politico. Ciò è importante in Cile perché la Costituzione di Pinochet è esplicita nel suo obiettivo. Ciò che si propone è di non tornare alla realtà istituzionale che esisteva prima, perché tornare alla situazione precedente è riaprire il percorso istituzionale dei partiti operai, che è diventato l’Unità Popolare. Ma, più della Costituzione del 1980, il momento costitutivo dell’attuale Cile è il colpo di Stato del 1973. Pertanto, aprire la questione costituente non è un’opzione facile per la borghesia, perché riapre i pericoli della partecipazione politica dei suoi antagonisti. Si apre un momento irreversibile, in cui non è più possibile ignorare o omettere i problemi politici della classe lavoratrice. La paura, in questi giorni, è passata a loro.
A livello istituzionale, una nuova Costituzione è un problema centrale ed è indubbiamente necessario cambiarla, ma è importante non mettere la necessità di una nuova Costituzione come il più grande dei problemi fondamentali, come molti settori propongono, perché con essa si evita la prospettiva anticapitalista. Ciò che si esprime in Cile è la lotta di classe, che esisteva anche prima della Costituzione di Pinochet. I problemi sollevati non iniziano o finiscono in una Costituzione. Dobbiamo stare attenti a come viene proposta l’Assemblea Costituente. Da un lato, può chiudere un momento politico, garantire diritti, ma non lo presenterei come il fondo che ha determinato la situazione attuale.

J.Z.: Prima del 1973 non c’era un paese migliore di adesso. Questa discussione è inappropriata. Nell’Unità Sociale, la questione della Costituente appare ma non ci interroga, non appare come una discussione che organizzi la politica. A causa dell’urgenza della situazione, la questione di come ci stiamo mobilitando è più rilevante. Prima di questo momento, nelle nostre organizzazioni socio-ambientali, ad esempio, il nostro tema non era l’Assemblea Costituente, ma come proteggere i nostri diritti socio-ambientali contro i saccheggi aziendali. Il conflitto esistente ci ha guidato, in funzione della lotta di classe, a contribuire all’organizzazione della classe lavoratrice per proteggersi da questa situazione. Il Costituente, in questo senso, implica il rischio di comprendere la politica in modo molto formale: cambiamo la Costituzione, cambiamo il paese. Una possibilità unica di questo frangente è che la classe lavoratrice assuma il ruolo di guida in un processo costituente che abbia un esito politico. Ma allo stesso tempo le classi sociali si organizzano in modo antagonistico. Pertanto, trattare l’Assemblea Costituente come se non fosse la lotta di classe mi sembra un errore. Almeno i settori anticapitalista, femminista, ecosocialista vogliono avvertire, in questo quadro, che si tratta di lotta di classe e non di discussioni formali e astratte sui modi migliori per cambiare la Costituzione.

K. N.: Ci sono settori dell’ex Concertazione e della destra che si sono aperti alla necessità di una nuova Costituzione, ma non dell’Assemblea Costituente. Diventa una questione più ampia e trasversale.

Quali sono le sfide per la sinistra anticapitalista, femminista ed ecosocialista?

K. N.: Quello che la classe lavoratrice sta affrontando al momento, quello che ha aperto con la sua azione in un contesto in cui non ha partiti e la sua forza organica è debole, in qualche modo, credo che la porterà ad un’attività politica in una curva ascendente, che in realtà è già stata più o meno verificata dal 2005. Sarà più difficile se non è preparato in modo organico, con un orientamento che non può continuare ad essere settoriale: rafforzare il sindacato, il movimento femminista, per le pensioni, dato che una prospettiva socio-ambientale non è più sufficiente. Questa prospettiva è generale perché si è aperta una situazione di messa in discussione. Ci deve essere un resoconto proprio di quanto sta accadendo e deve essere raccolto dalle organizzazioni politiche di sinistra, che devono anche essere rafforzate, altrimenti sarà difficile costruire un’alternativa.

J. Z.: Questo momento storico permette che le organizzazioni già esistenti possano catturare le nuove dinamiche storiche che organizzano la politica. Non è, ad esempio, una questione di cattiva volontà, ma le organizzazioni più piccole non sono in grado di rispondere e dispiegarsi in modo rilevante in questa situazione. Nemmeno la FA, un’organizzazione con molte correnti ma all’interno della quale fino ad ora prevaleva la sua disposizione alle questioni elettorali e intra-istituzionali, e non era in grado di posizionarsi efficacemente in questo scenario. La mia domanda è: come possono le organizzazioni trasformarsi per ancorarsi in queste nuove molle politiche che cominciano ad aprirsi?
Quello che possiamo fare, almeno, è riformulare noi stessi come organizzazioni, costruire nuovi capillari da inserire, facendo parte dei processi di politicizzazione popolare che emergono. La scommessa è di unificare le organizzazioni di sinistra e quelle che emergeranno da questo momento in poi. Dobbiamo prestare attenzione a queste dinamiche e contribuire allo sviluppo di prospettive anticapitaliste, femministe ed ecosocialiste, aggiungendo alla ricomposizione delle organizzazioni politiche, catturando nuove forme di politicizzazione, ecc. Siamo molto occupati e con poco tempo, ma non possiamo perdere di vista il fatto che stiamo già pensando a nuove forme di organizzazione in questo contesto.


*Intervista a cura di di Alexandre Guérin* per https://vientosur.info/spip.php?article15250