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Mentre la situazione alla ex ILVA di Taranto precipita, facciamo il punto sul perché si è arrivati a questa situazione.

La cessione del gruppo ILVA a Riva fu fatta preparando le condizioni per renderla inevitabile. Si sosteneva che lo stabilimento fosse messo male. Era una palese bugia. C’era stato un buco di miliardi di lire ma era stato prodotto da operazioni finanziarie azzardate. Mentre quello che si tenne sotto tono fu che l’Altoforno 5 era stato rifatto per fine campagna, il rifacimento di altri impianti. Quello di cui aveva bisogno lo stabilimento era un piano per renderlo meno inquinante, cosa che Riva si era impegnato a fare. Ma dal dire al fare… Quello che accadde è ormai storia. Poi la gestione commissariale ha completato l’opera.

Quando Arcelor-Mittal vinse la gara per l’acquisto dell’ILVA iniziò una lunga e segreta trattativa per come doveva essere formulato il contratto di compera. Quando finalmente si riuscì a leggere il contratto, si capì che il governo, e per esso il ministro Calenda, aveva fatto delle concessioni che nemmeno a Riva erano state concesse. Il più grosso è stato la non applicazione dell’articolo del codice civile 2112, che riguarda il “Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda”. La seconda concessione è stata sui livelli occupazionali, con un taglio consistente soprattutto a Taranto, con l’impegno che i lavoratori in esubero (in Cassa integrazione speciale) sarebbero stati assunti alla fine della ristrutturazione, qualora questi lavoratori non avessero avuto proposte di assunzione dalle altre aziende del gruppo AM su tutto il territorio nazionale. Il terzo, fuori contratto, che era stato pensato per convincere i Commissari a prendersi la rogna della gestione dello stabilimento: il cosiddetto scudo legale o penale. Tutto ciò che riguardava il pregresso AM non ne ha voluto sapere. Per esempio, uno degli effetti dell’art. 2112 è stato liquidare il TFR. Quindi niente continuità dell’anzianità, mentre si sono salvati gli scatti di anzianità, che per molti può non significare niente ma che ha una logica e fa risparmiare parecchi soldi. E’ vero, il TFR comunque sarebbe stato versato dalla gestione commissariale ma, una volta passato sotto la gestione di AM le somme e le rivalutazioni sarebbero state sicuramente consistenti; mentre sugli scatti di anzianità la cosa è capovolta, ovvero gli scatti di anzianità maturati anche se azzerati le somme sarebbero state congelate in busta paga e si sarebbe dovuto partire da zero per altri 5 scatti di anzianità e, quindi, Mittal avrebbe pagato a doppio. C’era un’altra facilitazione che è stata messa in campo. La possibilità di auto licenziarsi percependo un bonus di 100.000 €uro, da ILVA AS, oltre la liquidazione maturata. Di questa possibilità se n’è avvalso un migliaio di lavoratori (su tutto il territorio nazionale), che sono un peso minore per AM.

Quello di cui non si è proprio parlato è stato del piano industriale, che vorremmo ricordare fu respinto dai Commissari dell’ILVA ma, il governo lo secretò per non mettere in forse l’acquisto da parte di AM. Si paventava la possibilità di produrre otto milioni di tonnellate di acciaio, partendo dagli impianti in funzione e cioè, gli altiforni 1, 2, 4, che avrebbero prodotto 6 mln di T., in attesa della ristrutturazione dell’Afo 5 fermo per fine campagna, da diversi anni, e, ultimo, l’Afo 3 è stato definitivamente smantellato.

Oggi vengono fuori gli scheletri dall’armadio. La crisi del settore siderurgico ha messo in notevole difficoltà il gruppo AM, tanto da tagliare la produzione in vari siti europei di sua proprietà ma non è tutto. La situazione impiantistica, soprattutto degli altiforni, non è delle migliori. C’è la vicenda del forno2, messo sotto sequestro dalla Magistratura dopo l’infortunio mortale dell’operaio Morricella e che dovrebbe essere messo in sicurezza entro il 13 dicembre. C’è la necessità di fermare per un mese l’AFO 4 per manutenzione. A quel punto resterebbe un solo altoforno, l’ AFO 1. In fine c’è stata l’abrogazione della tutela penale che ha dato l’avvio alla rescissione unilaterale del contratto.

Ora, cosa viene fuori? Intanto diciamo che è una sciocchezza sostenere che Mittal non è interessato allo scudo legale. A Mittal non basta più solo lo scudo. Perché? Perché sostiene che, siccome non potrà produrre più di 4/4,5 milioni di tonnellate anno, l’organico di 10700 lavoratori sono troppi e che necessita di un taglio di 5000 unità in meno in via strutturale. Mentre, per quanto riguarda l’AFO 2, Am vorrebbe almeno un anno per assolvere a quello richiesto dalla Magistratura

Crediamo che In questo caso e in modo diretto, Taranto e l’Italia sta vivendo sulla propria pelle la forza e l’arroganza di una delle più potenti multinazionali e non solo dell’acciaio, che non usa mezzi termini. E il governo fa la voce grossa ma poi cosa dice? Propone ulteriori agevolazioni a quelle già concesse nel contratto di acquisto: taglio del prezzo dell’affitto, che è di 180 mln di euro l’anno, per due anni; una riduzione degli organici di 2500 unità da mettere in cassa integrazione oltre al ripristini dello scudo penale. Questo modo di fare è assolutamente criminale. Proporre tagli a spese dei lavoratori è molto facile, salvo vedere, dopo, cosa ne pensano i lavoratori.

In questa partita ci sono le associazioni ambientaliste e l’organizzazione delle “Mamme per la chiusura dell’ILVA”. Il Presidente del consiglio venerdì 9 novembre, venuto a Taranto alla portineria D dello stabilimento, ha dovuto confrontarsi con la rabbia di quelle mamme e alle quali ha dovuto fare delle promesse che non sappiamo come farà a mantenere.
Continuare la trattativa con Mittal non porterà che danni, con tagli agli organici, riduzione del prezzo del gruppo e nessun miglioramento per l’ambiente.

Crediamo che dalle cose che abbiamo compreso, con Mittal non si deve trattare. Deve essere il governo a rompere con la multinazionale, nazionalizzare il gruppo ILVA e metterlo sotto il controllo dei lavoratori, operai e tecnici, i quali conoscono gli impianti, il processo produttivo e possono rimetterlo in condizioni di non inquinare perché sono coloro che per primi subiscono gli effetti di un ambiente nocivo. Sono i lavoratori che devono prendere coscienza della situazione. Non è non partecipando agli scioperi che si risolveranno i problemi. Solo con l’organizzazione, costituendo comitati di lotta nei vari reparti e nelle aree di produzione, cominciando a prendere nelle proprie mani il proprio destino i problemi potranno essere affrontati e risolti.

Iniziamo a lottare per cambiare l’ordine delle cose esistenti!

*Pensionato, per moltissimi anni dipendente Italsider-Ilva