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“Non ci sono i soldi” quante volte abbiamo letto sui giornali o sentito alla televisione questa affermazione perentoria da parte di qualche economista o giornalista disinvolto che ci spiega come non sia possibile (ed anzi sommamente dannoso) erogare pensioni e salari decenti per tutte/i e come sia obbligatorio tagliare la spesa pubblica compresa la scuola e la sanità. Quante volte poi nel corso della discussione sulla legge finanziaria qualsiasi richiesta di incremento di spesa per garantire fondamentali servizi sociali ai cittadini, ai giovani, alle donne, è stata bollata come l’impossibile libro dei sogni seguito dall’immancabile: “Sarebbe bello, ma non ci sono le risorse”. Infine, per restare alla stretta attualità, quante volte viene riproposto il logoro ritornello secondo cui sarebbe impossibile per lo Stato avere i soldi per il risanamento ambientale dell’IlVA, garantendo lavoro e reddito per l’insieme dei lavoratori e condizioni di vita decenti per l’intero territorio.

Qualche dubbio che queste affermazioni siano delle “fake news” avrebbe già dovuto sfiorarci vedendo che i soldi per le missioni militari, per gli aerei da guerra F35, per una quantità di opere inutili e dannose ci sono e così anche per i regali fiscali alle imprese e ai ricchi, trasgredendo al principio costituzionale di una imposizione fiscale realmente progressiva.

I dubbi sul fatto che i soldi ci siano, ma siano finiti in cattive mani, devono diventare certezza esaminando i dati statistici che indicano che la quota di salari e pensioni sul PIL (cioè sulla ricchezza nazionale prodotta annualmente) nel giro di un ventennio si è ridotta dal 70% al 60% circa. I redditi da capitale (profitti e rendite) si prendono oggi il 40%.

Dove sono finiti i soldi

L’EBA (European Banking Autority), l’autorità bancaria europea, il cui obiettivo dovrebbe essere la difesa dell’interesse pubblico, contribuendo alla stabilità e all’efficacia del sistema finanziario, ci spiega oggi dove siano finiti i soldi, non pochi soldi, ma una gigantesca montagna di soldi, un enorme cash (cioè liquidità) che vale ben due terzi del PIl della zona euro. Il Sole 24 Ore ne da conto nell’edizione del 20 novembre: “L’Europa in un mare di liquidità”.

I depositi sui conti correnti della zona euro hanno infatti superato la straordinaria cifra 10 mila miliardi di euro (avete letto bene 10.000 miliardi di euro). Sono soldi fermi in banca, senza alcuna direzione, nessun investimento o consumo utile. Sono soldi, messi sotto il materasso come ai vecchi tempi. L’Italia è terza in questa classifica con 1.429 miliardi di euro, cioè l’80% della ricchezza prodotta in un anno (il PIL); la Germania è la prima con 2.970 miliardi di euro pari al 90% del PIL, la Francia arriva addirittura al 92% del PIL con 2.203 miliardi: Ma anche l’Inghilterra, che non fa parte della zona euro, non scherza con 2.003 miliardi di euro fermi in banca. Così si arriva a oltre 12 mila miliardi di euro congelati nelle istituzioni bancarie europee.

Questo parcheggio di immense risorse, già in atto da tempo, ha subito una accelerazione spettacolare dal 2005 ad oggi, in particolare dopo la grande crisi del 2008-2009.

Chi sono i protagonisti, i “parcheggiatori” di questi soldi? Di certo anche le famiglie, giustamente timorose di quello che sarà il loro futuro, ma anche e soprattutto le imprese. E le stesse banche dei diversi paesi europei che, essendosi viste elargire dalla Banca Centrale Europea (BCE) centinaia di miliardi di euro, invece di finanziare le imprese, in particolare quelle piccole, le piccole aziende artigiane e commerciali e i consumi dei cittadini tutti, hanno preferito tenere questa liquidità nella Banca centrale europea o in quelle nazionali, pagando addirittura, in alcuni casi, un interesse (tasso d’interesse negativo) per non utilizzarla.

Il mistero dei tassi d’interesse negativi

Già perché questo è il “bello” del capitalismo attuale ed espressione delle sue contraddizioni profonde: da alcuni anni siamo di fronte a una novità inedita del suo funzionamento: la presenza sempre più diffusa di tassi d’interesse negativi. Se una volta si mettevano soldi in banca, acquistando obbligazioni delle banche stesse, delle imprese o dello Stato (titoli di Stato) per avere un interesse sicuro, oggi questo, non sempre si realizza; si prestano i soldi non per ottenere un interesse positivo, ma per vedere i propri denari “conservati”, come per la macchina nel parcheggio sotto casa. [i]

Se per ora i tassi negativi intercorrono soprattutto tra la Banca centrale europea e le banche, l’editorialista del giornale della Confindustria ci spiega che: “… se i tassi della Bce resteranno negativi, è probabile che le banche trasferiranno questo conto ai correntisti, in Germania, già oggi il 60% delle banche stabilisce un tasso negativo sui conti correnti delle imprese e il 20% anche su quello delle famiglie”.

L’introduzione dei tassi negativi della BCE e delle banche centrale nazionali verso gli istituti di credito è finalizzato a “sospingere” i diversi soggetti economici ad investire e a non lasciare questi soldi inattivi. La BCE nel corso degli anni ha elargito alle banche italiane molte centinaia di miliardi di euro, ma non risulta che queste abbiano aperto il cordone della borsa a coloro che si presentano a chiedere un prestito, né che ci sia stato un cospicuo rilancio degli investimenti.

Diversi elementi determinano questo stato di cose.

In primo luogo il fatto che già oggi nel mondo ci sia un’enorme massa di obbligazioni a tassi d’interesse negativi, circa 15.000 miliardi di dollari.

Converrebbe dunque forse investire in azioni; certo solo che oggi “molte borse sono al massimo di tutti i tempi sfoggiando multipli elevati che scontano ad oggi 20 volte gli utili futuri; investire sta diventando un enigma”, spiega ancora il Sole 24 ore: E’ opportuno ricordare che gli utili futuri corrispondono a una ricchezza che non si sa ancora se sarà prodotta o meno.

Molti preferiscono così tenere fermi i soldi anche se questo comporta in ogni caso un costo inflazionistico; dal 2000 ad oggi l’inflazione complessiva della zona euro è stata infatti del 30%.

Il cavallo non beve – le contraddizioni del capitalismo

Il fondo del problema è il funzionamento stesso del sistema capitalistico, la forte concorrenza intercapitalistica, le incertezze politiche conseguenti al prospettarsi di guerre commerciali, la difficoltà a rilanciare l’accumulazione del capitale in questa fase storica. Gli investimenti sono a rischio e spingono alla massima cautela i diversi soggetti. Tutti parlano di una nuova possibile recessione globalizzata.

Se scendiamo nel mondo comune, quello delle classi lavoratrici, delle cosiddette classi medie impoverite ed impaurite, cioè delle famiglie è fin troppo evidente, che chi ha potuto mettere da parte un po’ di soldi, di fronte alle incertezze del futuro, al mutamento di epoca, cerca di conservare quel poco o tanto che ha. Tutti sono diventati per ora un po’ più cauti, specie in Italia dopo le vicende delle Banche Venete e di quelle Toscane e tende a prevalere la scelta della sicurezza rispetto agli investimenti incerti.

La realtà è dunque che i tentativi della BCE e delle altre grandi banche centrali (che nel corso degli ultimi dieci anni hanno riversato una liquidità di molte migliaia di miliardi di euro per favorire gli investimenti e la ripresa) si scontra con quello che in gergo economico è la storia del cavallo che non beve. Si può proporre al cavallo quanta acqua si vuole, ma se non ha sete non berrà. In altri termini, si può fornire il massimo di liquidità, ma se le prospettive economiche sono incerte o negative e se non ci sono valide aspettative di profitto il capitalista non investirà.

E’ la grande contraddizione non solo congiunturale, ma strutturale del capitalismo attuale.

I soldi ci sono e vanno utilizzati in altro modo

Invece tutta quella montagna di soldi se non fosse nelle mani private di una ristretta cerchia (la borghesia) potrebbe essere utilizzata in modo utile per la costruzione del benessere e della giustizia sociale, per garantire una vita degna e sicura a tutte le lavoratrici e lavoratori e alla società intera.

Per assicurare a tutte e tutti un posto di lavoro sicuro, utile e retribuito adeguatamente, per dare alle e ai pensionate/i un assegno decente dopo una vita di lavoro che non sia infinita; per garantire a tutte e tutti la scuola, la sanità, i servizi e l’assistenza sociale, per investimenti in attività produttive utili al benessere generale, per la messa in sicurezza dei territori e delle infrastrutture necessarie (non quelle inutili e dannose). I soldi ci sono dunque; è una vergognosa menzogna affermare il contrario; non ci sono mai state così tante risorse, ma vanno utilizzate per un altro modello di società, per l’appunto non quella capitalista, non quella dominata dalla concorrenza sfrenata e dal profitto, dallo sfruttamento degli uomini e donne e della natura. Tutto questo è necessario anche per salvare il pianeta e il nostro futuro; un pianeta che non può essere lasciato nelle mani delle grandi compagnie a partire da quelle energetiche, foraggiate ogni giorno dalle banche.

I soldi ci sono e vanno presi là dove ci sono espropriando i capitalisti, anche perché quelle ricchezze di cui si sono appropriati sono il frutto del lavoro delle classi lavoratrici e della grande ruberia prodotta dalle politiche di austerità. Essere anticapitalisti, essere ecosocialisti, oggi non è una scelta, ma un obbligo se si pensa a un futuro degno per l’umanità.

(i) L’obbligazione è un titolo di debito emesso da società o enti pubblici che attribuisce al suo possessore, alla scadenza, il diritto al rimborso del capitale prestato all’emittente più un interesse su tale somma. L’obbligazione è per il detentore una forma d’investimento, sotto forma di strumento finanziario; per l’emittente il prestito obbligazionario serve a reperire liquidità.