Tempo di lettura: 12 minuti

Sembra dunque che le nozze tra FCA e Peugeot si faranno entro Natale anche se il Presidente Elkann ha prudentemente specificato che “c’è ancora molto da fare per formalizzare il progetto”, cioè per mettere a punto concretamente il piano di fusione delle due multinazionali dell’auto. Cominciano in questa settimana i diversi tavoli di lavoro e in particolare la cosiddetta due diligence, cioè la verifica contabile.

La casa francese era stata, fin dall’inizio, il primo amore di Giovanni Agnelli, ma le avances dell’avvocato, che considerava questa alleanza la più naturale e consona alla dimensione delle due aziende, non avevano mai trovato interesse da parte della famiglia Peugeot che da sempre controlla la PSA. Sono note le vicende degli ultimi anni venti anni: la crisi di inizio secolo della Fiat, la risoluzione dell’accordo con la General Motors, la successiva fusione con la Chrysler e poi la ricerca di Marchionne di una alleanza ancora più ampia e necessaria per far fronte alla sempre più accesa concorrenza internazionale tra grandi compagnie automobilistiche. Prima il corteggiamento della General Motors , rifiutato dall’amministratore delegato della casa americana Mary Barra, poi, a maggio di questo anno, l’annuncio della fusione con la Renault, nozze impedite dall’intervento del governo francese e dallo scarso interesse del suo socio asiatico, la Nissan; oggi infine il ritorno alla vecchia fiamma e le agognate nozze (probabilmente) con la casa francese, che dopo un periodo di grande difficoltà, grazie anche al dinamico Amministratore Delegato, il portoghese Tavares, ha conosciuto negli ultimi due anni una fase di forte rilancio.

Svolta epocale e acuta concorrenza

Avevamo avuto modo di scrivere nella vicenda Renault https://anticapitalista.org/2019/06/03/fca-renault-per-una-risposta-internazionalista-ed-unitaria/ che “Nella giungla del mercato capitalista o si avanza o si corre il rischio di essere messi fuori gioco”; e come sia un percorso obbligato “il walzer delle alleanze e delle fusioni necessarie per ridurre i costi e mantenere alti profitti e dividendi per gli azionisti”.
Vedasi anche https://anticapitalista.org/2019/09/14/auto-crash-lindustria-dellauto-al-centro-della-prossima-crisi/

Ancor più obbligato perché oggi la produzione automobilistica ha di fronte sfide e cambiamenti epocali, il passaggio all’elettrico imposto dal riscaldamento climatico con il superamento dei motori termici e poi addirittura il passaggio alla guida autonoma. Nel risico dell’auto entrano così in gioco anche le multinazionali dell’informatica; la dimensione degli investimenti necessari a garantire certi livelli di redditività e di profitto, diventano enormi; da sole le case dell’auto che si pongono in una posizione intermedia per capitalizzazione e dimensione produttiva, come la FCA e la PSA non potrebbero reggere di fronte ai colossi più grandi come la Volkswagen e la Toyota.

Tanto per dare un’idea: nel 2018 la Volkswagen ha venduto 10,90 milioni di autovetture, la Toyota 10,60, la General Motors 8.38, la Hyundai 7,39, la Ford 6, la Nissan 5,52, la Honda 5,32. La FCA si colloca solo all’8° posto con 4,84 milioni, precedendo la Renault e la PSA entrambe con 3,88 milioni. auto. In realtà la Renault alleata alla Nissan e alla Mitsubishi arriva a superare i dieci milioni di auto prodotte.

Finora sono stati investiti 275 miliardi di euro nell’auto elettrica, ma alcuni stimano che serviranno altri 200 miliardi di dollari nel prossimi anni; sono previsti infatti entro il 2025 ben 300 nuovi modelli. Un altro problema disturba i sonni dei dirigenti aziendali: la recessione economica già in corso nel settore auto e un tasso di crescita annuo molto limitato (1,6%) fino al 2026 potrebbero comportare una riduzione dei profitti lordi di 60 miliardi di dollari.

Il quadro della fusione

Come nelle altre occasioni in cui sono stati annunciati i progetti della Fiat e poi della FCA, giornalisti, commentatori ed esponenti politici si sono lanciati servilmente e a sprezzo del ridicolo, in dichiarazioni di esaltazione delle scelte dei capi della FCA e dello “sforzo titanico” intrapreso da Elkann (circa 9 milioni di euro i suoi emolumenti nel 2018) e Tavares (7,6 milioni di euro il suo stipendio nel 2019) nella sfida globale dell’auto. Abbiamo potuto leggere della “fusione calda”, della “Grande alleanza per la sfida all’innovazione”, come non sono mancate le rassicurazioni “Quarti nel mondo e niente chiusure”.

I numeri sono certo di grandi dimensioni: la FCA dispone di 102 stabilimenti, di 199 mila dipendenti con un fatturato di 110 miliardi e un utile nel 2018 di 5 miliardi ed infine una produzione di 4,8 milioni di auto. La PSA dispone di 45 stabilimenti, di 211 mila dipendenti, ha un fatturato di 74 miliardi e un utile del 2018 di 2 miliardi ed ha prodotto 3,9 milioni di autovetture.

La somma di questi dati, che tanto esalta i nostri commentatori, propone 184 miliardi di fatturato, 410.000 dipendenti e 8,7 milioni di auto, il quarto posto potenziale nella scala mondiale dei produttori.
Un giornalista di Repubblica ha ironizzato su una dichiarazione sindacale della CGIL e della CGT francese che giudicava “inaccettabile la decisione di avviare i negoziati per la fusione senza confronto e informazione con i lavoratori”. Ora se è certo improbabile che Elkann e Peugeot possano tenere presente nei loro affari i problemi dei loro lavoratori, è ancor più vero che lo smisurato potere delle grandi multinazionali evidenzi un enorme problema sociale e democratico ed esprima la realtà inaccettabile del sistema capitalistico Chi può decidere cosa produrre? Chi può decidere del destino di intere regioni e di centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori?

Siamo di fronte a un problema fondamentale già sottolineato alcuni mesi fa “l’enorme problema posto dalla proprietà privata dei grandi mezzi di produzione, dalle multinazionali, dal gigantesco potere di cui dispongono i loro padroni nel determinare la vita e il futuro di centinaia di migliaia di persone e di interi territori; il problema che scelte così fondamentali siano fatte non per il bene comune, ma in funzione del profitto, quindi di un accresciuto sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori e in totale disprezzo dei vincoli e degli equilibri ambientali”.

La fusione tra le due aziende viene prevista alla pari, cioè al 50% per ciascuno dei due gruppi; a questa conclusione si è giunti dopo una trattativa complessa ed utilizzando vari meccanismi finanziari perché la capitalizzazione di borsa delle due società era molto più favorevole al partner transalpino.

Due banche di affari (i financial advisor) affiancano le due società nella gestione della fusione, per la FCA la Goldman Sachs, per la PSA la Messier Maris & Associés, acquisita qualche mese fa da Mediobanca.
Attualmente la FCA è controllata con il 28,67% dalla Exor, cioè dalla famiglia Agnelli, segue la Harris associates con il 4,05%, la Tiger global col 3,71% e la Black Rock con il 3,30%. Per parte sua i principali soci dell’attuale PSA sono la famiglia Peugeot con il 12, 2%, lo Stato francese con il 12,2%, il gruppo cinese Dongfeng col 12,2% e la Norges BanK con il 2,93%. Il nuovo gruppo, che avrà la sua sede ad Amsterdam in Olanda (guarda caso costa meno fiscalmente…) avrà così questo azionariato, Exor 14,3%, Famiglia Peugeot 6,1%, Stato francese 6,1%, Dongfeng 6,1%.

Dettaglio non certo secondario, soprattutto per la famiglia Agnelli, l’operazione prevede la distribuzione di una maxi cedola di 5,5 miliardi di euro agli azionisti della FCA, una regalia ancora superiore a quella che era stata prevista per la fusione con la Renault (allora si era parlato di un dividendo straordinario di 2,5 miliardi). Anche Peugeot ha deciso di dare un premio ai suoi azionisti distribuendo loro il 46% della partecipata Faurecia, la grande azienda francese della componentistica, un regalino che si avvicina ai 3 miliardi di euro.

I due protagonisti si aspettano dalla fusione sinergie del valore di 3,7 miliardi euro annui.

La presenza geografica delle due case è complementare solo in parte e presenta una forte debolezza in Asia. La FCA ha una presenza decisiva negli USA dove costituisce la terza casa automobilistica ed è forte anche in America Latina, ma è in difficoltà in Europa ed ha una presenza irrilevante in Cina. Dispone di un marchio globale come la Jeep e dei marchi di lusso come la Maserati e l’Alfa Romeo che vuole rilanciare. Peugeot è molto forte in Europa, tanto più dopo l’acquisizione e il salvataggio della Opel in Germania e dall’altra parte del Mediterraneo, ma è molto debole in Cina dove la sua produzione nel 2018 ha subito un tracollo, dalle 750 mila vetture del 2014 è scesa a 250 mila. Dispone di alcuni modelli assai performanti, ma soprattutto è molto avanti nel settore dei veicoli elettrici dove già oggi dispone di una vasta gamma di vetture elettriche e ibride. Dispone inoltre di due piattaforme modulari di ultima generazione CmP e EmP, considerate particolarmente valide.

Nei primi 9 mesi del 2019 la PSA ha venduto in Europa 1.929.412 vetture mentre la FCA si è fermata a 727.700, avendo una capacità produttiva di 1,5 milioni, che risulta quindi sovradimensionata del 33%.
In Italia la FCA è ancora prima con una quota di mercato del 23,9%, ma perde dall’inizio dell’anno un 10%, mentre la Peugeot si mantiene stabile, in seconda posizione anche se le principali concorrenti, Volkwagen e Renault, segnalano una significativa crescita.

La governance

Chi comanderà veramente nella nuova società? E’ questo l’interrogativo che molti si pongono a partire dai governi locali italiani che temono che a fare le spese delle inevitabili ristrutturazioni produttive siano gli insediamenti industriali della penisola.

Il consiglio di amministrazione sarà composto da 5 membri espressi dalla FCA tra cui Elkann che sarà il presidente della nuova società (ma tre dovranno essere indipendenti) e 5 dalla PSA, a cui si aggiunge Carlos Tavares come undicesimo, il potente Amministratore delegato, colui che veramente decide ed opera. Tavares viene considerato, dopo l’operazione di salvataggio della Peugeot che ha garantito l’anno scorso all’azienda un aumento degli utili netti del 47%, uno dei migliori manager ed anche uno dei maggiori conoscitori del mondo delle auto. Ha fama di duro e di tagliatore di costi, ma di certo anche di teste. Il capo della CGT francese ha detto che Tavares, quando parla con loro, si interessa solo dei profitti. Ha fatto carriera nella Renault ed ha avuto un ruolo chiave nell’alleanza tra Renault e Nissan tanto da essere l’uomo di fiducia dell’allora presidente Carlos Ghost, oggi in galera in Giappone in attesa di processo per le sue appropriazioni indebite. Cacciato da Ghost di cui voleva prendere il posto, ha poi traslocato alla guida della Peugeot nel 2014.

“FCA-Peugeot, i soci in cerca di equilibrio” è uno dei titoli de La Repubblica, che pone il problema di quali saranno i rapporti di forza reali tra i due contraenti al di la delle affermazioni di Elkann secondo cui si sarebbe realizzato un equilibrio nella governance e nella gestione del nuovo gruppo. Chi avrà il potere di decidere quali saranno le scelte produttive, gli investimenti da fare e dove indirizzarli? Dove e come ridurre i costi e quindi anche in quali siti ridurre la manodopera occupata? Di certo molti elementi, tra cui anche il ruolo dell’11° membro del CdA, quel Tavarez, presunto AD al di sopra delle parti, fanno pensare a una prevalenza dei francesi come sono in molti ad aver sottolineato. Questo è vero, ma è anche vero che elemento decisivo del nuovo gruppo sarà ora la sua presenza negli USA dove Mike Manley (3 milioni di euro il suo stipendio nel 2018, ma quest’anno tra stipendi, bonus e azioni vincolate dovrebbe arrivare a 14 milioni di dollari), apparentemente in ombra nelle trattativa e che perde il posto di AD della FCA, resterà probabilmente a dirigere le operazioni. Sono in molti, anche a sinistra, a ragionare come fossimo davanti a una fusione tra la vecchia Fiat e la Peugeot, ma la FCA è invece un’entità del tutto diversa. I commentatori che hanno messo l’accento sulla costituzione di un forte gruppo europeo sono stati molto imprecisi. La FCA non è italiana, ma americana e il gruppo sarà una multinazionale con una base sia in Europa che negli USA. Ancor più fasulla è la speranza di alcuni soggetti piemontesi di un asse Torino Parigi. La sede europea della FCA è ancora a Torino, ma la famiglia torinese che la controlla, anche se molti suoi rampolli sono nati da queste parti, è ormai, come l’ha definita un giornalista, una famiglia apolide, con lo sguardo rivolto altrove e con scelte che corrispondono alla nuova natura della società che presidiano. Il presidente della Confcommercio torinese ha avuto il coraggio di dire la verità: teme che il baricentro del nuovo gruppo escluda Torino e prevalga l’asse Detroit Parigi. Preoccupazione del tutto fondata, anzi certa.

La Exor non se la passa male

Se Torino e i lavoratori italiani possono uscire male da questa vicenda, non così è per la famiglia Agnelli che attraverso la Exor controlla la FCA e che avrà un peso rilevante anche nel nuovo gruppo.

Il Sole 24 ore ha identificato 3 o 4 benefici che Elkann ha portato a casa (quella sua).

L’ottenimento di 5,5 miliardi di euro di dividendi, di cui 1,6 per la Exor cioè la famiglia Agnelli, che si aggiungono ai 2 miliardi di alcuni mesi fa con la vendita della Magneti Marelli.

Il premio cioè il valore alla pari che la PSA ha riconosciuto alla FCA, quando invece la capitalizzazione borsistica di questa era inferiore alla casa francese e che ha quindi permesso una fusione alla pari e la composizione paritetica del Cda.

Il terzo è che la Exor, per quanto riguarda ai diritti di voto, cioè alla scadenza del Lock up (vedi sotto) potrà tornare sopra il 28%, quindi con una certa possibilità di controllo delle decisioni, anche se il ruolo dell’Italia sarà sempre marginale visto la configurazione complessiva degli interessi del nuovo gruppo.

Il quarto ed ultimo beneficio è che la famiglia Agnelli al termine del Lock up, potrà vendere le sue azioni ed uscire dal settore auto, come più volte è stato ventilato, per investire i soldi in ambiti meno difficili. Se l’auto resta una produzione centrale per il capitalismo, non è detto che le vecchie famiglie come i Peugeot e gli Agnelli vogliano restarci per sempre.

Il Lock up è la clausola che impegna alcuni azionisti a non vendere le azioni della società in loro possesso per alcuni anni, nel caso specifico 3 anni. L’accordo prevede tuttavia che la famiglia Peugeot possa aumentare del 2,5% la propria partecipazione ma solo acquisendo azioni dalla Dongfeng o da Bpifrance Partecipations (lo stato francese) Questo significa dunque che la Exor non potrà disimpegnarsi per tre anni, poi si vedrà. C’è poi un’altra clausola stipulata nell’accordo, lo standstill che impegna a non acquistare azioni della capogruppo nei 7 anni successivi.

L’Italia, il suo governo e gli altri attori del sistema

Molti articolisti e commentatori politici italiani si sono dimostrati preoccupati per l’atteggiamento molto distante, appena interessato, manifestato dal governo italiano di fronte a una vicenda economica e sociale di così grande portata che tira in ballo grandi problemi produttivi ed occupazionali per il nostro paese in contrapposizione a quello del governo francese che, oltre ad essere azionista della Peugeot, da sempre gioca un ruolo di intervento, anche forte, nelle acquisizioni e aggregazioni industriali e finanziarie che riguardano le società del suo paese.

Come è noto tutti governi italiani ed anche le istituzioni regionali non sono mai intervenute nelle vicende della Fiat ed hanno lasciato che la proprietà portasse fuori dal paese la più grande impresa italiana, costruita col lavoro di molte generazioni di lavoratori. Una ricchezza che non poteva che essere anche pubblica è stata lasciata nelle mani di pochi individui. Una vera vergogna. Eppure erano governi che avevano altra forza e altro peso politico di quello attuale. Difficile che questo governo debolissimo, diviso e confuso, privo di conoscenze e capacità possa avere non solo la volontà ma anche la capacità per intervenire. Tutte le drammatiche vicende industriali aperte sono lì a confermare questo assunto.

Per altro al di là di qualche articolo preoccupato su questa inattività governativa, tutti i media da sempre sostengono l’intangibilità della proprietà privata e le scelte degli azionisti dominanti; anche in questo caso hanno magnificato il progetto della fusione FCA PSA. Al massimo si sollecita il governo ad avere un poco di attenzione per cercare di “garantire” e di salvare qualche produzione e qualche posto nel nostro paese. Il governo è nullo, ma anche tutti gli altri non sanno esprimere che un ruolo servile di fronte al capitale; lasciano intendere che qualche pericolo produttivo e sociale potrebbe esserci, ma non lo esplicitano mai del tutto, assumendosi anzi il ruolo di tranquillizzatori. “ le società hanno detto che non chiuderanno nessun stabilimento”.

Un editorialista de La Repubblica è stato un poco più esplicito scrivendo: “Elkann e Tavares non possono certo promettere (e infatti non lo fanno) di mantenere tutti i 400 mila posti di lavoro che avrà il nuovo gruppo, un numero pari agli abitanti di una città come Bologna”. Per poi aggiungere (a positivo?) “Così la tutela degli insediamenti italiani passerà innanzi tutto dalle missioni produttive che saranno loro assegnate e dalla sistemazione dei nuovi assi strategici del gruppo: i centri di ricerca, le fabbriche per la realizzazione dei motori elettrici e delle batterie”.

Nessuno di tutti questi può pensare e tanto meno desiderare che venga messo in campo l’unica forza che potrebbe essere efficace per difendere posti, condizioni di lavoro e produzioni utili alla società: la mobilitazione della classe lavoratrice, una mobilitazione che può essere vincente solo dentro una azione e una solidarietà internazionale di tutte le lavoratrici e lavoratori interessati al processo di fusione. E’ questa l’unica possibilità per contrastare i progetti di sfruttamento dei padroni.

Tanto meno a nessuno di questi è venuto in mente, quando descrivono il passaggio all’auto elettrica, che necessità molte meno parti del motore e quindi molti meno lavoratori occupati, che la soluzione possa passare solo attraverso la distribuzione dell’orario cioè attraverso la riduzione di orario a parità di salario.

E i lavoratori e i sindacati

La Fiom ha preso l’iniziativa di produrre un comunicato congiunto con la CGT francese in cui si sottolineano i grandi vantaggi per la proprietà e i pericoli che invece incombono sui lavoratori, con l’impegno ad una comune consultazione ed azione per favorire il coordinamento e la solidarietà dei lavoratori tutti e per garantire il loro futuro lavorativo e contrattuale.

Il volantino della Fiom preme sul governo perché intervenga, garantendo il rilancio degli stabilimenti italiani e l’apertura di un confronto con l’azienda. Non bisogna dimenticarsi che è in corso già anche un’altra difficile vertenza, quella che riguarda la CNH, l’azienda che produce macchine agricole, e i suoi progetti di ristrutturazione e chiusura di impianti in Italia.
Più subalterni e supini ancora e quindi del tutto passivi, la Fim e la Uilm, che, valutano positivamente il progetto dei padroni chiedendo poi generiche garanzie occupazionali.

Sappiamo come andrà a finire anche perché tutti questi dirigenti continuano a pensare col metro dell’azienda, quella di essere più competitivi (“la via giusta per tornare competitivi”, come dice la Fim torinese), che altro non significa che “facciamoci sfruttare di più, così facciamo le scarpe ai lavoratori di un’altra multinazionale”.

Per le lavoratrici e per i lavoratori invece deve essere l’ora dell’internazionalismo, dell’unità delle lavoratrici e dei lavoratori di tutti gli stabilimenti e territori interessati. La mobilitazione deve essere internazionale, comune, i sindacati devono costruire un’azione unitaria, una piattaforma che difenda gli interessi di tutti e solo così facendo possono affrontare la controparte, le direzioni di FCA e PSA e la direzione del nuovo gruppo. Le lavoratrici e i lavoratori devono pretendere che le organizzazioni sindacali dei due paesi, anzi di tutti i paesi europei coinvolti, quindi anche in particolare quelli tedeschi, si incontrino e lavorino rapidamente in questa direzione. Meglio ancora se si facesse una riunione congiunta ampia con la partecipazione di molte delegate e delegati. È difficile? Certo. Ma i dirigenti sindacali che a parole difendono il concetto di unità dell’Europa provino, se sono seri, ad esercitare l’obiettivo in concreto, non dal punto di vista della classe capitalistica, ma quello degli interessi delle classi lavoratrici, la vera Europa, quella sociale e democratica.

Come hanno scritto nel volantino i nostri compagni del circolo di Torino:

Da subito si deve iniziare a costruire relazioni con i lavoratori del gruppo Psa. I sindacati devono agire in completa alleanza per evitare concorrenza tra lavoratori stessi. L’unico modo per evitare che le ristrutturazioni lascino alcuni senza lavoro e altri con il lavoro ma in condizioni peggiorate, ci si deve difendere tutti assieme, lavoratori francesi e italiani e altri.

Alla luce di precedenti vicende, l’atteggiamento sindacale non può partire dalla disponibilità ad accettare peggioramenti normativi o salariali per convincere la proprietà a non chiudere e licenziare uno stabilimento. Perché l’impegno e la lotta sia di tutti, l’obiettivo della redistribuzione del lavoro tra tutti, quindi la riduzione dell’orario di lavoro senza perdita di salario deve essere al centro delle rivendicazioni, assieme a richieste di minor sfruttamento –sempre più intollerabile- e ad aumenti salariali.

Le lotte per i diritti e l’occupazione, per il salario non devono avere frontiere. Le frontiere le hanno costruite i padroni per dividere i lavoratori. L’unità dei lavoratori si fa abbattendo le frontiere, le lotte sindacali dovranno esse su uniche piattaforme rivendicative di tutto il gruppo.