Il risultato elettorale del 10 novembre nello Stato spagnolo aggiunge un elemento di crisi in più al sistema di relazioni politiche del continente europeo. Voluto a tutti i costi da un Partito socialista totalmente incapace di gestire la precedente vittoria elettorale di aprile, il nuovo appuntamento alle urne si è risolto con un cambiamento del quadro politico spagnolo che, pur prevedibile in linea di massima, non per questo è meno preoccupante in termini generali.
Queste le novità più importanti, che approfondiranno ancor più la crisi che sta vivendo in questi ultimi anni il cosiddetto “regime del ’78”, cioè l’arco di forze politiche e istituzionali che pilotò il passaggio dalla dittatura franchista all’attuale monarchia costituzionale.
In primo luogo, il PSOE, pur confermandosi come forza più votata, esce da queste elezioni non del tutto incolume: ha perso solo 3 deputati, ma la gente -soprattutto fra le sue basi- si sta chiedendo a cosa sia servito questo incredibile logoramento elettorale, per non parlare degli ammiccamenti a destra o degli atteggiamenti autoritari sbandierati da Pedro Sanchéz e dai suoi ministri. Ne valeva la pena? Nella concentrazione di militanti di fronte alla sede del partito, la notte della celebrazione della vittoria, si sentivano chiaramente grida a favore di un governo di sinistra insieme a Podemos…
La destra ha subito un rimescolamento in profondità che però fa della sua ricomposizione, in atto da qualche tempo, uno scenario ancora più sciagurato di sei mesi fa. Il Partido Popular si rafforza parecchio, sancendo così la fine di una crisi interna dopo la perdita del governo; Ciudadanos, l’esperimento politico nato nei laboratori dei grandi gruppi finanziari, praticamente scompare dalla scena, abbandonato in primo luogo dai suoi propri creatori. Vox, il recente partito di estrema destra che si richiama senza pudore al franchismo e reclama a gran voce la fine delle autonomie regionali, l’esercito in Catalogna e la sottomissione delle donne all’ordine nazional-patriarcale, è il terzo partito del parlamento, col 15% dei voti. Il fascismo, quello vero, senza “se” e senza “ma”, è ormai una forza politica che fa sentire il suo triste peso, totalmente legittimata dai media e dall’insieme dei partiti “democratici”. Anzi, da questo punto di vista, si potrebbe affermare che il PSOE è il massimo responsabile del trionfo dell’estrema destra: le ha aperto la porta e le ha servito in un piatto d’argento l’occasione.
La questione catalana non è in via di soluzione, anzi per la prima volta nella storia recente, le forze politiche indipendentiste hanno, in Catalogna, la maggioranza a delle elezioni politiche statali. Esquerra Republicana (il cui segretario, Oriol Junqueras, è stato appena condannato a 13 anni di carcere per sedizione) è il partito più votato. La dura sentenza nei confronti dei politici catalani e le grandi manifestazioni delle scorse settimane in tutto il paese hanno evidentemente lasciato il segno. La divisa da poliziotto indossata in questi giorni dal PSOE e i discorsi particolarmente ultrapatriottici e un po’ forcaioli rispetto ai diritti democratici e alla repressione in Catalogna del suo segretario nazionale -nonché capo del governo- non hanno fatto altro che portare acqua al mulino della destra: tutto sommato, si preferisce sempre l’originale alla copia. E’ una legge quasi fisica che più di un politico voltagabbana dovrebbe ricordare.
Le varie organizzazioni di sinistra che si presentavano alle elezioni hanno avuto un risultato contraddittorio. In primo luogo, Unidas Podemos registra una sonora sconfitta: perde più di 700.000 voti e conferma la dinamica discendente degli ultimi anni. E’ anche vero che Más Paí s, la scissione “moderata” di Podemos guidata da Iñigo Errejon (e sospettata di essere una manovra del PSOE), anche se ha registrato un misero “pluf” rispetto alle aspettative che qualche mass media interessato le attribuiva, ha soffiato a Podemos quasi tutti i voti che gli sono mancati rispetto a pochi mesi fa. Invece, organizzazioni della sinistra più radicale e legate all’indipendentismo basco e catalano, hanno raggiunto risultati non indifferenti:Bildu ottiene più di 270.000 voti e 5 deputati e la CUP catalana 240.000 e due deputati.
Riassumendo:
PSOE – 120 seggi (123 ad aprile), 6.725.000 voti – 28%
PP – 88 seggi (66 ad aprile), 5.000.000 voti – 20,8%
VOX – 52 seggi (24 ad aprile), 3.640.000 voti – 15,1%
Unidas Podemos – 35 seggi (42 ad aprile), 3.000.000 voti – 12,8%
Esquerra Republicana de Catalunya – 13 seggi (15 in aprile), 860.000 voti – 3,61%
Ciudadanos – 10 seggi (57 in aprile), 1.360.000 voti – 6,8%
Junts per Catalunya – 8 seggi (7 in aprile), 527.000 voti – 2,19%
Partito Nacionalista Vasco – 7 seggi (6 in aprile), 377.000 voti –1,7%
EH-Bildu – 5 seggi (4 in aprile), 276.000 voti – 1,15%
Más Paí s – 3 seggi (1 in aprile, con Compromís), 554.000 voti – 2,4%
CUP – 2 seggi, 244.000 voti – 1,01%
Coalicion Canaria – 2 seggi (2 in aprile), 123.000 voti
Navarra Suma – 2 seggi (2 in aprile), 98.000 voti
Bloque Nacionalista Galego – 1 seggio , 199.000 voti
Teruel existe – 1 seggio, 19.000 voti
(Nota: la legge elettorale spagnola, non esattamente proporzionale, da premi importanti a risultati di distretti elettorali più piccoli. A volte, la proporzione del valore di un voto da una grande città ad un’area rurale è di 1 a3. Questo spiega l’incongruenza di alcuni risultati in termini di voti e di seggi)
I problemi di fondo per i quali si voleva trovare una soluzione magica con queste elezioni sono ancora tutti lì, più intricati di prima. L’instabilità del sistema politico parlamentare si è accentuata: i neofascisti lasciano pochi margini di manovra per formare un qualsiasi governo plausibile (la destra, ancora una volta, non riesce a sommare una maggioranza neppure contando i voti di VOX) e per tirar dentro una possibile maggioranza i partiti catalani, il PSOE dovrebbe concedere alla Catalogna molto più di quello che è disposto anche solo a concepire nei suoi incubi più paurosi.
Si fa così strada lo spauracchio di un governo di “grande coalizione” fra il PSOE e il PP o almeno un governo monocolore PSOE con l’appoggio più o meno esplicito delle destre. Ipotesi suggestiva per più di una testata di regime e più di una famiglia della buona borghesia iberica ma difficile da gestire con le proprie basi.
Comunque, a pensarci bene, il problema non sono le aritmetiche parlamentari. Se si volesse trovare una via d’uscita governativa, la soluzione ci sarebbe. Un governo capace di affrontare sul serio anche solo un programma di minimi, che preveda la salvaguardia dei principali diritti democratici e dei lavoratori e il riconoscimento di uno Stato plurinazionale con anche solo timide aperture democratiche alle richieste di catalani e baschi, sarebbe probabilmente sufficiente per trovare un’ampia base parlamentare e più di una garanzia di stabilità per il futuro. Oltre, evidentemente, ad un appoggio deciso di settori popolari che non aspettano altro che un segnale di cambiamento di rotta.
E qui, evidentemente, troviamo lo scoglio insuperabile: perché un governo di questo tipo sia possibile, sarebbe necessaria una rottura, anche solo parziale, con le politiche praticate sino a 24 ore fa dal PSOE. Sia il neofascismo sia la destra ultranazionalista si nutrono, anche elettoralmente, dello sfacelo e il disorientamento che la sinistra politica e sociale ha creato in tutti questi anni di gestione diretta e cosciente delle politiche neoliberali, tanto europee come locali. La crisi del 2007/2008, particolarmente impietosa in Spagna, ha lasciato sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie di lavoratori e della mitica classe media che, d’un giorno all’altro, si sono viste sottrarre risparmi, casa e lavoro. Non è un caso che l’emergenza degli sfratti e del caro-affitti, soprattutto a Barcellona e a Madrid, sia di gran lunga la preoccupazione più grande dell’intera popolazione. Meno male che le bande fasciste non stanno ancora organizzando il malcontento popolare… Ma è questione di tempo. La caparbietà con la quale i socialisti spagnoli inseguono il disastro applicando da primi della classe tutte le direttive dei capitalisti grandi e piccini, europei e di casa, è quasi commovente. Sicuramente degna di ben altre imprese.
L’unico motivo di speranza, anche in questo quadro confuso e pericolosamente vacillante, è che la società dello Stato spagnolo -e sarebbe più corretto dire “le” società- non sono ancora del tutto lobotomizzate. Esiste ancora una certa capacità di reazione da parte dei lavoratori e dei movimenti sociali (oltre all’esempio catalano, più complesso ma certamente formidabile, bisognerebbe citare le mobilitazioni dei pensionati, del pubblico impiego, delle donne, ecc.) e una relativa forza politica della sinistra di classe, che non è stata spazzata via dalla scena politica come è successo altrove in Europa. Non è molto ma non è neppure poco. Tutto dipenderà da come si articolerà questa lotta di resistenza, chi e come saprà dirigerla, quali alleanze si creeranno fra i vari movimenti e gruppi.