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Abbiamo già discusso, a più riprese, i quattro “scenari indicativi” dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) per stabilizzare il clima al di sotto di 1,5°C di riscaldamento. Tre di questi scenari darebbero per scontato un superamento temporaneo della soglia di pericolo e prevedono poi l’utilizzazione di “tecnologie a emissioni negative” tese, in un secondo tempo, a raffreddare la Terra: una cosa assolutamente insensata. Lo Scenario 1 dell’IPCC è l’unico che evita questa follia di “superamento temporaneo” 1,5°C di riscaldamento e, di conseguenza, anche l’utilizzo delle tecnologie in questione. Cosa pensare? È questa la strada da seguire?

Da un lato, questo scenario presuppone, come tutti gli altri, “mercati pienamente funzionanti e comportamenti di mercato competitivi” (quinto rapporto dell’IPCC, gruppo di lavoro 3); dall’altro, esso implica, come gli altri, uno sviluppo significativo dell’energia nucleare (+100% entro il 2050!). A nostro avviso, questa cosa è sufficiente per escluderlo… Tuttavia, è importante guardare le cose un po’ più da vicino. Infatti, questo scenario prevede una significativa riduzione del consumo finale di energia: -15% nel 2030 e -32% nel 2050, secondo l’IPCC. Dato che una riduzione così significativa è impossibile senza una certa riduzione della produzione e/o del trasporto di materiali, sorge la domanda: supponendo, per un istante, che quella nucleare fosse un’energia accettabile, sarebbe ancora possibile rimanere al di sotto dell’ 1,5°C di aumento del riscaldamento globale senza “produrre meno, trasportare meno e condividere di più”? In altre parole: è davvero necessario abbandonare la logica capitalistica dell’accumulazione come pretendiamo noi ecosocialisti? Non sarebbe ancora possibile una qualche ipotesi di “capitalismo verde”? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo entrare nei dettagli delle simulazioni che sono servite come base per lo scenario 1 dell’IPCC.

La più radicale di queste simulazioni si chiama Low Energy Demand (LED) (1). Essa tende a dimostrare che il limite di 1,5°C potrebbe essere rispettato in un contesto di mercato, senza tecnologie ad emissioni negative. Come? Attraverso la crescente digitalizzazione, elettrificazione e urbanizzazione che dovrebbe ridurre la domanda finale di energia del 40% nel 2050, creando così il necessario spazio di manovra per decarbonizzare il sistema energetico. Esempio: uno smartphone che consuma 5W (2,5W in modalità standby) può sostituire più di quindici degli attuali dispositivi, riducendo il consumo energetico di un fattore cento(2) (trenta in modalità standby). Di conseguenza, secondo gli autori di questa ipotesi, la produzione industriale diminuirà spontaneamente del 15%. Per il resto, tutto continuerà senza problemi: l’urbanizzazione continuerà a svuotare le campagne, la crescente produttività agricola dell’Agribusiness continuerà ad approvigionare le città, il trasporto merci (+20% al Nord, +70% al Sud!) continuerà a distribuire merci in tutto il pianeta, e la riduzione dell’uso dei biocarburanti permetterà addirittura di estendere le foreste…Non è meraviglioso?

Il problema? Affinché tutto questo funzioni, si deve presumere che il capitale non sfrutterà il ridotto fabbisogno energetico per produrre più merci. Tuttavia, questo non è mai successo nella storia di questo modo di produzione. Mai: quando l’efficienza di un processo è aumentata, i capitalisti l’hanno sempre usata per produrre di più, per intascare più profitti. È chiamato “effetto rimbalzo“. Gli autori di Low Energy Demand lo ammettono: il loro progetto può avere successo solo se questo effetto di rimbalzo viene disinnescato. A tal fine, essi si basano innanzitutto sulla tendenza alla riduzione della domanda in diversi settori (esempi: a seguito dell’urbanizzazione, meno giovani acquistano un’auto, più auto elettriche condivise, ecc.) Ma questo non sarà sufficiente (il fatto che i giovani in città comprano meno auto non riduce la produzione complessiva di materiale), quindi ci vorrà…cosa? Beh, una tassa, ovviamente! E non una piccola tassa: una tassa per garantire che le bollette elettriche dei consumatori rimangano costanti…anche se i consumi diminuiscono di un fattore cento! (3)!

In altre parole, ecco gli scienziati che ammettono che per salvare il clima è necessario ridurre la produzione materiale, ma che non vedono altro modo di farlo se non aumentando le politiche fiscali che producono disuguaglianza – a un punto tale che nemmeno Emmanuel Macron oserebbe immaginare (4)! Eliminare produzioni inutili e dannose (armi, ad esempio), è una cosa che non passa nemmeno per la mente a queste persone. E si tratta di un aspetto spaventoso e molto significativo del controllo capitalistico-liberale sulla ricerca. In ogni caso, anche se la sfida climatica potesse essere affrontata a costo di tale ingiustizia sociale, è ovvio che nulla sarebbe risolto nella crisi ecologica globale, in particolare sui fronti della biodiversità, dell’avvelenamento chimico della biosfera, della grave perturbazione del ciclo dell’azoto e del degrado del suolo.

Conclusione: sì, il capitalismo verde è davvero impossibile, e non è propaganda…


Quando il capitalismo trasforma le soluzioni ecologiche in problemi 1. Arnulf GRUBLER et al. « A low energy demand scenario for meeting the 1.5°C target and sustainable development goals without negative emissions technologies », Nature Energy, Vol 3, June 2018, 515-527.
2.« un fattore cento » : il consume di energia sarà diviso per cento
3. Parallelamente, Low Energy Demand  necessita che i poteri pubblici decidano norme severe di efficienza energetica, stimolando l’acquisto di tecnologie verdi, e aiuti alle imprese che lanciano nuovi modelli di business
4. Gli autori  fanno notare che questa politica “potrebbe eventualmente essere difficile da applicare. È probabile che abbiano sentito parlare dei Gilet gialli, ma non ne hanno tratto alcuna conclusione…