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Circa un anno e mezzo fa (il 25 maggio 2018) in un altro articolo (“Cala ancora la speranza di vita negli USA“), scrivevo dell’inusuale tendenza alla contrazione della speranza di vita alla nascita negli USA. Quando i giornali riportarono la notizia del terzo anno consecutivo di calo di questo fondamentale indice del “benessere” di una società, accennai ad una riflessione sui “limiti” dello sviluppo capitalistico, a partire proprio dal paese che più d’ogni altro ha incarnato i valori del neo-liberismo.

Mi scuseranno i lettori se mi permetto un’auto-citazione: “Ma complessivamente, seppur contraddittoriamente, il sistema capitalistico (va da sé, anche grazie alle grandi lotte delle vittime di questo sistema) ha, finora, almeno se la nostra vista si concentra sui tempi medio-lunghi (i 50, i 100 anni), garantito un certo sviluppo delle forze produttive e, mediamente, un miglioramento delle condizioni di vita della maggior parte dell’umanità (in particolare nei paesi “ricchi”, ma anche in gran parte dell’Asia e dell’America Latina, e in minor misura, anche in parte dell’Africa). Ed il dato più eclatante è stato proprio questa “lotta contro la morte”, che ha permesso di raddoppiare nel corso di un secolo la speranza media di vita di ogni essere umano.

Ma ora? Proprio nel cuore del sistema, nella principale economia del mondo (accanto a quella cinese) la tendenza sembra essersi invertita. Se fosse il segnale tanto atteso dell’esaurimento della “spinta propulsiva” di un sistema ormai vecchio di tre, quattro secoli?”. Ora, la pubblicazione dei dati per il 2018 conferma questa nuova tendenza al peggioramento. Negli USA, per il quarto anno consecutivo (fatto mai accaduto da quando si hanno questo tipo di statistiche), il cittadino “medio” può sperare di vivere 78,6 anni, quattro mesi meno che nell’anno precedente, e sei mesi meno di 4 anni fa! Il record negativo statunitense (ultimi tra i paesi “occidentali” a capitalismo “maturo”) è però accompagnato, quest’anno, da altri paesi, tra i quali due europei (Grecia e Cipro), quattro asiatici (la Turchia, che vede un calo di quasi due anni in un colpo solo, la Giordania, la Birmania e il Laos), due africani (Tunisia ed Uganda) e uno latinoamericano (il Cile, guarda caso la punta di lancia delle privatizzazioni, nella sanità come in altri settori, che vede il secondo calo consecutivo, con oltre due anni persi in un biennio!). In totale un’area di oltre 550 milioni di persone (circa l’8% dell’umanità) che è in retrocessione.

Si tratta di una novità allarmante. Bisogna risalire alla prima metà degli anni ’90 per vedere un fenomeno analogo. Ma allora riguardava i paesi dell’ex URSS (colpiti dalla crisi sociale dovuta all’instaurazione del capitalismo dopo il crollo del cosiddetto “socialismo reale”) e quelli dell’Africa meridionale (epidemia di AIDS). Il fatto che oggi ne sia colpito il cuore del capitalismo “avanzato” ci dovrebbe spingere ancor di più ad interrogarci sul futuro di questo sistema, sempre più caratterizzato dall’homo homini lupus di hobbesiana memoria. E, se è abbastanza risaputo che gli yankee mangiano malissimo ed hanno una struttura sanitaria “media” che fa acqua da tutte le parti (non si parla qui dei centri d’eccellenza, riservati a chi se li può pagare), lo stesso non si può dire per greci e ciprioti, e probabilmente, almeno per quanto riguarda l’alimentazione, neanche per turchi, giordani, tunisini, cileni e giordani.

Che non ci si debba stupire se mangiare hamburger ed avere ospedali poco affidabili porta a crepare prima, ci si stupisce dell’ostinazione con cui gli alfieri del neo-liberismo continuano a difendere il loro modello di sviluppo. Nonostante il moltiplicarsi degli scricchiolii.

*commento apparso sul sito di Sinistra Anticapitalista di Brescia