Si sa che in periodo elettorale tutto fa brodo. E non vi è nessun limite ad impugnare qualsiasi tema, in particolare quelli che corrispondono a sensibilità diffuse, pur di piegarlo alle proprie esigenze elettorali.
Nulla di male di per sé; ma a condizione che, avendo agito in modo contrario negli anni precedenti ed avendo contribuito a creare quegli stessi problemi che vengono oggi denunciati, si faccia almeno un po’ di autocritica.
Nel corso del dibattito in occasione dell’ultima riunione di Gran Consiglio abbiamo sentito tuonare contro il fatto che in seno alle istanze direttive di BancaStato (consiglio di amministrazione e direzione generale) viga una dominazione assoluta del genere maschile e non vi sia alcun spazio per le donne. Proprio per questa ragione alcuni non hanno aderito ai conti di BancaStato.
La domanda che ci si deve porre è quindi la seguente: chi ha contribuito in modo determinante a creare questa situazione? Chi, per anni e pur disponendo, ancora di recente, della possibilità di modificare una tale situazione non ha fatto nulla in questa direzione, contribuendo a perpetuare questa dominazione maschile? La risposta è semplice: quegli stessi partiti che oggi “si preoccupano” di questa situazione.
Prendiamo ad esempio il consiglio di amministrazione. Bisogna essere caduti dal seggiolone da piccoli per ignorare che il consiglio di amministrazione di BancaStato (membri, supplenti, revisori, etc.) da decenni viene nominato secondo le ferree regole della spartizione tra i partiti di governo. Certo, è il governo a nominare i membri: ma costoro provengono dalle aree politiche di riferimento e con il benestare dei partiti o, perlomeno, dei rappresentanti dei partiti in Consiglio di Stato.
Sono quindi i partiti (di “destra” e di “sinistra”), quelli che oggi ci dicono che le cose così non vanno bene, ad aver per decenni perpetuato questa situazione (e ancora negli ultimi anni, visto che abbiamo avuto avvicendamenti in seno al CdA di BancaStato ancora non molto tempo fa). Così come hanno fatto e come continuano a fare per altre istituzioni di questo genere (AET, EOC, etc.).
Sia chiaro, noi non pensiamo la che battaglia per l’emancipazione delle donne passi attraverso una politica di “empowerment”, cioè di conquista da parte delle donne di posizione di potere in seno alle imprese e ai governi, anche se evidentemente l’assenza di donne da queste posizioni di potere riflette sicuramente un ruolo subalterno delle donne nella nostra società. BancaStato, tra l’altro è proprio la dimostrazione, della vacuità di discorsi secondo le quali la presenza femminile ai posti di comando renderebbe “migliori” queste società: il periodo più “oscuro” di BancaStato ha coinciso negli anni scorsi con la presenza alla direzione del dipartimento di competenza e di sorveglianza su Bancastato (il DFE) di due donne (Marina Masoni e Laura Sadis).
D’altra parte l’accorato appello per una maggiore rappresentanza femminile suona oggi proprio come una mera propaganda elettorale. Comprendiamo che oggi, di fronte alla potente mobilitazione delle donne, i partiti di governo cerchino in qualche modo di far dimenticare questa loro politica, indignandosi del fatto che nessuno (cioè loro stessi) abbia mai proposto una donna nel consiglio di amministrazione di BancaStato. Dimostrano solo, pateticamente, di avere la coda di paglia. Che dire: auguri per le prossime elezioni comunali!