Nessun passo indietro: le attività le attività produttive non fondamentali e socialmente necessarie devono rimanere chiuse! Tutte!
1. Abbiamo sostenuto la decisione del governo e pensiamo che sia necessario continuare su quella linea per le prossime settimane, senza far alcuna marcia indietro come, invece, sembra profilarsi almeno in parte dalle notizie che filtrano dal Consiglio di Stato.
2. Le ragioni alla base della necessità di continuare nella linea seguita in questa ultima settimana, piuttosto approfondendola che allentandola, sono dettate da un evidenza: nulla finora è cambiato nella progressione del contagio rispetto ad una settimana fa. Anzi, gli ultimi giorni hanno visto un ulteriore incremento dei contagi, degli ospedalizzati e dei morti.
3. Le modifiche al decreto che si stanno manifestando in queste ore vanno in direzione, come ha voluto il Consiglio federale che ha accolto così le pressioni padronali, di una modifica della logica precedente; non più un divieto con delle eccezioni, ma di fatto la possibilità di lavorare per tutte quelle aziende che certificano di lavorare solo per attività necessarie e rispettando le prescrizioni di sicurezza e salute per i lavoratori e le lavoratrici. Il Governo ticinese, dopo aver giocato di sponda con il Consiglio federale e AITI, dice che un certo numero di aziende, quelle più importanti dal punto di vista economico e politico, quelle che probabilmente servono la filiera dei grandi gruppi nazionali, potranno aprire! Il Consiglio di Stato dovrebbe avere il coraggio almeno di rispondere alle seguenti domande: cosa è cambiato dal punto di vista dell’epidemia per giustificare la levata parziale del blocco imposto alle industrie non essenziali? Perché 100, 200 o 300 fabbriche potranno aprire mentre migliaia di piccole attività (ristoranti, bar, parrucchieri) e di altre fabbriche dovranno restare chiuse?
4. Le “garanzie” (informazione dei lavoratori, etc.), sono un déjà vu. Sono condizioni che la parte più debole, i salariati, non riescono ad imporre in tempi normali, figuriamoci in tempi come questi.
Nella sua conferenza stampa il Consiglio Federale ha insistito sulla necessità che l’azienda debba “dimostrare” di lavorare in sicurezza e di svolgere attività urgenti e necessarie. Ma “dimostrare” a chi? Chi controllerà la situazione? Chi potrà verificare che effettivamente le cose stanno come autocertificate? Chi verificherà che non vi è stato nessun contagio dovuto a queste situazioni lavorative?
Le strutture che normalmente svolgono questa funzione di controllo sono di fatto inattive. La giusta chiusura dell’amministrazione cantonale ha di fatto messo fuori azione l’ispettorato del lavoro, così come la SUVA: le due strutture che potrebbero e dovrebbero verificare le situazioni.
L’esperienza degli ultimi anni ha già mostrato quanto poco realistici e quanto vuoti i richiami al controllo delle condizioni di lavoro se non accompagnate da reali disposizioni che permettano questi controllo. Lo abbiamo visto con il dumping salariale: un controllo sostanzialmente fallito (il dumping si è affermato) proprio a causa della timidezza dei meccanismi di controllo del mercato del lavoro.
6. Non vi sono dubbi che la procedura verso la quale ci si orienta porterà ad un aumento di coloro che lavoreranno (in particolare nel settore industriale e artigianale); era questa l’intenzione degli industriali e dei loro dirigenti.
Si tratta di una decisione irresponsabile che alimenterà il propagandarsi del contagio, un aumento dei ricovi ed anche un inutile sacrificio di vite umane. Che senso ha vietare agli over 65 di uscire di casa, andare a fare la spesa, chieder loro di rinunciare anche ad una semplice passeggiata e contemporaneamente permettere a migliaia di persone di spostarsi, utilizzare i mezzi di trasporto pubblici, e trascorrere in spazi ristretti 8 o 9 ore della giornata? Ancora una volta il profitto di pochi prevale sulla salute di tanti. Che senso ha bloccare per una settimana le attività produttive per poi riaprire nel momento in cui il virus sta raggiungendo il picco? Una scelta indegna. Perché la popolazione ticinese dovrà pagare un conto salatissimo per permettere alle società di AITI di continuare a macinare profitti, infischiandosene della nostra salute?! Se così non fosse, Modenini dovrebbe fare una cosa sola: confermare che per il rispetto della salute pubblica le industrie di AITI non apriranno e che continuano a sostenere il blocco delle attività produttive non necessarie! Non lo dirà mai perché i profitti di pochi devono prevalere sulla salute di tutte e tutti!
7. Ieri il presidente del Consiglio di Stato ha sottolineato che questo cedimento sarebbe condiviso anche delle organizzazioni sindacali. Una condivisione, se la notizia fosse confermata, incomprensibile e sconcertante, nettamente contradditorio con l’orientamento che, con fatica e forse un po’ con ritardo, il movimento sindacale aveva raggiunto negli ultimi giorni, convinto della necessità di vietare le attività produttive non necessarie.
8. È il momento di dimostrare coerenza e determinazione. L’MPS lancia un accorato appello popolazione ticinese affinché faccia sentire la propria voce in tutte le forme possibili: è necessario continuare con le misure adottate la scorsa settimana, per il bene della salute di tutte e di tutti. È in questi momenti che sarà possibile vedere da che parte stanno veramente i firmatari di vari appelli (i “ticinesi”, i medici, etc.) che si erano schierati a difesa dell’operato del consiglio di Stato. Oggi dovrebbero, per coerenza, far sentire nuovamente la loro voce, proprio perché altre priorità rispetto alla lotta al contagio sembrano in parte affermarsi. Eppure la situazione, dal punto di vista sanitario, non ci pare sia migliorata, anzi.