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Criminali coloro che non rispettano le misure di igiene e distanza; ma anche coloro che obbligano centinaia di lavoratori e lavoratrici ad andare a lavorare. Basta ipocrisie: il governo cantonale deve decretare il blocco di tutte le attività produttive e commerciali non urgenti e non socialmente necessarie.

La conferenza di oggi del capo della polizia Cocchi e del medico cantonale Maerlani ha, ancora una volta, insistito sulla necessità che tutti si attengano alle misure di igiene e distanza più volte ripetute. Andare in giro, avvicinarsi, socializzare senza rispetto di queste misure è un atto criminale. Giusto! Ma chi obbliga un lavoratore a rendersi a lavore per un’”azienda leader nell’industria degli accessori moda. I nomi più prestigiosi del lusso e dello sport scelgono i prodotti Riri” (cioè per una produzione tutt’altro che urgente e socialmente necessaria) non commette un atto ancora più criminale? O, ancora, un’azienda con centinaia di posti di lavoro che produce protesi per l’anca e le ginocchia (Medacta) non è altrettanto irresponsabile e criminale se continua a produrre? E la lista potrebbe allungarsi: Precicast (gruppo Georg + Fischer), Diamond, gruppo Fabbri, etc. etc. etc.

Queste riflessioni il capo della polizia e il medico cantonale dovrebbero sottoporle al Consiglio di Stato che persiste (certo in buona compagnia e con il sostegno del governo federale e delle associazioni padronali) a rifiutarsi di decretare il blocco di tutte le attività produttive e commerciali non urgenti e non socialmente necessarie.

Se l’unità nazionale e cantonale impedisce di vedere i problemi

(brevi considerazioni dopo le due conferenze stampa odierne)

Sbaglia chi pensa che il coronavirus non abbia nulla a che vedere con la politica, soprattutto partendo dall’idea, pur sbagliata, che qualsiasi critica all’operato delle autorità significhi incrinare quella necessaria “unità”, quel richiamo al fatto che saremmo “tutti nella stessa barca” e che quindi dovremmo “remare tutti assieme”.

Se “remare insieme” significa che tutti dobbiamo concorrere a bloccare la pandemia, con i nostri comportamenti individuali, rispettando le norme sanitarie e igieniche, dandoci da fare dove possiamo, etc. etc., su questo non si può non essere d’accordo.

Ma quando “remare insieme”, “non dividerci” significa che non si possono esprimere critiche o pareri discordi o proposte diverse rispetto a quelle che vengono formulate dalle autorità, ebbene questo non è accettabile né da un punto di vista morale, né dal punto di vista etico.

Certo dobbiamo evitare le polemiche sterili, gli attacchi personali: ma abbiamo il dovere di dire quello che pensiamo; è un dovere, non solo un diritto! E lo facciamo anche se la stragrande maggioranza dei media (con qualche piccola eccezione) si è ormai piegata alle esigenze di questa linea: guai a dire che, da almeno 10 giorni noi chiediamo di interrompere tutte le attività economiche e commerciali non socialmente necessarie; ma ampio spazio alle proposte economiche del PLR di Gordola (sic!) che riprende quelle del PLRT cantonale, che riprende quelle già annunciate dal Consiglio di Stato…

Attorno alla lotta contro il coronavirus ci sono, è evidente, anche linee di forza politiche chiare che cominciano anche a vedersi con nettezza, a livello federale come a livello cantonale.

I partiti di governo (sia a livello cantonale che a livello federale) cominciano a manifestarsi con prese di posizione, commenti, etc. nelle quali emergono due aspetti.

Il primo è un sostegno totale all’azione fin qui seguita dal governo. Nessuna voce critica sul fatto che tutti i giorni possiamo vedere in atto una contraddizione formidabile tra gli appelli (degli stessi membri del governo) a “restare a casa”, a “rispettare le distanze sociali”, a “rispettare le norme igieniche” e la persistenza di situazioni lavorative ancora molto ampie che vedono migliaia di persone recarsi ogni giorno sugli stessi luoghi di lavoro (cantieri, fabbriche, commerci, etc.) nei quali è materialmente impossibile rispettare quelle stesse norme.

Anche nelle decisioni annunciate oggi (20 marzo) il Consiglio federale ha ribadito la necessità che cantieri e industrie continuino a funzionare, naturalmente rispettando le norme di sicurezza. È una grande menzogna, diciamocelo francamente: tutti sanno bene che in un’azienda dove lavorano 3-400 lavoratori o su un cantiere con decine di operai è praticamente impossibile rispettare (all’inizio, durante o alle fine dei lavori) queste norme. È questa una grande ipocrisia, soprattutto quando si dichiara che non ci si può riunire in più di cinque persone e, se lo si fa, si devono tenere le distanze sociali.

Il secondo si concentra invece sulla necessità di “salvare l’economia”, dove per “economia” il riferimento è alle imprese che, se salvate, distribuiranno benessere, salari e posti di lavoro in abbondanza. La preoccupazione è la liquidità delle imprese, non certo quella dei salariati e delle famiglie; significativo, ad esempio, che nelle misure (sempre decise oggi dal Consiglio Federale) le imprese possano attingere senza nessuno sforzo ad ampia liquidità, mentre per quello che è uno degli impegni maggiori della maggioranza della popolazione svizzera – pagare l’affitto – Guy Parmalin ha invitato gli inquilini a “mettersi d’accordo” con i proprietari di immobili. Naturalmente neanche una parola su premi di cassa malati, bollette telefoniche, pagamento delle rate delle imposte (per le aziende certo è stato annunciato un posticipo!), etc. etc.: in poche parole tutte le preoccupazioni vanno alle imprese e agli imprenditori, mentre i salariati devono più o meno arrangiarsi per arrivare a fine mese anche con il coronavirus. L’idea di un reddito di quarantena non sfiora nemmeno la mente dei nostri governanti!

In questo contesto non vi sono dubbi che, ad esempio, le preoccupazioni e le promesse per una politica che risponda alle esigenze delle crisi ambientale verranno bellamente dimenticate dai governi e dai loro partiti; e che dire poi della lotta alla discriminazione di genere alla quale hanno dato l’impressione di voler credere gli stessi rappresentanti di questi partiti, ancora fino a poche settimane fa? I grandi movimenti sociali del 2019 e le grandi questioni poste dalla mobilitazione di persone in tutto il mondo rischiano così di dover lasciare il passo alla retorica capitalistica della “ripartenza” della “ricostruzione”.

Il sostegno alla politica di contenimento fin qui perseguita (che esclude quindi il blocco delle attività economiche e commerciali) annuncia la centralità dell’impresa, del capitale e dei suoi obiettivi di redditività al momento della ripresa.

Per i salariati e le salariate di questo paese i problemi non finiranno certo con la fine dell’epidemia. Saranno loro a pagare i costi degli aiuti alle imprese, con misure di risparmio successive, con tagli nella spesa pubblica (magari ancora – macabra ironia della sorte – nell’ambito della sanità), con aumenti di tasse antisociali come l’IVA. Non saremo tutti e tutte nelle stessa barca!

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