Quanto è pericoloso il virus corona?
Prima di tutto, probabilmente, ha senso esaminare più da vicino il pericolo del virus attuale, che causa il quadro clinico noto come “Covid-19”. Non aiuta se banalizziamo il virus come “virus del raffreddore”, né se lo confrontiamo con la peste o l’influenza spagnola.
In sostanza, nella discussione sulla pericolosità del virus, spesso si confondono due livelli, che devono essere separati. Da un lato, c’è la questione se il virus possa avere effetti sociali pericolosi su scala globale e, dall’altro, c’è la questione se sia pericoloso per noi come individui ammalarci del virus corona. La risposta alla prima domanda è sì, la risposta alla seconda domanda è no per la stragrande maggioranza dei casi.
L’attivista austriaco Fabian Lehr scrive: “È noto da tempo che il tasso di mortalità del virus corona è molto inferiore a quello della MERSs o della SARS. Dalla comparsa in massa del Covid-19, il tasso di mortalità è rimasto costante intorno al 2%. Un dato che deve essere ridimensionato.
In primo luogo, perché ci sono moltissimi casi di Covid-19 così lievi che coloro che ne sono colpiti non si sentono gravemente malati e non vedono mai un medico. Il tasso di mortalità del 2% si riferisce a quei casi il cui decorso è così grave che le persone finiscono in ospedale. La MERS, ad esempio, non ha corsi così blandi che non richiedono cure.
In secondo luogo, poiché il Covid-19, simile all’influenza stagionale, può essere pericoloso per la vita soprattutto per le persone anziane che sono già fisicamente malate e gravemente indebolite. Per una persona giovane o di mezza età che finora è stata normalmente in buona salute, il tasso di mortalità per il coronavirus è molto probabilmente molto al di sotto dell’1%. In altre parole, per una persona precedentemente sana di 20-30 o 40 anni che soffre di coronavirus, la situazione non è quasi certamente peggiore di una normale influenza; e anche una persona di 60 anni malata cronica ha molte più probabilità di rimanere sana e in bona salute che di morire dopo poche settimane. Il coronavirus non è un virus killer, non è una nuova piaga e per la stragrande maggioranza di coloro che vengono contagiati non c’è motivo di preoccuparsi seriamente.
Tuttavia, il virus è, più che altro, estremamente contagioso; per cui se una pandemia non potrà essere impedita, esso infetterà un numero enorme di persone in un tempo molto breve. Val la pena ripeterlo, non accadrà nulla di male alla stragrande maggioranza di queste persone infette, ma l’infezione simultanea di decine o addirittura centinaia di milioni di persone potenzialmente paralizzerà la vita economica e le infrastrutture per mesi, con conseguenze molto gravi per l’economia globale già in difficoltà. In secondo luogo, il Covid-19 minaccia di stabilirsi definitivamente come malattia stagionale. Sebbene il tasso di mortalità del virus non sia elevato, è comunque molto più alto di quello della normale influenza stagionale. Se il mondo dovesse vivere una stagione di Covid-19 ogni anno, oltre alla stagione del raffreddore e dell’influenza, ciò significherebbe decine o centinaia di migliaia di morti supplementari ogni anno, anche se il 99% degli infetti sopravvivesse alla malattia. È il numero globale complessivo che conta. Una malattia che colpisce decine di milioni di persone ogni anno provoca un terribile numero di morti anche con un tasso di mortalità “limitato” all’1-2%.”
Vediamo cosa potrebbe significare questo per la Svizzera. Marc Salathé, professore di Epidemiologia all’EPFL di Losanna, ha presentato i dati fondmentali. Finora, in Svizzera, si manifesta un caso di Covid-19 ogni 100’000 abitanti. Sappiamo, da quanto successo in Cina, che questo numero più o meno raddoppia ogni settimana. Senza misure di contenimento della diffusione del virus, alla fine di aprile avremmo raggiunto circa 500 casi ogni 100.000 abitanti, di cui circa il 5%, cioè 25/100.000, sarebbe in trattamento ospedaliero. Ciò significherebbe che il 5% di tutti i ricoveri in Svizzera sarebbe causato dal Covid-19. Entro la fine di maggio, tuttavia, il 10% della popolazione sarà già infettato e ogni letto d’ospedale sarà occupato da pazienti Covid-19 senza eccezioni. Tutti possono immaginare le conseguenze di una tale ondata di malattia. Il pericolo è abbastanza realistico.
Alla luce di queste preoccupanti dati scientifici, è quindi assolutamente necessario adottare misure contro il virus. Il suo tasso di mortalità è circa 10 volte superiore a quello dell’influenza e il tasso di trasmissione è elevato. Una pandemia sarà praticamente inarrestabile, e su questo ora vi è un ampio consenso anche tra gli esperti. Tuttavia, ritardare l’insorgenza della malattia adottando misure preventive efficaci consentirebbe al sistema sanitario di prepararsi meglio e, dato un più lento aumento del numero di casi, di fornire cure a un maggior numero di persone.
La Confederazione ha adottato per la Svizzera una serie di misure che mirano proprio a provocare un tale rallentamento. In primo luogo, ha vietato gli eventi che coinvolgono più di 1’000 persone (poi abbassato a 150 NdT) e ha emanato regole di condotta. Queste misure sono controverse – e sono anche oggetto di controversie. Le misure sono probabilmente sensate in linea di principio (almeno secondo gli esperti), ma hanno connotazioni problematiche ed effetti collaterali.
Interessi dei governi e misure imposte
Finora la Confederazione ha reagito per la Svizzera più o meno come si è fatto in molti altri Paesi. Come già detto, l’obiettivo delle misure adottate è quello di rallentare la diffusione del virus e, in particolare, di dare al sistema sanitario il tempo di reagire e di prepararsi.
Allo stesso tempo, uno stato borghese ha naturalmente interesse a contenere il più possibile gli effetti di Covid-19, perché il virus non solo comporta problemi di salute e la morte di persone prevalentemente anziane, ma anche, attraverso una possibile propagazione di massa della malattia, a conseguenze importanti sullo sviluppo dell’economia e della vita sociale.
Ci si può naturalmente chiedere se le misure adottate dalla Confederazione non siano un po’ arbitrarie e se un limite di 1’000 persone (o 150 NdT) sia davvero ragionevole. D’altra parte, la contro-argomentazione particolarmente popolare a sinistra, per cui “Lo Stato protegge solo l’economia, non il popolo”, solleva il problema dalla parte sbagliata.
L’annullamento di grandi eventi come il carnevale di Basilea, concerti, dimostrazioni e simili è una misura con relativamente poche conseguenze economiche e sociali. Naturalmente, alcune piccole società sono molto dipendenti, ad esempio, dal Carnevale di Basilea; e se è vero che i club sportivi non potranno facilmente ammortizzare l’impatto economico dell’assenza di tifosi, nel complesso la vita economica e sociale continuaerà ad andare avanti come prima.
Se ora consideriamo che, oltre alle misure prescritte, potrebbero essere chiuse, per decisione federale, le aziende con 1’000 o più dipendenti (o anche meno NdT), o che il governo federale potrebbe addirittura decretare il blocco dei trasporti pubblici, le conseguenze sarebbero drastiche non solo per le aziende interessate, ma soprattutto per l’intera popolazione. Inoltre, le persone socialmente più deboli ed economicamente più precarie soffrirebbero in particolare per le inevitabili difficoltà di approvvigionamento di cibo e di tutti gli altri beni di uso quotidiano; tutti coloro che non possiedono un’auto non avrebbero più alcuna possibilità di mobilità. L’eccitazione, il panico e la perdita di gran parte della vita sociale (che si basa sull’attività economica, anche se capitalisticamente organizzata) ne sarebbero la brutale conseguenza.
È possibile che in futuro saranno necessarie ulteriori misure più drastiche, a seconda dell’andamento della pandemia. Finora, tuttavia, la valutazione dei rischi, almeno da parte del governo federale, ha potuto fare a meno di restrizioni così gravi. Eppure, ogni contatto impedito tra le persone aiuta potenzialmente a ritardare la diffusione del virus. Ogni evento che non si verifica aiuta potenzialmente ad evitare che il virus si diffonda così rapidamente, proteggendo così le persone che sono particolarmente a rischio. La lotta sociale contro il virus si basa quindi in una certa misura sulla solidarietà delle molte persone per le quali il virus non è una minaccia diretta, con quelle fasce di popolazione che rischiano di morire a causa del virus. Anche noi dobbiamo affrontare questo fatto, o almeno prendere posizione in merito quando si tratta di manifestazioni o eventi politici simili.
Ciò non significa che le misure adottate dalla maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale siano giustificabili dal punto di vista tecnico. Naturalmente implicano sempre decisioni politiche. Soprattutto quando le misure contro una pandemia colpiscono anche i nostri diritti politici fondamentali, o, come avviene attualmente in Francia, contribuiscono anche a mettere a tacere un movimento sociale. Soprattutto quando le manifestazioni, l’organizzazione politica e la libertà di espressione sono vietate, questo è pericoloso in linea di principio. Ma non prendere sul serio il pericolo del virus è negligenza. Dobbiamo invece esigere che la Confederazione e i Cantoni facciano tutto il possibile affinché i nostri diritti fondamentali continuino a essere rispettati, nonostante il virus corona.
In realtà, infatti, è compito delle autorità di uno Stato di diritto creare le condizioni affinché le persone possano esercitare i loro diritti fondamentali, ad esempio mediante manifestazioni. Ciò deve valere in particolare in situazioni eccezionali. Altrimenti c’è il grande pericolo che l’arbitrarietà (da parte delle autorità) e la pace sociale (da parte della popolazione) rendano impossibile qualsiasi forma di critica.
Covid-19 e il sistema sanitario
Tuttavia, fino a questo punto, vale ancora il principio di base: il virus è tutt’altro che innocuo, soprattutto a livello sociale. In Italia, dove finora si sono verificati la maggior parte dei casi in Europa e dove sono già morte ben oltre 200 persone, il sistema sanitario è già al limite. Gli ospedali sono completamente occupati e il 10% delle persone infettate dal virus deve essere trattato in terapia intensiva.
Il fatto che il sistema sanitario italiano stia già raggiungendo i suoi limiti con diverse migliaia di casi è un segno preoccupante. Indica che i sistemi sanitari occidentali, rovinati dalla trasformazione neoliberale, non sono più in grado di far fronte a una crisi imprevista. Sviluppi simili si possono osservare anche in Germania, dove il numero di casi è ancora molto inferiore a quello dell’Italia, ma dove c’è già un’emergenza medica.
Questa situazione palesemente difficile nella quale si trovano i sistemi sanitari rappresenta a sua volta un enorme peso per tutti gli operatori sanitari. L’insufficienza dei dati relativi all’occupazione e le misere condizioni di lavoro fanno sì che non solo non ci sia più personale in grado di rispondere in modo adeguato alla crisi, ma che i dipendenti siano anche esposti a un maggiore rischio di contagio. Inoltre, le professioni sanitarie e infermieristiche sottopagate impiegano una gran parte delle donne, che non solo devono svolgere la maggior parte del lavoro di assistenza e cura a casa propria in caso di malattia, ma sono anche esposte a un enorme stress sul lavoro a causa delle enormi esigenze dell’assistenza sanitaria.
Il sistema sanitario, fortemente orientato al mercato, è stato minato e le capacità sono state ridotte (come è successo ad esempio negli USA) a tal punto che oggi che la pandemia è alle porte, rischia di avere effetti drammatici. Sono i pazienti e i dipendenti a pagare per questo, poiché semplicemente non hanno la capacità di garantire cure e trattamenti adeguati in caso di emergenza. I massicci tagli nel settore sanitario – anche in Svizzera – hanno conseguenze fatali, soprattutto per i più deboli della società. 30-40 anni di attacchi neoliberali non solo hanno indebolito l’infrastruttura sanitaria, ma l’hanno anche resa meno inclusiva.
Ma anche nella vita di tutti i giorni, la razionalizzazione e l’orientamento al mercato stanno portando a una situazione desolata negli ospedali: perché sono gestiti come aziende, tutto viene comprato “just in time” per ridurre al minimo le scorte e per diminuire al massimo i costi. Di conseguenza, nelle situazioni di crisi mancano prodotti sanitari decisivi. Questo non si riferisce nemmeno ai farmaci costosi, ma a cose abbastanza banali: se mancano le maschere protettive e i disinfettanti, come viene attualmente segnalato da vari ospedali in Germania, l’intero sistema sanitario crolla e l’ospedale è più o meno bloccato.
Chi paga per la crisi?
La “crisi del coronavirus”, a parte le misure governative come la chiusura delle scuole o il divieto di manifestazioni, ha finora dimostrato molto chiaramente che il sistema capitalista, che è focalizzato sulla crescita e sul profitto, non è realmente in grado di affrontare in modo coerente le attuali minacce ecologiche o le sfide poste dal coronavirus. Anche in tempi di pandemie, i farmaci vengono prodotti e venduti secondo i principi del massimo profitto – le maschere protettive e i disinfettanti sono attualmente commercializzati a molte volte il prezzo normale, proprio perché la domanda è così alta. Di conseguenza, la fornitura di questi prodotti non è più garantita.
Diverse aziende e settori hanno già chiarito a chi intendono far pagare la prevista diminuzione degli affari causata dal virus. Ed abbiamo già visto i primi effetti nel settore del turismo dove l’associazione padronale di categoria ha già annunciato, pochi giorni fa, la soppressione di alcuni posti di lavoro come, ad esempio, quelli del personale addetto alle pulizie. È ormai evidente che saranno i salariati le prime “vittime” delle difficoltà economiche conseguenti all’epidemia di coronavirus.
Le aziende, a loro volta, faranno il necessari per vedersi garantiti i propri profitti dall’intervento statale. In Svizzera sono già in aumento le richieste di misure di sostegno statali da parte di imprese e associazioni. Anche la consigliera nazionale PS di Zurigo, Jacqueline Badran, propone di sostenere con fondi federali le aziende che operano nel settore turistico o culturale che subiranno delle perdite. Hotelleriesuisse-Zurich sta già attirando l’attenzione dei suoi membri sulla possibilità di utilizzare il lavoro ridotto. Sarà questo, verosimilmente, lo strumento più utilizzato nella prima fase di una crisi economica. Tuttavia essa può essere utilizzata solo per i lavoratori attivi presso un’azienda a tempo indeterminato. E poiché oggi molti lavoratori dipendenti hanno un contratto di lavoro a tempo determinato (cioè non è necessario un preavviso di licenziamento), il lavoro a orario ridotto lascerà un numero considerevole di lavoratori senza alcuna retribuzione.
Questo spostamento dei costi sui salariati deve a sua volta essere visto sullo sfondo di decenni di attacchi alle magre conquiste del movimento operaio e dall’esclusione sistematica e della degradazione delle condizioni finanziarie dei salariati colpiti dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla malattia.
La pandemia e il razzismo
Infine non possiamo non condannare con grande forza la connotazione razzista con cui è stata contrastata la malattia, scoppiata nella sua prima fase in Cina. La propaganda razzista e gli attacchi psicologici e fisici nel contesto della pandemia di coronavirus hanno dimostrato, ancora una volta, come molti anni di propaganda della destra abbiano lasciato il segno nella società, erodendo i più elementari principi di solidarietà.
Inoltre, il virus colpirà quasi certamente le persone in modo ineguale su scala globale. Il tasso relativamente alto di ricoveri ospedalieri, compresi quelli in terapia intensiva, rende evidente che il virus corona avrà conseguenze devastanti, soprattutto nei Paesi e nelle regioni “strutturalmente deboli”, dove lo stato di salute della popolazione e, soprattutto, del sistema sanitario stesso è peggiore. Gli attivisti che vivono nei paesi più ricchi devono essere tanto più determinati a mostrare solidarietà e a lottare per garantire che gli aiuti medici di ogni tipo (attrezzature, medicinali e vaccini futuri) siano messi a disposizione di tutte le persone in modo gratuito ed efficiente. La questione se l’assistenza sanitaria, che dopotutto è il secondo settore dell’economia mondiale, debba rimanere un ambito di competenza dell’industria farmaceutica, o se debba prevalere il diritto all’assistenza medica per tutti, viene così sollevata ancora una volta in modo evidente.
L’attuale grave crisi sollevata dal coronavirus mostra ancora una volta quante risorse potrebbero essere mobilitate per combattere la fame, la guerra e le malattie. Dimostra ancora una volta che non sono le risorse e le basi materiali che mancano per fornire cure mediche di base e cibo sufficiente in tutto il mondo, ma semplicemente la volontà di farlo.
Alla fine, una pandemia si comporta secondo le proprie leggi e dinamiche, molto difficili da valutare. Questo è ciò che rende così difficile trovare una risposta e una risposta adeguata. Ma non dobbiamo essere irritati dal presunto “panico”, né dobbiamo riconoscere nel virus il non plus ultra di tutte le cose brutte. Dovremmo preoccuparci delle conseguenze delle malattie e affrontare le sfide che ne derivano. Allo stesso tempo non smetteremo di lottare contro l’attuale politica di asilo alle frontiere dell’UE, contro la violenza contro le donne, contro la povertà e l’ingiustizia e contro tutte le altre sofferenze del mondo.
*militante dell’MPS di Zurigo. L’articolo è stato messo in linea il 6 marzo 2020 sul sito in tedesco dell’MPS (sozialismus.ch). La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà.