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“We are not here to close spreads, there are other tools and other actors to deal with these issues” (trad. “Non siamo qui per chiudere gli spread, ci sono altri strumenti e altri attori per trattare quelle questioni”). Alle 15 e 10 del 12 marzo, quello che a tutti gli effetti è stato l’esordio di Christine Lagarde al vertice della Banca Centrale Europea non poteva essere peggiore, scatenando immediatamente un vero e proprio cataclisma finanziario, soprattutto a danno dell’Italia, con lo spread che si è innalzato oltre i 300 punti base.

Tutti hanno infuriato contro quello che facilmente è stato additato come l’opposto di ciò che, al contrario, fece il suo predecessore Mario Draghi, quando il 26 luglio del 2012 esclamò “Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough” (trad. “Nell’ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a fare qualsiasi cosa per preservare l’euro, e credetemi sarà abbastanza ”).

Chiaramente, la Banca Centrale Europea ha immediatamente compreso di averla fatta davvero grossa, tanto che successivamente si sono susseguite smentite e ripensamenti clamorosi, compreso un’editoriale della stessa Lagarde sul Financial Times del 20 marzo, dal titolo, stavolta inequivocabile, “The ECB will do everything necessary”. Non solo, ma giovedì 19 marzo la Banca Centrale Europea mutava completamente i suoi strumenti per fronteggiare la crisi innescata dallo shock della pandemia, rispetto a quanto aveva programmato il  giovedì precedente. Lo spread per l’Italia tornava ampiamente sotto i 200 punti base, e finalmente la situazione nei mercati finanziari si placava, almeno parzialmente. Tutto è bene quel che finisce bene, o almeno non finisce malissimo. Ma è davvero così che stanno le cose?

Lagarde: tutto fuorché una gaffe. La BCE e il suo statuto

Innanzitutto, non si è trattato affatto di una gaffe. La frase incriminata della Lagarde era stata precedentemente pronunciata da Isabel Schnabel, la membra tedesca nel Comitato Esecutivo della BCE, e soprattutto era stata fortemente sostenuta dai falchi presidenti delle banche centrali tedesca, austriaca e olandese. Non solo, il pacchetto decisamente inadeguato approvato giovedì 12 marzo era stato votato all’unanimità da tutti i membri, falchi e colombe della BCE. Si dirà allora che, dopo la posizione inizialmente prevalente dei falchi, di fronte al propagarsi dell’emergenza sanitaria in emergenza economica e finanziaria, ha finalmente prevalso la linea delle colombe. Tuttavia, da cosa dipendono questi contrasti? soprattutto, gli strumenti individuati dalle c.d. colombe della BCE sono davvero ciò che serve per fronteggiare la crisi?

Una premessa ulteriore è d’obbligo. Prima dello scoppio della pandemia, l’economia europea non se la passava affatto bene, e non solo per quanto riguarda l’Italia. Soprattutto, era ormai più che evidente il fallimento del c.d. quantitative easing, che Draghi aveva escogitato durante il suo mandato. Infatti, se è vero che era stata disinnescata la crisi dei debiti sovrani, scoppiata a partire dal luglio 2011, e comunque lungi dal divenire un cratere spento per sempre, è altresì vero che l’enorme quantitativo di liquidità immessa dalla BCE si era intrappolata nei bilanci delle banche, senza penetrare, se non minimamente, nell’economia reale. Del resto, tale risultato poteva sorprendere soltanto i liberisti e conservatori incalliti, ma non certamente chi si dota del semplice buon senso.

Come oramai ampiamente noto, lo statuto della BCE e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, partorito a Maastricht, escludono l’acquisto di titoli pubblici da parte della BCE sul mercato primario ovvero direttamente nelle aste del Tesoro; conseguentemente, a differenza di quanto accade negli altri stati, il quantitative easing europeo funziona per il tramite delle banche specialiste che acquistano i titoli sovrani in asta, per poi rivendere alla BCE sul mercato secondario, col risultato di ostacolare, per mezzo di questa insensata intermediazione, la riduzione del costo del debito, ovvero di inasprire inutilmente le condizioni di finanziamento. Purtroppo, continuiamo a perseverare negli errori, a partire dal giorno funesto del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981, la vera causa dell’impennata del debito pubblico –ovvero di quell’effetto palla di neve per cui se il costo del debito supera la crescita del PIL nominale il debito pubblico non si arresta, a meno di stravaganti e micidiali politiche di austerità basate sul cumulo di avanzi primari, ossia di entrate pubbliche superiori alle spese pubbliche al netto degli interessi; non a caso quello che le istituzioni europee continuano a professare con cinismo e apparente irrazionalità ai paesi membri indebitati-.

Ancora più grave dal punto di vista economico, c’è il fatto che al quantitative easing della BCE non era affatto associata una combinata politica fiscale espansiva; in altre parole, non v’era alcuna emissione speciale di titoli pubblici per implementare finalmente una spesa pubblica in deficit attraverso il finanziamento monetario. Il risultato è stato quello di ridurre comunque i tassi d’interesse, ma senza alcun effetto positivo sull’economia reale. Addirittura, i titoli pubblici hanno cominciato persino a scarseggiare sul mercato secondario. L’unico impatto sull’economia è stato quello della deflazione prima e della bassa inflazione poi, pari a poco più dell’1% nel 2019. Paradossalmente, l’eccellente Mario Draghi verrà ricordato come l’unico presidente della BCE a non rispettare persino l’unico obiettivo che aveva: l’inflazione vicina al 2%. Insomma, era davvero molto difficile fare peggio. Il mantra liberista era già fallito, ben prima dello scoppio del nuovo coronavirus.

La reale natura dell’Unione Europea

Il vangelo dell’ordoliberalismo tedesco, alla base dell’impalcatura di Maastricht prima e Lisbona poi, prevede che allo stato sia affidato il solo compito minimo di arbitro di un mercato fortemente competitivo, come recitato esplicitamente nel Trattato, per mezzo della garanzia della disciplina di bilancio, della stabilità monetaria e dei prezzi, nonché della tutela della proprietà privata capitalista, della concorrenza e della libera circolazione delle merci, del capitale e della forza lavoro, della repulsione nei confronti degli aiuti di stato e delle imprese pubbliche.

Di fronte a una simile visione fondamentalista, non spetta certo alla politica monetaria affrontare il problema della disoccupazione, della scarsa produttività e della bassa crescita economica; men che meno risolvere le questioni della disuguaglianza dei redditi e della ricchezza, della deflazione salariale e del sostegno alla spesa pubblica; figuriamoci fronteggiare uno shock avverso come quello del Covid-19, considerato da lorsignori di natura temporanea. Ecco, allora, che la presunta gaffe di Madame Lagarde era scolpita nelle tavole di Mosè del liberismo europeista.

Tutto ciò che è reale è razionale, persino il liberismo europeista e imperialista; ovviamente è razionale per i padroni capitalisti e gli stati dominanti e creditori, non certo per la classe lavoratrice e gli stati dominati e indebitati. Si scopre allora che la costruzione dell’Unione monetaria rispecchia perfettamente la garanzia per il capitale monetario di non vedere svalutati i propri crediti e assistere all’evaporazione del proprio plusvalore; l’inflazione, la svalutazione dell’euro, la crescita della spesa pubblica, il salvataggio dei paesi membri indebitati, l’azzardo morale del mancato pagamento del debito, rappresentano il pericolo maggiore per la borghesia imperialista creditrice.

Si scopre, in definitiva, che l’Unione europea, lungi dal costituirsi come Stato federale e di presunta coesione sociale, sia in realtà poco più di una confederazione di stati imperialisti, in perenne e aspro conflitto tra loro, in cui la legge dell’austerità viene imposta senza scrupolo dagli stati membri creditori agli stati membri indebitati. Altro che assicurare la pace e la sicurezza tra le nazioni, qui siamo dentro il peggiore girone infernale dell’imperialismo, come purtroppo la crisi greca ci ha violentemente mostrato.

Eppure, questa ideologia ordoliberale cominciava a scricchiolare non poco, già prima della crisi del Covid-19. Le contraddizioni dell’economia capitalista sono tali da far continuamente emergere l’irrazionale razionalità della borghesia predatrice. La razionale volontà di frenare l’espansione e la condivisione fiscale, per scongiurare l’azzardo morale degli stati maiali, si ripercuote dialetticamente e inevitabilmente in una crisi economica dell’intera unione monetaria, sempre più incapace di competere con le altre aree imperialiste del globo; la relazione dialettica tra gli stati membri è difatti troppo forte per poter essere negata dall’oscurantismo liberista dell’austerità.

Soprattutto, la crisi economica innescata dal fallimento dell’ostentato feticismo ordoliberale ha fatto venir meno persino il fenomeno dello sgocciolamento della ricchezza e della crescita economica per i più poveri, tanto da alimentare il fenomeno diffuso del populismo sovranista, ossia della rivincita dello stato-nazione desideroso di rimpiazzare con una nuova elemosina paternalista di stato la precedente elemosina liberista del mercato. Ciò nonostante, agli occhi dei capitalisti creditori, il rischio vero del populismo sovranista è soprattutto quello dello scontro definitivo con una parte dei capitalisti indebitati, come l’accesa discussione attorno alla riforma del Fondo salva-stati aveva lasciato intravvedere. Insomma, lo scontro imperialista in Europa era già a livelli elevati e una revisione della religione ordoliberista era sul menù della governance borghese europea, ma con risultati niente affatto scontati.

Così l’outbreak del nuovo coronavirus non ha fatto altro che far precipitare furiosamente gli eventi. Inizialmente, gli stati creditori hanno imposto la loro linea funesta: nessun interventismo della politica monetaria; incremento parziale e moderato del quantitative easing di vecchia maniera, circa 15 miliardi in più al mese, rispetto agli attuali 20 miliardi; espansione del meccanismo dei c.d. “TLTRO”, ossia delle aste straordinarie finalizzate a fare in modo che le banche aumentino i prestiti alle piccole e medie imprese. Insomma, quanto di più inutile, inadeguato e, talvolta, persino dannoso si potesse escogitare.

La discussione si accende nelle classi dominanti

Stavolta, però, l’emergenza non ha fatto sconti e il danno è arrivato subito in modo clamoroso. Certe volte la dialettica delle relazioni economiche procede in modo davvero spedito! A quel punto, le colombe, rappresentanti degli stati indebitati, si sono prese la loro rivincita ed è stato totalmente rivisto il programma di intervento della BCE: il nuovo quantitative easing sarà costituito dal c.d. PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), di entità pari a 750 miliardi di euro, che si affianca al residuale quantitative easing del c.d. APP (Asset Purchase Programme), di circa 230 miliardi e incrementato la settimana prima di ulteriori 120 miliardi di euro. In tutto, il nuovo piano prevede di poter sbloccare circa 1100 miliardi di euro. Ma quanto è nuovo questo nuovo quantitative easing? soprattutto, risulterà davvero efficace di fronte allo shock del nuovo coronavirus?

La novità positiva è certamente rappresentata dalla c.d. “general escape clause”, con la quale è stata per la prima volta sospesa l’applicazione del Patto di stabilità e crescita. Ciò consentirà di incrementare il deficit pubblico in funzione anticiclica, come non era avvenuto in passato. Tuttavia, il diavolo si nasconde nei dettagli.

Innanzitutto, il meccanismo continua a essere quello basato sull’intermediazione delle banche specialiste, in luogo dell’acquisto diretto sul mercato primario. Non è stata, in altre parole, presa neanche in considerazione, l’idea di una legge d’emergenza in grado di derogare dallo statuto della BCE, rimuovendo la c.d. no bail-out clause, e quindi il divorzio o l’indipendenza tra la banca centrale e il tesoro degli stati membri; davvero irresponsabile proseguire testardamente a prestare liquidità alle banche, anziché direttamente agli stati membri, soprattutto di fronte a uno shock che non ha colpito in modo particolare il settore bancario. L’idiozia liberista è davvero sconfinata!

Soprattutto, ancora non è chiaro che tipo di titoli sovrani verranno effettivamente acquistati sul mercato secondario nell’ambito del PEPP: i titoli sovrani dei singoli stati membri; titoli emessi dalla Banca europea degli investimenti; titoli emessi dal Fondo salva-stati; nuovi titoli pubblici europei di tipo emergenziale soprannominati “Covidbond”. Chiaramente, l’emissione di titoli pubblici europei, come i c.d. Eurobond o i Covidbond, implica una condivisione dei rischi e una riduzione della spesa degli interessi per i paesi più indebitati, ma anche un aumento del costo per i paesi meno indebitati.

Questa è la ragione per cui gli Eurobond sono stati sinora osteggiati dagli stati membri del Nord; al contrario, questi preferirebbero il finanziamento dei singoli titoli pubblici sovrani nell’ambito del programma OMT (Outright Monetary Transactions), ideato da Draghi con il celebre discorso tanto decantato in Europa del c.d. whatever it takes. Gli OMT sono, infatti, la consacrazione formale di quella famosa lettera che Draghi e Trichet inviarono all’Italia nell’agosto del 2011: acquisto di titoli pubblici in cambio di austerità fiscale. Lorsignori si mostrarono paradossalmente contrari all’indipendenza delle banche centrali, ma non nel senso che credete, ma nel senso che il potere legislativo ed esecutivo devono essere subordinati al potere monetario. Benvenuti nella democrazia di stampo borghese!

Infatti, per usufruire del programma OMT occorre richiedere l’accesso alla linea di credito rafforzata del Fondo salva-stati, previa, tuttavia, la sottoscrizione, per i paesi membri con debito pubblico non sostenibile, di un Memorandum in grado di programmare un piano di rientro dal debito pubblico, attraverso politiche di austerità, di cospicui avanzi primari, di riduzione della spesa pubblica e di privatizzazioni; uno stigma del tipo di quello imposto alla Grecia, da implementare immediatamente dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Insomma, non un bell’orizzonte per un paese come l’Italia. In fondo, Mister Draghi non fu poi così tanto un salvatore della patria!

Ma il vero nodo centrale è un altro ancora. Così com’è anche il presunto nuovo quantitative easing rischia di non funzionare ancora una volta, nel senso di non garantire i meccanismi di trasmissione della politica monetaria all’economia reale e, in ultima analisi, non favorire l’efficacia delle misure anticicliche. Per questo, il dibattito a livello accademico borghese si è concentrato sulla necessità di rimpiazzare i programmi di QE, quantitative easing, con quelli di HM, helicopter money.

Helicopter Money: una pericolosa illusione

La moneta dall’elicottero è una vecchia idea del guru monetarista Milton Friedman che, di fronte a shock avversi di natura transitoria e pervasiva, prevedeva di stampare moneta e accreditarla direttamente nei conti delle famiglie e delle imprese, appunto come se si gettasse moneta dall’elicottero. Ovviamente, tale programma doveva essere di natura temporanea, per scongiurare tensioni inflazionistiche. Già prima della crisi, illustri economisti, compresa la più grande società d’investimento al mondo, Blackrock, auspicavano il passaggio per l’Eurozona dal QE all’HM. Oggi, di fronte all’emergenza sanitaria e economica, gli Stati Uniti hanno proposto un programma del tipo della moneta dall’elicottero. Davvero e, in che misura, questo programma potrebbe concretamente funzionare?

Nell’ambito della scuola monetarista, la moneta dall’elicottero si rende necessaria solo di fronte a shock economici di tipo transitorio e con carattere generale; altrimenti, l’effetto è solo quello di aumentare l’inflazione, senza alcun effetto sull’economia reale. Probabilmente, è quello a cui stanno pensando gli Stati Uniti, per ripristinare il prima possibile la profittabilità delle imprese e le condizioni per la ripresa dell’accumulazione capitalistica. Nell’ambito della scuola keynesiana, aldilà delle varie suddivisioni ideologiche, la combinazione dell’espansione monetaria e fiscale è auspicata per raggiungere la piena occupazione, che il sistema capitalistico da solo non garantisce, per via di una domanda inefficace senza la regolazione e l’intervento straordinario della spesa pubblica di ultima istanza.

Generale o particolare che sia, le due scuole auspicherebbero in questo momento un intervento diretto della politica monetaria sui bilanci delle famiglie, anziché degli intermediari bancari e finanziari. Insomma, esattamente quello che ancora l’Unione monetaria si ostina a non fare. Ancora nel comunicato stampa di giovedì scorso, il comitato esecutivo della BCE si preoccupava di assicurare ottime condizioni di finanziamento da parte delle banche, piuttosto che arrendersi per una buona volta alla necessità di elargire denaro gratis alle famiglie.

Ebbene, anche ammesso che le istituzioni europee vengano folgorate dal Nobel Prize Friedman, da Lord Keynes o, addirittura, dai geni incompresi della MMT, e si convertano sulla via di Francoforte, non è affatto detto che la moneta dall’elicottero abbia effetti positivi per la classe lavoratrice; anzi è sicuro il contrario. Sebbene la crisi attuale sia senza dubbio stata innescata da uno shock avverso e, forse, imprevedibile, abbiamo mostrato come essa si sovrapponga a una crisi strutturale dell’economia capitalista. Ciò rende la risposta monetarista, temporanea e minimale, assolutamente irrisoria e velleitaria di per sé. L’impostazione keynesiana mostra la necessità dell’intervento per far fronte alla crisi, ma, rimuovendo l’origine principale di essa. è incapace di porvi rimedio in modo pienamente efficace per la classe lavoratrice.

Una soluzione ecosocialista per uscire dalla crisi 

La crisi strutturale, nonché la c.d. stagnazione secolare della profittabilità, è il frutto della contraddizione capitalistica tra la produzione e la realizzazione di valore, tra la crescita illimitata della capacità produttiva e il carattere limitato e antagonistico della capacità di consumo della classe lavoratrice. Di fronte a ciò era già evidente che si rendeva necessaria una espansione monetaria e fiscale per compensare l’insufficienza della domanda; figuriamoci adesso dopo questo shock terribile.

Ma il denaro non si crea dal nulla; esso, piuttosto, rappresenta il valore, ossia, nell’ambito della produzione capitalista, lo sfruttamento della forza lavoro attraverso l’estorsione di pluslavoro. Non esiste denaro senza valore, come, al contrario vorrebbe far credere l’utopia cartalista dei moderni proudhoniani della MMT. Nel modo di produzione capitalista, il denaro è sempre e comunque la rappresentazione dell’accumulazione del valore, ossia del profitto. Senza il ripristino delle condizioni di profittabilità e di accumulazione, qualsivoglia espansione monetaria e fiscale rischia di risultare, in un’economia capitalista, totalmente inefficace: o attraverso la spinta inflazionistica, o attraverso l’aumento del deficit estero, o attraverso nuove ondate di ristrutturazioni e licenziamenti.

Pertanto, ogni programma di espansione combinata di tipo monetario e fiscale, implementato dalla borghesia dominante, sarà sempre accompagnato da misure di sostegno alla profittabilità delle imprese; ogni concessione alla classe lavoratrice sarà sempre parziale e transitoria. Non possiamo aspettarci nulla di positivo. La moneta dall’elicottero sarebbe sempre e comunque solo un modo per uscire, parzialmente e capitalisticamente, dalla crisi, che è stata soltanto esacerbata dallo shock della pandemia, ma che precedentemente giaceva neanche troppo silenziosa, in attesa di scoppiare con violenza.

Affinché l’espansione monetaria e fiscale possa, invece, risultare pienamente efficace e, soprattutto, a favore della classe lavoratrice, occorre che la moneta non sia gettata dall’elicottero, ma sia piuttosto mirata in modo preciso e inequivocabile nella direzione della giustizia sociale, della classe lavoratrice, della riconversione ecosocialista del modo di produzione. Solo creando valore, è possibile creare denaro; ma, per vincere la lotta di classe, occorre creare valore e denaro in una forma non capitalistica.

Per ottenere questo risultato occorre una duplice direzione della politica economica: da un lato, la proprietà pubblica delle banche e delle imprese strategiche, transnazionali e multinazionali, soprattutto quelle farmaceutiche, in grado di moltiplicare l’espansione monetaria attraverso massivi investimenti pubblici; occorre, dialetticamente, una totale riconversione in senso ecosocialista della produzione in modo da superare la crisi, immediatamente sul piano sanitario, ma soprattutto, e in una prospettiva di brevissimo periodo, sia sul piano socio-economico sia sul piano ambientale ed energetico; dall’altro lato, è necessario difendere il lavoro e i salari, attraverso la garanzia di un salario sociale di quarantena per tutte e tutti, lavoratrici e lavoratori, comprese le forme di lavoro subordinato fittizio e mascherato dalle presunte partita IVA; è necessario il controllo dei prezzi e delle tariffe, nonché il ripristino della scala mobile a tutela del potere d’acquisto, contro le possibili forme di requisizione capitalistica, per mezzo delle fiammate inflazionistiche di classe in reazione all’espansione monetaria.

Occorre, in altre parole, la lotta di classe. Non è vero che siamo tutti uniti contro il nuovo corona virus; i padroni non si faranno scrupoli a utilizzare anche questa ulteriore crisi a loro vantaggio. Occorre fermarli subito, attraverso la riconversione del modo di produzione in senso ecosocialista e attraverso la redistribuzione dai profitti ai salari. Contro il nuovo coronavirus, non basta la creazione di moneta, se poi si rimane nel disastro creato dal modo di produzione capitalista dominato dalla violenta legge del profitto; occorre una società diversa, più libera e più eguale, più sociale e più ecologica, con più spesa pubblica sanitaria e farmaceutica, più medici pubblici, più infermiere e infermieri, più operatrici e operatori sanitari, più ospedali e più posti letto!!!

* articolo apparso sul sito dei nostri compagni di Sinistra Anticapitalista

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