Le decisioni di sabato del governo e le successive lettere e regolamentazioni inviate alle aziende e ai commerci non hanno assolutamente risolto il problema di fondo: e cioè il fatto che molte attività produttive, soprattutto nel settore privato, rischiano di rimanere aperte e quindi di essere potenzialmente strumento di diffusione del virus: un pericolo per chi vi lavora, ma anche di conseguenza per tutti gli altri.
Certo, tutti capiscono che vi sono attività oggi importanti nell’attuale contesto: da quelle di tipo sanitario a quelle che devono garantire gli approvvigionamenti (dai commerci di alimentari alla erogazione di acqua, elettricità, combustibile, etc.); ma tutti capiscono altrettanto che vi sono settori interi che, nell’attuale contesto, non svolgono alcuna attività urgente e necessaria né dal punto di vista produttivo, né da quello sociale.
Basti pensare, ad esempio, a tutto il settore dell’edilizia o a settori industriali che lavorano per l’esportazione e che non producono per esigenze sociali urgenti (il settore dell’industria delle macchine, quello informatico, della moda, degli orologi, etc.). Si tratta di settori che occupano decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Ora le circolari inviate alle aziende a realizzazione degli annunci fatti dal governo, lasciano di fatto ampio margine alle aziende private, per quel che riguarda modi, forme e tempi della continuazione delle attività produttive, anche in questi settori dove appare evidente, come abbiamo detto, che non vi è la necessità di una continuità produttiva.
Invitiamo quindi nuovamente il governo ad approfondire ed estendere le misure di divieto delle attività produttive anche ai settori che abbiamo indicato e ad altri settori.
In questa fase la priorità deve essere la salute pubblica.