Da qualche giorno l’MPS pubblica ogni giorno un piccolo bollettino nel quale fa un lavoro di informazione e di contro-informazione legata alla nostra realtà cantonale. Contiene il nostro punto di vista e alcune proposte su come intensificare la lotta al contagio, così come la segnalazione di situazioni in contrasto con quanto viene ufficialmente proclamato e consigliato. Pubblichiamo qui di seguito quello di oggi 18 marzo.
E necessario cambiare marcia!
Bene. Le elezioni (saggiamente) sono state rinviate.
Ma ci pare che le decisioni da intraprendere, molto più importanti, siano altre. È sono talmente evidenti, anche sulla base di quanto dicono tutti gli esperti, che siamo basiti di fronte alle esitazioni del potere politico.
È evidente come sia necessario, e con urgenza, passare ad uno stadio superiore delle misure di contenimento. Bisogna assolutamente che tutte le attività produttive siano chiuse. E che in piedi restino veramente solo quelle necessarie. Anche l’apertura dei negozi di prima necessità deve essere fortemente controllata per quel che riguarda le misure di protezione igienica e di distanza sociale. Cosa che non avviene ancora oggi in modo adeguato.
Il governo cantonale deve assolutamente prendere questa decisione!
I nostri piccoli Macron
In Francia il presidente Macron è sotto accusa: diversi alti responsabili, tra i quali la ministra della sanità, lo avevano invitata fin da metà gennaio ad assumere interventi contro il virus: avvertimenti che Macron avrebbe ignorato.
Ma anche in Ticino abbiamo in nostri piccoli Macron. I documenti pubblicati da Il Caffè dimostrano senza ombra di dubbio che aver permesso lo svolgimento del Carnevale di Bellinzona (con tanto di corteo al quale hanno partecipato oltre 25 persone ammassate a 20 cm di distanza una dall’altra) e quelli di Lugano e Chiasso è stato un atto di irresponsabilità politica e sanitaria. Non è il caso di fare nomi: ma tutti possono andare con il pensiero a sindaci, municipali irresponsabilmente fieri di poter aprire il Carnevale, contenti di sottolineare le migliaia di persone che partecipavano alle risottate gomito a gomito (i 4’000 di piazza Riforma), etc. etc. Eppure, è chiaro, sapevano quelle che queste manifestazioni avrebbero avuto come conseguenza: accelerare l’espansione del virus. Ma come potevano rinunciare ai loro carnevali cittadini proprio in un anno di elezioni comunali?
Regazzi e la sua banda di industriali persistono
Nei giorni scorsi vi abbiamo segnalato l’atteggiamento spudorato del capo degli industriali ticinesi Regazzi che continua imperterrito a inviare i suoi operai e i suoi furgoni sui cantieri, per altro abbandonati – perlomeno nel Sottoceneri – da quasi tutte le aziende.
Non contento il capo degli industriali (presidente AITI e consigliere nazionale PPD, oltre che capo dell’USAM – Unione svizzera arti e mestieri) e il suo amico segretario dell’AITI Modenini hanno chiesto al governo, a nome della loro associazione, di poter lavorare anche durante il ponte di quattro giorni festivi decretato dal governo cantonale. Così gli industriali ticinesi si oppongono alla prima misura veramente efficace (tutto chiuso, anche la produzione non socialmente necessaria e d’urgenza) decretata, seppur per pochi giorni, dal governo cantonale. Bravo Regazzi!
E a livello federale si continua imperterriti nella vecchia linea
Presentata come la grande svolta, le decisioni del Consiglio federale di lunedì rappresentano in realtà un passo ancora ampiamente insufficiente. Chiudere negozi – tranne gli alimentari- ristoranti, bar, parrucchieri, scuole, etc. (come si è fatto in Ticino già da diversi giorni) è ancora un atto non sufficiente: infatti tutta la produzione resta attiva, dai cantieri alle fabbriche, milioni di persone che ogni giorno entrano in contatto ravvicinato in ambienti dove lavorano in migliaia (in Svizzera tedesca vi sono ancora impianti produttivi con migliaia di persone occupate nel stesso sito produttivo).
Il governo federale sembra non aver appreso – o non voler apprendere – la dinamica del contagio: o forse, semplicemente, non vuole rimettere in discussione quel sacro totem del capitalismo svizzero: la produzione, il lavoro, deve continuare, fino alla morte se necessario.