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Non è una novità che gli Stati approfittino delle occasioni di emergenza per adottare misure securitarie. Fu il caso della Svizzera, la cui Bundespolizei, a partire dai caldi anni sessanta e settanta fino a tutti gli anni ottanta, collezionò più di 900’000 dossier di schedatura di cittadine e cittadini svizzeri, organizzazioni, studi legali e gruppi politici, prevalentemente di sinistra. Per inciso, al dossieraggio non sfuggirono neanche numerose persone dell’Europa dell’est (facenti parte del blocco sovietico), con buona pace della tanto decantata neutralità.

È stato il caso della Legge federale sulle attività informative (LAIn) entrata in vigore nel 2017, a loro dire per contrastare il terrorismo (islamico). Dopo tutte le rassicurazioni a chi vi si opponeva per proteggere i diritti fondamentali, abbiamo però scoperto che il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) ha ricominciato a schedare, con un occhio di riguardo – neanche a dirlo – a sinistra.

È di mercoledì la notizia che il governo ha coinvolto Swisscom per far rispettare la misura che vieta l’assembramento di più di 5 persone negli spazi pubblici, emanata per contenere il contagio da coronavirus. Tramite le carte SIM Swisscom rileverà i raduni e li comunicherà all’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP). Hanno assicurato che i dati saranno anonimizzati e verranno trasmessi con un ritardo di 24 ore. Solo poche persone dell’UFSP vi avranno accesso e non potranno essere utilizzati per altri scopi.

Scopo lodevole in questa incerta e drammatica emergenza, potrebbe pensare in buona fede il classico uomo della strada. Ottima occasione, potrebbe ragionare, in cattiva fede, il think tank del potere, per fare un’utile prova di Grande fratello su larga scala in uno scenario reale. Da affinare poi per scopi securitari di altro tipo. Possiamo fidarci? L’esperienza ce lo sconsiglia