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I padroni pronti a farci barba e capelli

Proprio ieri, mentre alcune associazioni di artigiani in Ticino annunciavano che per loro è di fatto impossibile lavorare rispettano le norme di igiene e di distanza sociale (viva la sincerità!), la loro potente associazione mantello nazionale, la reazionaria Unione Svizzera delle Arti e Mestieri (USAM), presentava un insieme di documenti che, per ognuno dei diversi settori artigianali, riassume le condizioni per una ripresa del lavoro, ritenuta a questo punto necessaria.

Per ogni settore (dai pasticcieri ai parrucchieri, dai panettieri al commercio di mobili, dal commercio al dettaglio ai saloni di estetica, etc.) l’USAM ha elaborato un concetto, definito “Smart restart”, nel quale vengono indicati ragioni, modalità e obiettivi della ripresa del lavoro.

Naturalmente per tutti i settori si sprecano i richiami alla necessità di rispettare le norme di sicurezza, di mettere a disposizione il materiale necessario per la protezione dei lavoratori e dei clienti; ma forte è la convinzione che sia possibile riprendere il lavoro e garantire queste condizioni di sicurezza.

Incuriositi da tanta sicurezza abbiamo voluto soffermarci su uno di questi documenti settoriali, quello dedicato ai saloni di parrucchiere.

La prima cosa che colpisce è la giustificazione della necessità di riaprire i saloni di parrucchiere. Si spiega che, Google Analytics, ha rilevato in questi ultimi giorni come si è potuto constatare come le parole ed espressioni “acconciatura, tagliare di capelli, taglio di capelli siano state catapultate nella top 10 del motore di ricerca di Google”; questo confermerebbe “l’urgenza di una riapertura dei saloni di parrucchiere”. Ai responsabili dell’USAM non passa per la testa, nemmeno per un attimo, che la frequente ripetizione di queste parole possa essere collegata al fatto che i saloni di parrucchiere (e quindi le attività in esso esercitate) compaiano e vengano presi sistematicamente come esempi di attività di prossimità, se così possiamo dire, che sono state chiuse proprio a causa della diffusione del virus. Siamo sicuri che un’analisi di termini come “aperitivo”, “cena”, “pranzo” darebbero gli stessi risultati dato che i ristoranti e i bar rientrano nella stessa categoria.

Ma non tutti avranno diritto a barba e capelli. Perché, ed è una delle prime cose che si mette in evidenza, vi sono dei gruppi di persone che “non dovranno essere serviti”. Infatti, scrive l’USAM nelle sue indicazioni ai responsabili dei saloni, “I gruppi a rischio, le persone anziane (<65 anni) e tutte le persone con patologie preesistenti o con un sistema immunitario indebolito dovrebbero essere esclusi per quanto possibile”. Più chiaro di così non potrebbe essere: dopo la esclusione dalla spesa, ecco che i poveri anziani e malati non potranno andare a farsi tagliare i capelli o la barba.

Ma, particolare interessante, come si potranno individuare i gruppi a rischio ai quali negare le prestazioni? Semplice: “Il controllo di sicurezza è a carico dei proprietari del salone. In caso di emergenza il salone può rifiutare un cliente appartenente a gruppi a rischio”. E così i parrucchieri dovranno trasformarsi in medici e procedere ad una vera e propria anamnesi del cliente per sapere, oltre alla sua età (guai ai clienti che dovessero presentarsi dal parrucchiere il giorno del loro 65° compleanno!), quali siano le malattie di cui soffre, la loro gravità, e valutare i rischi connessi. Demenziale! Non ci pare di poter commentare altrimenti.

Vengono poi indicate tutte una serie di misure e di strumenti (guanti, mascherine, occhiali di protezione, disinfettante, etc.) che dovrebbero garantire il lavoro in condizioni ideali di sicurezza e igiene. A proposito degli strumenti di protezione viene indicata la necessità che la mascherina venga portata sia dal parrucchiere che dal cliente: non vi sono tuttavia indicazioni concrete su come si risolva il problema qualora, come spesso capita, il cliente si presenti per farsi fare la barba. Come si procede: con mascherina o senza?

Infine, ed è il nodo centrale e la dimostrazione dell’assurdità di tutto l’esercizio, vengono indicati gli atteggiamenti da tenere da parte del parrucchiere mentre procede al suo lavoro. E la prima di queste raccomandazioni (e non poteva essere che così, visto quanto si va dicendo da ormai quasi due mesi in tutto il mondo) è di “mantenere le distanze”.  Ora, tutti possono capire, anche coloro che parrucchieri non sono, come sia assai difficile, per non dire impossibile, fare la barba o tagliare i capelli a qualcuno “mantenendo le distanze”?

Siamo sicuri che Fabio Regazzi, che come noto è il prossimo presidente designato dell’USAM, risponderebbe con grande facilità a questa nostra domanda.

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La città di Bellinzona e le vacanze forzate del personale: ovvero quando le giustificazioni sono ancor peggiori delle decisioni prese!

Alcuni giorni fa avevamo denunciato il fatto che il Municipio di Bellinzona abbia scippato ai propri dipendenti quasi una settimana di vacanza calcolando come tali i giorni successivi al lunedì di Pasqua durante l’amministrazione comunale (tranne i servizi essenziali e come altre amministrazioni comunali) sarebbe rimasta chiusa a causa del Coronavirus.

Si tratta di una decisione illegale: su questo non vi sono dubbi. Leggi e giurisprudenza lo confermano (e un Municipio nel quale vi sono diversi giuristi, a cominciare dal sindaco Branda al quale il sindacato amico VPOD gira parecchi mandati, queste cose dovrebbe saperle!); e lo conferma (lo abbiamo citato nella nostra interpellanza al Municipio) addirittura la Segretaria di Stato all’economia (SECO) che affronta proprio la questione nelle sue ultime direttive legate ai problemi posti dal Coronavirus.

Messo alle strette e non sapendo cosa rispondere a giustificazione di questa pratica illegale (che purtroppo la pandemia ha visto diffondersi nel settore privato), il Municipio di Bellinzona ha tentato una giustificazione “politica”, affidata alle parole del sindaco Branda. Parole riprese e ampliate, come ormai è consuetudine, dai leccapiedi di regime.

Diciamo subito che le argomentazioni del sindaco sono ancora peggiori della decisione presa. Infatti, palesando tutti i suoi limiti intellettuali, egli non ha trovato di meglio che riproporre la solita argomentazione, di estrazione liberal-leghista, per cui i dipendenti comunali (e per esteso, immaginiamo, tutti i dipendenti pubblici) sarebbero dei privilegiati poiché, ad esempio in questa fase nella quale sono a casa, ricevono il salario pieno e non l’80% come nel settore privato. Questo giustificherebbe, ai suoi occhi, la richiesta del sacrificio di una settimana di vacanza.

Naturalmente al sindaco “socialista” di Bellinzona non passa nemmeno per la mente che quella che lui ritiene una condizione di “privilegio” dovrebbe, soprattutto agli occhi di un socialista, essere una condizione normale: una società civile vorrebbe che un salariato che non può lavorare (perché malato, infortunato, disoccupato o perché vi è il coronavirus) che potesse sempre ricevere (sia nel pubblico che nel privato) il salario pieno, con il quale, spesso, già fa fatica a vivere.

Siamo di fronte ad un ragionamento tipico degli ambienti populisti e leghisti, fondato su quella che potremmo definire una sorta di “invida sociale” contrabbandata per giustizia sociale; l’idea cioè che peggiorando le condizioni di chi sta un po’ meglio si potrebbero migliorare le condizioni di chi sta peggio. Il che, come noto, non corrisponde alla realtà. La giustizia sociale, quella vera, segue un’altra via: migliorare, verso l’alto, le condizioni di tutti e tutte.

Ed è per questa ragione che rivendichiamo, anche per il privato e per tutti quelli che, ad esempio, sono nella condizione di lavoro ridotto, la compensazione integrale del salario.

Il sindaco Branda ha poi aggiunto altre considerazioni, peggiorando ancora la situazione. In particolare sostenendo che condizioni di lavoro e di salario di cui godrebbero i dipendenti della città di Bellinzona sarebbero “ottime”.

Chi ha seguito negli ultimi due anni, anche distrattamente, le vicende della città di Bellinzona e dei suoi rapporti con il personale, capisce immediatamente quanto questa affermazioni sia un’autentica stupidaggine.

Il rinnovo del ROD (che fissa le condizioni per il personale) ha introdotto meccanismi di classificazione e di gestione del personale che hanno sistematicamente peggiorato le condizioni da questo punto di vista. Il malcontento tra il personale è assai diffuso.

E che dire poi del massacro subito in materia previdenziale con il passaggio alla nuova cassa pensione? Il personale ha subito pesanti decurtazioni sia a livello di rendite che di diritti (perdendo di fatto il diritto al pensionamento anticipato).

Tutte circostanze talmente note (hanno caratterizzato buona parte della legislatura e i giornali ne hanno parlato ampiamente) che non val nemmeno la pena di riprenderle in modo dettagliato.