Toh chi si rivede, i controlli nelle aziende!
Ormai, pur di ripartire con la produzione costi quel che costi, padronato e Cantone sono pronti a giurare che i controlli nelle aziende e sui cantieri si faranno; “anche a sorpresa!” ha aggiunto il responsabile della sezione dell’economia del DFE Rizzi. E viene quindi chiedersi normalmente che tipo di controlli si fanno: una domanda alla quale conosciamo già al risposta pensando alla prassi spesso seguita dall’Ispettorato del lavoro (e anche della SUVA), caratterizzata spesso da preventivi annunci. Ci riferiamo, evidentemente ai controlli relativi alle condizioni di lavoro (nei quali rientrano oggi quelli oggi tesi a verificare le misure di igiene e di distanziamento sociale): per quel che riguarda i controlli di polizia (verificare che tutti abbiano un permesso di lavoro: sono questi i controlli che si sono intensificati non solo in questo momento di pandemia, ma nell’ultimo anno) speriamo che questo non avvenga.
Il governo si è rivolto in questi giorni alla SUVA, chiedendogli di potenziare le forze a disposizione per questo lavoro di ispezione; richiesta più che legittima, in particolare se si pensa che oggi in Ticino vi sono solo due ispettori che verificano le condizioni di sicurezza sui cantieri (e le misure di igiene e distanziamento sociale riguardano la sicurezza). Una richiesta che rischia di rimanere lettera morta poiché la SUVA non ulteriori ispettori da mettere a disposizione. E i problemi non finiscono qui: ve ne sono anche di concreti legati all’applicazione delle direttive: basti pensare che gli ispettori, per ragioni legate al contagio, non possono rimanere in azienda più di 15 minuti…
Un’ulteriore conferma che riprendere il lavoro a condizione che siano rispettate le misure di sicurezza tende ad essere una specie di slogan, che mette a posto le coscienze e giustifica l’accettazione dell’”allentamento”, ma non ha alcuna incidenza sulla realtà concreta.
Ma il Cantone, come andiamo dicendo ormai da anni, non ha mai fatto i compiti e oggi, anche per colpa della politica condotta (e di fatto sostenuta dai partiti di governo) si trova in difficoltà dal punto di vista dell’ispezione del lavoro.
Oggi in molti, da diversi partiti, chiedono un potenziamento dell’ispettorato, in particolare per controllare che la ripresa del lavoro che si sta attuando avvenga nel rispetto delle misure di sicurezza. Ma sono gli stessi che hanno creduto e sostenuto la strategia del governo, quando questo si è opposto all’iniziativa popolare proposta tre anni fa dall’MPS ed hanno creduto alle balle del governo e alle promesse contenute nel controprogetto che ha permesso di sconfiggere (seppur di misura) l’iniziativa dell’MPS.
Da allora il potenziamento dell’ispettorato si è realizzato con contagocce, ampiamente al di sotto delle promesse del controprogetto, ampiamente al di sotto delle necessità oggettive. Ed oggi fa un po’ specie che i sostenitori di quella politica chiedano un potenziamento dell’ispettorato.
Infine, pur essendo evidentemente favorevoli a questo potenziamento, non possiamo che esprimere tutti i nostri dubbi sul fatto che un maggiore controllo delle condizioni di sicurezza sui cantieri e nelle fabbriche possa giustificare la ripresa produttiva così come si va delineando. Sappiamo che già in condizioni normali il rispetto delle norme di sicurezza e il controllo di questo rispetto sono aleatori. A meno che non possa essere esercitato direttamente di lavoratori (un diritto per il momento lontano dall’essere realizzato) che vivono quotidianamente, attimo per attimo, l’esperienza del lavoro, dei pericoli, di quelli che potrebbero essere gli accorgimenti per evitarli. E lo stesso ragionamento vale per le malattie professionali. Non a caso quando nei giorni scorsi abbiamo potuto segnalare violazioni delle condizioni di sicurezza e protezione (pensiamo a quanto abbiamo documentato sul cantiere del Ceneri, alle situazioni del personale sanitario, etc.) è stato grazie alle indicazioni provenienti direttamente dai lavoratori e dalle lavoratrici sul luogo di lavoro.
Sarebbe quindi importante che in ogni azienda o cantiere venisse delegato un lavoratore o una lavoratrice (scelto/a dai propri compagni di lavoro) che avesse il diritto di segnalare all’ispettorato le situazioni di mancato rispetto delle norme di sicurezza. Un ruolo che potesse beneficiare delle stesse protezioni (ad esempio contro licenziamenti) di cui beneficiano i membri delle commissioni aziendali.
E non ci si dica che non è possibile farlo: se migliaia di aziende hanno potuto ottenere in meno di mezz’ora prestiti fino a 500’000 franchi, non si vede come non sia possibile, per lo più in una situazione d’eccezione, decretare una simile possibilità. A meno che non si voglia disturbare il padronato.
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Liberateci da Franscella!
Una delle conseguenze sicuramente tra le più gravi del Coronavirus è il fatto che il Parlamento continuerà, ancora per un po’, ad essere presieduto da un personaggio come Claudio Franscella (non che quello che lo sostituirà sarà molto meglio…).
Nella conferenza stampa odierna, finalmente – dopo essere stato per settimane costretto a seguire le conferenze stampa del governo dai banchi dei deputati, confuso con qualche giornalista, ha avuto accesso al tavolo dei protagonisti e ha potuto rivolgersi direttamente al paese, a nome del Gran Consiglio.
Cominciamo dall’affermazione, più volte ribadita, che il Parlamento sostiene l’azione del governo nella lotta alla pandemia. Ma chi mai gliel’ha detto, visto che il Parlamento del coronavirus, delle misure assunte dal governo, del modo in cui lo stesso ha condotto questa lotta non ha mai discusso? Certo, Franscella ci dirà che nelle conferenze telefoniche tenute dall’Ufficio presidenziale (e al quale sono stati ammessi anche i rappresentanti dei partiti che non fanno gruppo in Gran Consiglio), è emerso un sostanziale appoggio all’azione del governo.
E non poteva essere che così, perché in quei consessi, antidemocratici perché non rappresentativi ma che svolgono le loro discussioni al riparo dagli occhi e dalle orecchie dei cittadini e delle cittadine che si interessano alle questioni politiche, i rappresentanti dei partiti trovano sempre una loro sostanziale “convergenza di casta”. Fermo poi a tornare a casa e a cercare di smarcarsi su una o l’altra questione appena sentono che il vento gira una direzione diversa da quella da loro sostenuta. La questione della ripresa delle attività produttive o quella della riapertura delle scuole ci ha riservato simili furberie e ce ne riserverà ancora.
Ma il presidente del Gran Consiglio ha superato sé stesso quando ha affermato che non è necessario che il Parlamento si riunisca perché non vi sarebbero temi importanti sui quali discutere. Voleva dire, immaginiamo, che non vi sono messaggi importanti pronti per essere sottoposti al vaglio del plenum. Ma, quel che è grave in questo suo ragionamento, è che a Franscella non passi nemmeno per la mente che il Parlamento potrebbe e dovrebbe discutere, e con urgenza, (visto che non lo ha ancora fatto) di uno degli eventi sanitari, economici e sociali più importanti perlomeno che stiamo vivendo da almeno settant’anni a questa parte.
Naturalmente dietro queste affermazioni si nasconde una precisa visione: che il Parlamento altro non sia che una semplice camera di registrazione delle proposte e delle decisioni del governo o degli accordi fatti sotto banco dai partiti maggiori. D’altronde è abbastanza logico, visto che la maggioranza del Parlamento è rappresentata in governo. Ed è una logica alla quale assistiamo da ormai diversi anni in molti paesi europei.
Una visione che mostra quale sia la “cultura democratica” della maggior parte dei parlamentari e dei partiti presenti in Gran Consiglio; e che esprimono alla loro testa e a rappresentarli i Franscella di turno.