Interrogazione (urgente) al Consiglio di Stato
Coronavirus: come sono andate le cose nella scuola?
In questi giorni la discussione è ormai focalizzata su una eventuale riapertura delle scuole. Il DECS insiste sulla necessità di questa apertura (a partire dall’11 maggio per le scuole dell’obbligo), focalizzando la propria attenzione essenzialmente su accorgimenti in aula tesi a garantire l’igiene e il distanziamento sociale (lezione a metà classe, etc.).
Non vogliamo qui entrare nel dibattito tuttora in corso, ma ci parrebbe utile (anche per favorire la discussione) avere qualche elemento di informazione maggiore relativo allo sviluppo dell’infezione nelle scuole (fin tanto che sono state aperte), ed in particolare tra gli insegnanti.
Sappiamo che alcuni dati dovrebbero essere stati raccolti nelle scuole: se così non fosse, raccoglierli sarebbe assai semplice.
Un eventuale ritorno a scuola pone, da questo punto di vista, parecchi problemi, in particolare qualora dovesse avvenire nel contesto di una ripresa della diffusione dell’epidemia, con problemi non solo di natura sanitaria, ma anche di ordine psicologico.
Pensiamo, ad esempio, a quelle situazioni che si sono verificate negli ultimi giorni che hanno preceduto la chiusura delle scuole: di fronte all’annuncio che un compagno di classe era stato possibilmente contagiato, si sono sviluppate reazioni di emarginazione, paura e comportamenti simili non certo edificanti in seno al resto della classe e delle famiglie. Con in più un atteggiamento di grande indecisioni da parte delle direzioni scolastiche che non sapevano bene come comportarsi.
Al di là di questo le prime indicazioni che vengono date relative alle condizioni di una ripresa sembrano escludere la possibilità che, per lo meno per il personale insegnante, possa essere avviato un controllo sistematico (effettuazione del tampone).
A noi pare che questa ultima condizione sia necessaria poiché, è ormai assodato, almeno una gran parte di coloro che hanno contratto il virus, lo hanno fatto senza manifestare particolari sintomi. Questa situazione potrebbe avere importanti conseguenze nell’ipotesi di un ritorno a scuola.
Alla luce di queste considerazioni, rivolgiamo al Consiglio di Stato le seguenti domande, alle quali – pur comprendendo le difficoltà del momento – pensiamo sarebbe utile avere risposte celermente, anche perché ci pare esse dovrebbero essere parte integrante degli elementi a partire dai quali prendere una decisione definitiva su una eventuale riapertura delle scuole:
1. Quanti sono stati i casi di docenti colpiti dal virus nella scuola ticinese?
2. È stata considerata l’ipotesi di effettuare il tampone ai docenti e al personale amministrativo della scuola prima di una eventuale apertura? Se no, per quali ragioni?
3. Nel caso di una eventuale apertura è prevista una procedura chiara su come agire di fronte a dei ragazzi o dei docenti che dovessero palesare un’infezione da Coronavirus? Se sì, quale? Se no, le direzioni scolastiche saranno invitate ad adottare lo stesso comportamento precedente il 13 marzo, cioè di non dire nulla alla comunità scolastica?
4. In questi casi come si intende procedere con le misure di quarantena, sia dal punto di vista scolastico che delle rispettive famiglie?
Angelica Lepori, Simona Arigoni, Matteo Pronzini (MPS-POP-Indipendenti)
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Scuole in Ticino, quanto può costare la fretta di riaprire?
di Luca Torti*
La scuola è certamente uno dei nodi della crisi Covid-19 che gran parte del mondo sta vivendo. In Ticino abbiamo vissuto alcuni giorni quasi teatrali tra l’11 e il 13 marzo, con la decisione dapprima di chiudere solo il settore delle scuole medie superiori e università e poi con la chiusura, due giorni dopo, di tutta la scuola dell’obbligo. Scelta, quest’ultima, dettata non solo dalla ferma decisione di alcuni istituti scolastici comunali di chiudere, ma anche dalla decisione delle autorità Federali di chiudere tutte le scuole sul territorio nazionale dal 16 marzo.
Diciamocela tutta e con sincerità: le autorità cantonali, politiche e sanitarie, non hanno fatto una gran bella figura e soprattutto non hanno colto la paura e le anticipazioni che venivano da una parte importante delle famiglie. Infatti, al momento della decisione di chiudere, una buona parte dei nostri allievi era già assente da scuola. Era a casa perché i genitori avevano deciso così. Il rischio che questo fenomeno si ripresenti tra qualche giorno, al momento di una eventuale riapertura, è reale. Inoltre, pure tra il personale legato al mondo della scuola, insegnanti, personale amministrativo, personale addetto alle mense e ai trasporti ecc., i timori sono manifesti e vanno assolutamente tenuti in considerazione. Pensare, ancora una volta, di prendere decisioni così importanti senza una vera consultazione e condivisione sarebbe un grande errore.
E questo non significa assolutamente mettere in discussione che alla fine sarà il Consiglio di Stato a prendere le decisioni. Significa rendersi conto che, quando è la salute di tutti ad essere minacciata, bisogna trovare forme di coinvolgimento le più ampie possibili. Anche questa è vera prevenzione.
La parziale riapertura delle attività economiche, tra molte difficoltà e critiche, pone il problema dei figli a casa. Se una parte dei genitori riprende il lavoro, i figli da qualche parte devono stare. Non vorrei che alla base di un’eventuale riapertura ci fosse questa pressione sulle spalle del DECS e del Consiglio di Stato. D’altronde, tra chi in questi giorni si affanna a spingere sull’acceleratore di una ripartenza generale, la consapevolezza che tutto diventa più complicato se le scuole restano chiuse è evidente.
In molti si stanno chiedendo, non a torto, perché mai tentare una riapertura così difficile e rischiosa, a poche settimane dalla chiusura ufficiale dell’anno scolastico. Perché forzare, nonostante i molti pareri medici e/o scientifici che chiedono molta cautela, se non addirittura l’invito a tener chiuso? Perché forzare quando il settore sanitario si attende un ritorno dell’onda epidemica dovuto all’ aumento delle persone in circolazione? Se in queste settimane il corpo insegnante è riuscito, tra dubbi, difficoltà e fatica, a mantenere un contatto con i propri allievi e le rispettive famiglie, producendo i materiali necessari per consolidare quanto appreso fino al momento della chiusura, perché ostinarsi a riaprire, seppur in forma ancora non definita, per così poco tempo? Si rischia di creare una moltitudine di situazioni difficili da gestire e di trasformare il personale scolastico in controllori del lavarsi le mani, della distanza, di come starnutire, di come … Altre realtà nazionali a noi vicine hanno già comunicato che si riaprirà a settembre. Perché non da noi? Perché non coinvolgere, seppur in modo snello e veloce, attraverso direzioni e/o docenti di classe, anche le famiglie per sentire il loro parere?
Comunicare che le scuole non riapriranno perché non ci sono sufficienti garanzie, perché a troppe domande legate a questo virus (in particolare il ruolo dei giovani o giovanissimi nella trasmissione) non corrispondono altrettante risposte più o meno attendibili, significherebbe dar prova di buon senso e troverebbe una larga accettazione tra la popolazione. Si potrebbe tranquillamente continuare con il concetto di accudimento, sperimentato in queste settimane senza troppe difficoltà.
Lo capirebbe bene anche mia mamma, 89 anni, che si chiede perché mai non possiamo andare a trovarla, mentre si parla di riaprire le scuole, lo capirebbero bene anche tutti quegli anziani che diligentemente restano a casa o comunque cercano di fare la spesa prima delle 10, lo capirebbero bene anche tutti quei nonni che si accontentano di salutare i nipotini su uno schermo, lo capirebbe bene tutto quel settore sanitario che viene praticamente beatificato ogni giorno per il lavoro eccezionale che sta facendo e che continua a chiedere grande cautela, lo capirebbe bene il mondo della scuola che ha dovuto reinventarsi in fretta e furia.
* docente pensionato da poco e con un grande senso di appartenenza alla nostra Scuola.
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Apertura delle scuole: pensiamo prima alla salute e ai bisogni degli allievi e dei docenti che agli interessi dell’economia
Il dibattito sulla scuola ha tenuto banco durante tutta questa crisi sanitaria. Tanto si è discusso della chiusura, tanto della didattica a distanza e tanto si discute ora della possibile riapertura.
Il confinamento che stiamo vivendo in queste settimane è sicuramente pesante, ricordiamoci però che non siamo confinati perché stiamo partecipando ad un grande esperimento sociale, ma per via di una crisi sanitaria che ha le sue cause proprio in quella “normalità” che tutti (o quasi) ora vogliono riconquistare. Ma forse varrebbe la pena di chiedersi, come hanno già fatto in molti, se è proprio lì che vogliamo arrivare. Insomma la tanto agognata normalità era poi così bella e priva di rischi o limiti? Questa discussione andava e va fatta anche sulla scuola. Vogliamo ritornare alla scuola “normale” senza cogliere l’occasione che questa situazione ci dà per riflettere su cosa è e cosa dovrebbe essere la scuola? Sarebbe veramente peccato e anche pericoloso da un punto di vista sanitario.
Nessuno ha riflettuto seriamente quando si è cominciato a implementare la didattica a distanza, tutti infervorati a fornire computer e compiti a tutti senza chiedersi quale ruolo poteva avere la scuola in questo contesto di crisi, con i risultati che purtroppo, malgrado i notevoli sforzi di docenti e direzioni, sono lì da vedere.
Non lo si sta facendo e non lo si vuole fare oggi che si vuole riaprire a tutti i costi, commettendo lo stesso errore, che potrebbe avere conseguenze ancora più gravi dal punto di vista della salute pubblica
Non è un caso che i “modelli” che il Dipartimento propone sono sostanzialmente modelli pratici e organizzativi, ma nessuno sa, e nessuno nemmeno si preoccupa di sapere, cosa i nostri figli e figlie faranno (se non lavarsi le mani ogni ora e non fare ricreazione…) in queste ore in presenza.
E la questione diventa in realtà prioritaria. Le nostre sedi scolastiche, l’abbiamo ribadito e spiegato, non sono attrezzate in questo momento per garantire le distanze sociali anche con classi dimezzate. In alcune sedi di scuola media, solo per fare un esempio, classi dimezzate significa 200/300 allievi in sede, nei cortili e nel percorso casa scuola…e almeno la metà sui mezzi di trasporto (solo chi non è mai salito su un bus scolastico può pensare che dimezzando gli allievi sia possibile lì dentro garantire le distanze sociali e lo stesso discorso vale per i bus di linea).
Ora se vogliamo permettere, come alcuni giustamente sostengono, ai ragazzi e ai docenti di rivedersi e congedarsi dalla scuola è veramente necessario mettere in piedi un modello del genere che rischia unicamente di avere un impatto nefasto dal punto di vista sanitario?
E se, altra cosa sacro santa, vogliamo veramente aiutare gli allievi che fanno fatica a seguire la didattica a distanza la soluzione sia quella di un’apertura a “scacchiera”?
Infine in questo periodo è stato chiesto a docenti e ragazzi di reinventare un modo di fare scuola a distanza, questo è avvenuto con mille difficoltà ma è avvenuto. Oggi si sta maggiormente spingendo per incrementare questi momenti di scuola a distanza. Ha veramente senso chiedere a allievi e docenti di scombussolare questa situazione, di riorganizzarsi per qualche settimana? (se si va scuola a turni le settimane di lezione saranno oggettivamente tre…buona parte delle quali svolte con la calura estiva dei mesi di giugno).
Forse si potrebbe avere un po’ più di coraggio e di creatività. Si potrebbe per esempio
- Aiutare le scuole nel promuovere un aiuto personalizzato a quegli allievi che dimostrano maggiori difficoltà o fanno più fatica a seguire l’insegnamento a distanza riattivando in presenza il sostengo pedagogico; incentivando anche a distanza il lavoro tra pari o organizzando uno o due momenti in presenza con piccoli gruppi ( (una due volte alla settimana)
- Organizzare un incontro tra allievo, docente (o decente di classe per le scuole medie) (a distanza o in presenza) per fare un bilancio di quello che sono stati questi mesi e capire come riprendere a settembre.
Tutte cose che la scuola sta già facendo in molti casi che potrebbero essere maggiormente sviluppate e migliorante cercando di colmare quel fossato tra famiglia e scuola che si è creato anche a causa di una gestione verticistica e poco empatica da parte del Dipartimento di tutte queste fasi e che un’apertura disorganizzata (decisamente non condivisa) non potrà invece che accentuare.
Certo se ci si pone in quest’ottica la domanda di fondo è perché riaprire e non come. Si tratta infatti di pensare a riaprire parzialmente e con tutte le attenzioni nel caso non per rispondere alle esigenze dell’economia (come sembra essere il volere del governo e del DECS), ma per rispondere alle esigenze, anche di salute, di ragazzi, famiglie e genitori.
La scuola poi dovrà continuare a fare accudimento per i bambini i cui genitori lavorano, anche perché i modelli che vengono proposti fino ad ora in realtà creeranno un grosso problema a chi dovrà conciliare lavoro e famiglia. Anche qui nessuna riflessione è stata fatta su come conciliare scuola in presenza e accudimento. Faccio solo qualche esempio se i bambini vanno a scuola solo qualche giorno alla settimana cosa fanno negli altri giorni se i genitori lavorano, dove sarà organizzata l’accoglienza? Se una famiglia ha più figli che entrano a scuola a orari diversi o giorni diversi come potrà organizzarsi? Chi potrà garantire questo servizio? Come faranno i docenti con figli se hanno lezione quando il loro figlio deve stare a casa?
Tutte domande alle quali le famiglie vorrebbero delle risposte e delle sicurezze in questo momento già carico di preoccupazioni. Insomma evitiamo un’altra volta di fare dei pasticci e facciamo, soprattutto in vista del rientro a settembre, una seria riflessione a ampio raggio che tenga conto delle necessità di tutti e tutte. Affinché il tanto desiderato ritorno alla normalità ci permetta di tornare a una normalità differente, ma migliore di quella che c’era prima. Servono strategie condivise che rispondano alle esigenze concrete e alle paure (legittime) di famiglie, docenti e studenti.