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I padroni sbuffano, il governo pronto ad abbassare la testa

I padroni sbuffano, minacciano, ripetono che non bisogna tirare troppo la corda: per loro mettere in atto misure che impediscano la diffusione del contagio significa tirare troppo la corda. Ed eccoli, alla prima avvisaglia di una possibile schiarita nella diffusione del virus (confermata, con calcoli matematici, da eminenti economisti in pensione che non hanno di meglio da fare: un’altra ragione per invitarli a fare delle belle passeggiate!), subito riemergono le strategie di “riapertura”. Le associazioni padronali insistono per  il passaggio da un sistema di autorizzazione ad uno di notifica della ripresa del lavoro. Come dire: decidono le imprese quando e come ricominciare a lavorare, basta che lo facciano sapere, niente di più.

Certo, la riprese del lavoro, si affrettano ad aggiungere Vitta e soci, sarà controllata, parziale, progressiva; e, ancora più certo, giurano e spergiurano che si dovrà fare la massima attenzione al rispetto delle norme di protezione e distanza: mica si può tornare al lavoro così, alla carlona!

Eppure costoro dovrebbero sapere che quanto dicono di voler garantire in termini di sicurezza al lavoro è difficile se non impossibile da garantire; e, soprattutto, da controllare. È noto a tutti che l’ispettorato del lavoro e la SUVA, i due organismi che dovrebbero controllare che queste misure vengano rispettate, sono nelle attuali condizioni del tutto non operative e, anche quando riprendessero la loro attività, è noto che sono cronicamente sottodotati (la SUVA, ad esempio, può contare su 2 ispettori per tutto il Cantone). Lo stesso ragionamento vale per realtà quali la scuola: come è possibile garantire nelle nostre aule scolastiche (non certo grandi) la distanza tra gli allievi di una classe di 24-25 allievi?

E allora? Allora bisogna continuare sulla linea adottata nelle ultime due settimane fino a quando non vi saranno segni chiari che il contagio è entrato in una chiara e netta fase di esaurimento. Cercando, magari di fare in modo che chi continua a lavorare senza che vi sia alcuna necessità produttiva o sociale, la smetta per un po’. Proprio in questi giorni è stata confermata la notizia che la Pamp SA di Castel San Pietro, specialista nella raffinazione dell’oro, lavora quasi a pieno regime. Forse per rispondere alle esigenze di chi è costretto a rimanere in casa: non sapendo cosa fare, molti hanno deciso di collezionare lingotti e lingottini d’oro. Ed ecco giustificata la produzione della Pamp…

Ma bisogna anche smetterla con quel cinismo ambientale che tende ormai a diffondersi. In nome del rifiuto di un mal posto accanimento terapeutico, è oggi evidente che si sta mettendo in conto che ancora decine e decine di anziani possano essere “sacrificati” in nome di un ritorno alla normalità produttiva.

Noi ci opporremo con le nostre forze; continueremo a denunciare questa politica che continua in fondo a riproporre l’idea che le nostre vite valgano meno dei profitti di pochi.

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Pamp, vite di lavoratori e lavoratrici che valgono oro…

Alcune fra le ditte ritenute indispensabili e di primaria importanza, in Ticino, durante questa emergenza sanitaria, sono risultate le raffinerie d’oro (nel Mendrisiotto troviamo la Valcambi, la Pamp e la Argor), che di fatto hanno subito potuto ottenere i permessi per la riapertura.

Faranno parte, insieme all’industria delle tapparelle dell’infido Regazzi, di quei beni di cui non possiamo fare a meno (probabilmente saranno iscritte all’elenco dell’Unesco in quanto patrimonio dell’umanità). Interessante capire come mai queste raffinerie sono state riaperte con tanta solerzia: dall’inizio dell’emergenza Covid, infatti, gli indici borsistici hanno subito un pesante crollo generalizzato (abbiamo già avuto modo di dire, nei giorni scorsi, che questo crollo era comunque nell’aria, come il virus, in quanto le speculazioni su tassi negativi, l’indebitamento e le conseguenti fluttuazioni avrebbero fatto saltare ancora una volta il già fragile andamento finanziario, colmo di speculazioni e titoli spazzatura).

Per questa ragione, i grandi investitori hanno subito cominciato ad acquistare oro fisico (non solo in certificati), unico “bene” che da sempre risulta quantomeno stabile e forte a copertura del loro portafoglio: si è così creata una vera e propria febbre dell’oro che ha convinto le nostre autorità a riportare queste aziende alla riapertura immediata. Sappiamo chi ci guadagna, anche in questo caso, e sappiamo chi ne fa le spese: i lavoratori e le lavoratrici che sono costrette a continuare a sfidare il triste destino a loro imposto dai poteri forti, dall’economia e dalla finanza. A loro, invece, resta un salario sicuramente basso e, appunto, un grossissimo rischio.