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Agenzie interinali: neppure il coronavirus frena la loro brutalità!

Quando, tra il 12 e il 13 marzo, i cantieri ticinesi hanno iniziato a sospendere con crescente rapidità l’attività produttiva a causa del dilagare della pandemia, quasi istantaneamente è esploso un fenomeno altrettanto virulento. Alludiamo alla reazione delle agenzie di lavoro temporaneo, le quali non hanno esitato a notificare centinaia, poi trasformatesi rapidamente in alcune migliaia, di licenziamenti praticamente con effetto immediato ai loro muratori e artigiani edili ormai restati senza cantieri.

In molti casi non sono stati neppure rispettati i termini di disdetta, già indecenti rispetto a quelli, pur blandi, previsti dal Contratto collettivo di lavoro (CCL) degli interinali: 2 giorni lavorativi durante i primi 3 mesi, 7 giorni dal 4° al 6° mese di lavoro (compreso) e 1 mese  a partire dal settimo mese di lavoro… Addirittura, davanti all’incertezza di non saper ancora se licenziare o mantenere attivi i loro operai, quando ancora non era intervenuto il blocco integrale dei cantieri deciso dal Governo ticinese, alcune agenzie hanno addirittura modificato retroattivamente, attraverso le loro applicazioni di gestione del personale, i contratti di lavoro, riducendo le ore settimanali da 45 a 20 ore. Il motivo? Nel caso avessero comunque dovuto corrispondere il salario per qualche giorno ai loro muratori inattivi, avrebbero dimezzato le ore da remunerare…

Con la decisione dello scorso 20 marzo del Consiglio federali di allargare, in via eccezionale, il lavoro ridotto anche alle agenzie interinali, chi non conosce questo mondo poteva pensare che, finalmente, anche i diritti dei lavoratori interinali fossero stati presi in considerazione. Sfortunatamente, le agenzie di collocamento rappresentano probabilmente la punta avanzata del mondo imprenditoriale in quanto a brutalità e sete di profitto.

La circolare di Swissstaffing, la centrale padronale delle maggiori agenzie interinali svizzere, esprime la totale assenza di stati d’animo di queste imprese particolari. Neppure il coronavirus è riuscito a placare per un istante la loro ricerca incessante del massimo profitto. In merito al lavoro ridotto Swissstaffing scriveva che «occorre esaminare caso per caso se vada fatto ricorso al lavoro ridotto. Consigliamo pertanto di contattare in ogni caso l’impresa acquisitrice [l’azienda cliente che usa i lavoratori delle agenzie]. Nel caso in cui l’impresa acquisitrice dichiari di non essere comunque in grado di offrire alcun lavoro dopo l’interruzione, allora il lavoro ridotto non è necessariamente lo strumento giusto (in quanto serve proprio a mantener il posto di lavoro). Occorre inoltre tenere conto delle circostanze nel singolo caso. Se l’impresa acquisitrice avrà ancora lavoro dopo l’interruzione e l’impiego potrà essere proseguito in tal senso, allora va fatto ricorso al lavoro ridotto». Eh sì, per Swissstaffing l’onere di “conservare il posto di lavoro” dei dipendenti non spetta di certo alle agenzie interinali, per le quali il concetto di “responsabilità sociale” ha lo stesso valore di un gesto di pietà richiesto a un boia. In sostanza, il mantenimento del posto di lavoro è scaricato sulle ditte clienti. In assenza di una loro più che concreta conferma di riprendere immediatamente i rapporti commerciali interrotti dal coronavirus, l’agenzia interinale non esita a scaricare i suoi dipendenti sulla collettività pubblica, ossia licenziandoli e condannandoli alla disoccupazione.

Quanto descritto si sta verificando con estrema brutalità. Secondo quanto abbiamo potuto constatare, è in atto un poderoso e complesso processo di selezione dei lavoratori interinali da tenere o da eliminare, sulla base del principio indicato da Swissstaffing. In queste ultime 2-3 settimane le agenzie hanno sondato tutte, ma proprio tutte, le ditte loro clienti. E con chirurgico cinismo licenziano decine e decine di lavoratori, non sacrificati al primo turno, per i quali le ditte clienti non sono praticamente riuscite ad assicurare con certezza il loro impiego immediatamente dopo la fine del blocco delle attività produttive.

Qualcuno potrebbe osservare che questo comportamento imprenditoriale non si giustifica in virtù del fatto che comunque la disoccupazione assicura il versamento dell’80% del salario (il restante 20% è semplicemente perso per il lavoratore) e il versamento integrale (100%) degli oneri sociali padronali (AVS/AI/IPG/AD). Ebbene ciò significa fare astrazione della rapacità spinta all’estremo da parte delle agenzie interinali. Nel mondo del lavoro ticinese non si parla di buone agenzie interinali ma delle “meno peggio”. Queste imprese particolari esercitano il massimo tasso di sfruttamento possibile sulla loro forza-lavoro, approfittando di ogni minimo margine di manovra, ricorrendo sempre più spesso a infrazioni sistematiche dei disposti contrattuali e delle leggi. I sindacati in Ticino producono ogni anno alcune centinaia di vertenze legali individuali, le quali rappresentano forse il 10% degli abusi commessi. Infatti, l’interinale che cerca di far valere i propri diritti è confrontato con la classica minaccia “tu non solo non lavorerai più per noi ma per nessun’altra agenzia”. Non sempre si tratta di “infrazioni eclatanti” ma le agenzie giocano sulla legge dei grandi numeri: se alla fine del mese mancano 200 franchi di indennità trasferta, di indennità pasto o saltano alcune ore lavorate dai conteggi e questo ammanco lo moltiplichiamo per 12 mesi, arriviamo a una cifra di 2’400 Fr. all’anno. E se questa cifra a sua volta la moltiplichiamo per 200 lavoratori, otteniamo un guadagno supplementare di quasi 500’000 franchi in un anno…

Tornando alla situazione drammatica al tempo del coronavirus, le agenzie valutano i seguenti fattori: tenere un lavoratore sotto il regime del coronavirus significa dovergli pagare la quota parte dei contributi del 2° pilastro (LPP) e quelli della assicurazione infortuni (LAINF). In sostanza, per un lavoratore di 35 anni si parla di al massimo 200 franchi al mese. Questi unici costi a carico delle agenzie sono sufficienti a decretare il licenziamento di una fetta consistente di interinali, nonostante l’esistenza di un ammortizzatore sociale come il lavoro ridotto. Sulla base di questo criterio aziendale, del minor costo possibile, le agenzie hanno anche il loro metodo scientifico per determinare la graduatoria dei licenziamenti: i primi a saltare sono quelli con il minor periodo di disdetta (2 giorni), seguono poi quelli con 7 giorni e gli ultimi a essere scaricati sono i lavoratori che hanno 1 mese di disdetta. Per chi non l’avesse capito, il principio è molto semplice: minor periodo di disdetta significa minor esborso per l’agenzia se il lavoratore non può essere impiegato, come nel caso attuale del coronavirus. Se la disdetta è di un mese allora è meglio mettere il lavoratore a beneficio del lavoro ridotto…

Secondo nostre verifiche, almeno due agenzie – e parliamo delle più importanti – si sono rifiutate di collocare i loro dipendenti sotto il cappello del lavoro ridotto. La stragrande maggioranza di queste imprese ha ridotto brutalmente il proprio organico, probabilmente con tassi di licenziamenti che vanno dal 50% nel migliore dei casi, al 70% nel peggiore dei casi. Nessuna agenzia interinale ha messo TUTTO il suo personale a beneficio del regime del lavoro ridotto[1]

Il mondo infame del lavoro interinale è però difficile da analizzare ed è ancora più difficile fornire anche solo delle stime in valori assoluti del dramma vissuto da questi lavoratori. A fine dicembre 2018 erano attive solo in Ticino 160 agenzie per il lavoro temporaneo. Sempre in questo periodo, il numero di persone i cui “servizi sono stati affittati e annunciati alla Seco” hanno raggiunto le 16’137 unità, in crescita continua[2]. L’89,5% era formato da stranieri. Probabilmente il 60-70% era costituito a sua volta da frontaliere e frontalieri. Ciò significa che con la loro politica di licenziamenti sistematici, le agenzie hanno esportato la disoccupazione prodotta con così tanta facilità nella vicina Italia, vittime che ovviamente non entreranno nelle statistiche della disoccupazione ticinese… Naturalmente un aiuto per ricostruire la brutalità vissuta dagli interinali al tempo del coronavirus potrebbe provenire dalla Sezione del lavoro del DFE e dalle casse disoccupazione, istituzioni che dispongono di dati precisi e numericamente estesi. Ma altrettanto naturalmente, ciò non avverrà e un capitolo triste della crisi del coronavirus sarà cancellato, anzi non verrà mai alla luce…

Concludiamo accennando a un fatto così scontato dal passare inosservato ma che è determinante, anche nel caso della mattanza di lavoratori interinali alla quale assistiamo oggi. La Legge federale sull’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e l’indennità per insolvenza (LADI) che disciplina il lavoro ridotto, sancisce che il salariato ha diritto al lavoro ridotto solo se il padrone di un’azienda decide di farne richiesta! Banale? Logico? Neanche per idea. La sopravvivenza materiale della lavoratrice o del lavoratore, e delle loro famiglie, dipende ancora una volta esclusivamente dalla volontà del padrone. Anche davanti a una crisi di questa natura e di queste dimensioni, il lavoratore è alla mercé completa del suo padrone. Ma quale padrone preferirebbe licenziare il proprio personale quando può ricorre all’ammortizzatore sociale del lavoro ridotto? Beh, la risposta la potete trovare ricominciando a leggere questo contributo, per esempio. Nei prossimi tempi, vedremo quante altre aziende avranno approfittato del coronavirus per sgrassare i propri effettivi.

Ancora una volta, emerge chiaramente come sia illimitato il potere del regime capitalista elvetico. E ancora una volta non possiamo evitare di dire che non siamo proprio tutti sulla stessa barca…

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(Qui di seguito il testo dell’interrogazione inviata dal gruppo MPS-POP-Indipendenti al Municipio di Bellinzona)

Anche in piena pandemia il Municipio di Bellinzona continua ad essere irrispettoso dei diritti dei propri dipendenti: peggio del peggior padronato del settore privato

Nelle scorse settimane avevamo a più riprese segnalato pubblicamente l’atteggiamento poco rispettoso del Municipio verso il personale della città

Ad iniziare dalla decisione di mantenere aperte fino all’ultimo le scuole comunali, a differenza delle altre principali città ticinesi, quando invece il buon senso ed i medici invitavano le autorità politiche a chiudere. È evidente che tale decisione, così come l’aver continuato fino all’ultimo con la tenuta di tutte le manifestazioni del Carnevale o il ritardo con il quale sono state messe in isolamento le case per anziani della città, hanno contribuito alla propagazione del virus nella nostra città ed alla messa in pericolo della sua popolazione e del personale comunale.

Si è dovuto inoltre attendere diversi giorni prima che i servizi comunali, ad iniziare dai servizi urbani, venissero dotati del necessario materiale di protezione. Ancora ora non si può assolutamente dire che tale materiale venga fornito in maniera sufficiente e regolare.

A tutto ciò si aggiunge ora la comunicazione, datata 6 aprile 2020 con cui si rende noto al personale che “Il Municipio ha inoltre deciso la chiusura dell’Amministrazione comunale durante la settimana di Pasqua. Verrà garantita unicamente l’operatività delle attività indispensabili, secondo turnistica e modalità già in vigore … Per tutti i dipendenti interessati (…) verranno conteggiati 4 giorni di vacanza.

Il contenuto di tale comunicazione è illegale. Abbiamo denunciato nelle ultime settimane questo modo di procedere di diverse aziende private che hanno obbligato i lavoratori e le lavoratrici a stare a casa conteggiandole come vacanze: sorprende, ma non più di tanto ormai, che ad utilizzare simili procedimenti sia un ente pubblico.

Oltre ad essere illegale, va inoltre ricordare che il Regolamento Organico dei dipendenti (il ROD) non attribuisce alcuna facoltà al Municipio di definire dei periodi di vacanze forzate e, tantomeno, con un preavviso di soli 7 giorni. Inoltre non risulta che le organizzazioni rappresentative ed indipendenti del personale della città siano state consultate, così come prevede la famosa sentenza del Tribunale Federale sui diritti sindacali nel settore pubblico che il sindacato di Bellinzona dovrebbe ben conoscere.

Riportiamo un estratto di una recentissima pubblicazione (11 marzo 2020) dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) appositamente dedicata al comportamento dei datori di lavoro in questa situazione di pandemia. Il punto 10 delle domande più frequenti che vengono rivolte è così formulato:

“Domanda: In caso di pandemia un’azienda può pianificare le vacanze aziendali per far fronte alle assenze dei suoi lavoratori?

Risposta: in linea di massima no, anche se la legge prevede che le date delle vacanze aziendali siano stabilite dal datore di lavoro. Egli deve tuttavia consultare i suoi lavoratori e tenere conto dei loro desideri. I lavoratori hanno inoltre il diritto di essere informati con sufficiente anticipo in merito alla data delle rispettive vacanze (in generale è previsto un termine di tre mesi).”

Alla luce di queste considerazioni chiediamo al Municipio:

  1. Sulla base di quale regolamento o ordinanza comunale il Municipio può decretare delle vacanze collettive?
  2. Ammesso e non concesso che vi sia una base legale, un termine di preavviso di 7 giorni è legalmente sufficiente per imporre delle vacanze collettive?
  3. Come stabilito nella sentenza del Tribunale Federale del 6 settembre 2017, considerazione 5.3.2, le organizzazioni sindacali del servizio pubblico hanno diritto di essere sentite. Il Municipio prima di adottare la decisione del 6 aprile 2020 ha sentito le organizzazioni del personale? Se sì, quali? Quali sono state le loro risposte?
  4. Non ritiene il Municipio, anche alla luce delle chiare considerazioni della SECO, alle quali abbiamo fatto riferimento, di dover annullare la decisione con la quale intende calcolare i giorni dal 14 al 17 aprile come giorni di vacanza?

Per il Gruppo MPS-POP-Indipendenti

Angelica Lepori, Monica Soldini

(8 aprile 2020)


[1] Semplificando, non hanno diritto al lavoro ridotto i salariati interinali che hanno un semplice contratto con l’agenzia ma che non erano impiegati presso un’azienda acquisitrice al momento dell’interruzione delle attività produttive, ossia sprovvisti di un cosiddetto contratto di missione.

[2] Nel 2016 erano infatti 13’251 e nel 2017 15’954 (cfr. cifre Seco).