Caro direttore, nel suo editoriale del 18 aprile si è giustamente scandalizzato del fatto che i partiti di governo, rappresentati nell’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio, abbiano, nuovamente, annullato una seduta del Parlamento cantonale. Il gruppo parlamentare a cui appartengo, che non ha diritto d’essere rappresentato nell’Ufficio presidenziale, non solo ha espresso la sua opposizione a questa decisione ma ha lanciato un appello a tutte e tutti i parlamentari per chiedere formalmente la convocazione di una seduta. Da quasi due mesi il Cantone è confrontato con un’emergenza sanitaria grave che ha creato e creerà dolori, lutti e difficoltà economiche. Come giustamente osservava anche da lei, è ora che il Parlamento discuta e si esprima in merito. È un suo dovere, così come esercitare l’alta vigilanza sul Consiglio di Stato. Purtroppo ciò non avverrà. La stragrande maggioranza dei membri del Parlamento, seppur eletti dalla popolazione, pensa di dover rendere conto solo ai capi-partito e ai consiglieri di Stato. I capi-partito ed i consiglieri di Stato, sia quelli che stanno gestendo l’emergenza sia quelli passati alla clandestinità, hanno deciso che è il momento dell’unità cantonale. Dunque non è il caso di sollevare pubblicamente, come potrebbe avvenire in un’aula parlamentare, perplessità e domande. E di conseguenza, nel dubbio, meglio lasciar perdere e mettersi in auto-quarantena.
Il gruppo MPS-POP-Indipendenti ha fatto uso della possibilità legale di richiedere, da parte di 30 parlamentari, la convocazione di una seduta. Una richiesta alla quale hanno risposto positivamente (oltre ai deputati e alle deputate dell’MPS) unicamente due altri parlamentari: Andrea Stephani e Laura Riget. Le faccio una confidenza, caro direttore: sapevamo già che sarebbe finita in questo modo. I segnali vi erano tutti: dalle dichiarazioni unanimi dei vari partiti a sostegno del Consiglio di Stato al risultato della votazione del Gran Consiglio dello scorso 9 marzo sulla nostra richiesta di discussione generale sulla situazione COVID-19. Già allora solo altri 7 parlamentari ci avevano seguito. L’altra sera, ormai fuori tempo massimo, abbiamo ricevuto una sorta di sostegno da Fabrizio Sirica, a nome del gruppo PS; tuttavia afferma che non vi è nulla da fare. Per me si tratta dell’ennesima dimostrazione, oltre che di un atteggiamento rinunciatario, di quanto poco valgano espressioni quali «sinistra unita», «fronte rosso verde», etc. Constato che il punto di partenza di questo schieramento (o preteso tale per chi così lo dipinge) è di 24 deputati/e che, se animati/e da una certa determinazione, non dovrebbero avere difficoltà a raggiungere quota 30. E chi sostiene che è solo una questione di settimane (seduta a fine maggio) dimostra di non aver capito nulla: in discussione non vi è un calendario, ma una questione politica di fondo.
Ciò non toglie che poi molti deputati, da destra a sinistra, in privato esprimano ammirazione, per la nostra coerenza e determinazione, e insofferenza per la disciplina di partito che devono seguire. Per il momento tale insofferenza si esprime nelle rare occasioni in cui il Parlamento può esprimersi a voto segreto. Si ricorderà, per rimanere in tema sanitario, il penoso risultato ottenuto da Paolo Sanvido (Lega) e Andrea Bersani (PLR) nell’elezione del CdA dell’EOC (31 voti e 27 voti su 90). Per il momento questo Parlamento più di lanciare il sasso e nascondere la mano non è in grado di fare. Come diceva Manzoni: «Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare».
*deputato MPS-POP-Indipendenti, articolo apparso sul Corriere del Ticino il 23 aprile 2020