Siamo sicuri che se oggi vi fosse un sondaggio di gradimento sull’operato del governo cantonale, esso farebbe segnare un risultato estremamente lusinghiero. Eppure il Consiglio di Stato per diverse settimane ha avuto un atteggiamento reattivo e per nulla preventivo. Possiamo aggiungere, senza tema di essere smentiti, che alcune su decisioni (contrarie a quanto consigliavano da giorni gli esperti con i quali si era consultato) hanno contribuito a facilitare lo sviluppo dell’epidemia: basti pensare ai Carnevali di Bellinzona, Lugano e Chiasso o alla decisione, rimandata per diversi giorni, di chiudere le scuole.
Malgrado questo, come detto, pensiamo che il governo otterrebbe risultati positivi, in particolare dopo che è apparso come “alternativo” (con le decisioni di chiusura di cantieri e altre attività produttive) a quando intrapreso dal governo federale.
L’articolo che segue illustra in modo semplice i meccanismi che, in periodi come quello che viviamo, portano le persone a sostenere, perlomeno nelle fasi più acute, i governanti, anche coloro che, nelle fasi iniziali della crisi, hanno mostrato incompetenza e mancanza di empatia con la situazione. (RED)
Isondaggi che registrano il gradimento nei confronti del presidente sono molto buoni per Donald Trump. Col 45,8 per cento il presidente ottiene il risultato più alto dal giorno della sua investitura nel 2017. Pochi si sarebbero aspettati un simile risultato, visto la gestione alquanta caotica della crisi del Covid-19. Trump ha passato gran parte del tempo a minimizzare la pandemia, l’ha inizialmente definita una “bufala” dei democratici, e poi ha improvvisamente cambiato registro. Su impulso degli esperti medici preoccupati dall’aggravarsi della situazione. La gestione successiva è stata poi alquanto caotica. Però non è molto diversa da quella sperimentata da molti paesi di fronte ad un fenomeno nuovo.
Questo gradimento non c’è soltanto nei confronti di Donald Trump. Lo stesso primo ministro britannico Boris Johnson pare abbia seguito un simile percorso. Secondo il Financial Times, Johnson avrebbe avuto un aumento del gradimento da parte dei propri concittadini senza pari rispetto ai leader di dieci altre democrazie. Nonostante le dichiarazioni scioccanti sulla necessità di “abituarsi a perdere dei familiari”. Secondo i sondaggi di Number Cruncher per Bloomberg il tasso di approvazione per Johnson è tra i più alti dai tempi del Tony Blair, nel lontano 1997.
Per quanto Trump e Johnson siano dei casi particolari, considerata la mancanza di empatia e di serietà che molti altri leader hanno manifestato con lo scoppio della pandemia, non sono i soli leader politici ad aver visto aumentare la loro popolarità. Da Emmanuel Macron a Angela Merkel, da Pedro Sanchez a Giuseppe Conte, da Bolsonaro a Justin Trudeau.
Ovviamente le spiegazioni di questa popolarità non si sprecano. Nel caso di Trump, alcuni fanno notare che la sua popolarità in tempo di crisi è comunque aumentata meno di altri leader democratici o di altri presidenti americani che si sono trovati a fronteggiare guerre o crisi economiche. Altri invece suggeriscono maggiore attenzione poiché la popolarità di Trump è aumentata non con i repubblicani ma tra gli elettori indipendenti e una parte di democratici.
Questo aumento di popolarità in tempo di crisi non è nuovo. Dopo l’undici settembre del 2001 la popolarità di G.W. Bush raggiunse il livello record di 84 per cento e rimase molto alta per diverso tempo. In Italia Mario Monti godette di molta fiducia per molto tempo, dopo essere diventato presidente del consiglio quando il paese era sull’orlo del baratro finanziario.
Perché, però, c’è questo aumento di popolarità in tempo di crisi?
La spiegazione più semplice potrebbe essere quella del fenomeno chiamato “rally ‘round the flag”. Nel 1970, in una ricerca sulla “popolarità del presidente da Truman a Johnson”, lo scienziato politico John Mueller aveva sostenuto che in tempi di crisi internazionali la popolarità del presidente tendeva ad aumentare (e poi a calare notevolmente ad emergenza terminata). Secondo lo studioso, i cittadini in momenti difficili, soprattutto quando è in gioco la loro stessa esistenza, si stringono attorno al loro leader.
Mueller pensava ovviamente al modello presidenziale statunitense. Però non dovremmo stupirci se possiamo utilizzare la stessa espressione con governi non necessariamente presidenziali. Negli ultimi decenni abbiamo assistito in molti paesi ad una “presidenzializzazione” della politica. Si tratta della diffusione di un modello basato sull’aumento dei poteri dell’esecutivo e sul ruolo centrale del leader nelle campagne elettorali.
Al di là di quest’aspetto, nel tempo sono state fornite più spiegazioni dell’effetto “rally ‘round the flag”. La prima dice che gli individui rispondono a una minaccia identificandosi con un gruppo: la nazione, il presidente. In questo senso non sarebbe altro che l’espressione di una forma di patriottismo. Al di là di come i singoli paesi rispondono più o meno efficacemente alla crisi del Covid-19, il sostegno a Conte, Johnson, Trump e gli altri altro non sarebbe che la risposta patriottica alla minaccia esterna. Ci sarebbe da chiedersi poi come in situazioni di “unità patriottica” le democrazie reagiscono al dissenso e alla critica. Ma questa è un’altra storia.
Un’altra ipotesi si basa sul ruolo centrale che chi esercita il potere esecutivo riveste in momenti di crisi. L’opposizione – politica e mediatica – di solito in questa fase riduce i momenti di critica. Quest’assenza di critica porta l’opinione pubblica a pensare che c’è consenso tra i leader politici attorno alla figura del capo del governo o del presidente. Le tradizionali divisioni partigiane tra i cittadini sono quindi attivate in misura minore. È evidente che se la critica è continua e aumenta d’intensità, l’effetto di “rally ‘round the flag” rischia di essere molto breve nel tempo.
Una terza ipotesi è che i cittadini si affidino ai leader in momenti di crisi per affrontare l’incertezza e l’impatto negativo della situazione. Per far fronte all’ansietà si rivolgono ai soli che possono proteggerli. Secondo quest’idea alti livelli di stress renderebbero le persone meno fiduciose nelle loro preferenze e scelte politiche.
Si tratta di capire se questa popolarità è destinata a durare.
L’effetto “rally ‘round the flag” è stato studiato a livello nazionale. A livello locale non ha molto senso, viste le premesse di partenza (crisi internazionale). Tuttavia, ad esempio in Italia di una certa popolarità in tempi di crisi ne stanno godendo anche a livello locale molti amministratori. Secondo l’Atlante politico di Demos, i due governatori più esposti alla crisi del Covid-19, Luca Zaia e Attilio Fontana, sono rispettivamente terzo e quinto nella classifica di gradimento dei leader (Conte al 71 per cento, Meloni al 52 per cento, quarto Salvini col 46 per cento). Zaia e Fontana sono apprezzati nonostante le notevoli giravolte e gaffe commesse in questi mesi (ma lo stesso vale per la gestione di Conte della crisi, che è stata altalenante).
Sui sindaci delle principali città italiane non possediamo dati. Ma forse anche in questo caso non sarebbero molto diversi. Nonostante molti sindaci abbiano compiuto più di uno scivolone (da Sala a Milano a Brugnaro a Venezia), non possiamo escludere che la loro popolarità non ne sia stata intaccata. Però non sappiamo se questo effetto di “rally ‘round the flag” si verifichi anche a livello locale.
Quel che è interessante è un aspetto secondario però del fenomeno “rally ‘round the flag”. Molto spesso dei paesi, così come le persone, reagiscono alle crisi con rabbia. L’esempio che alcuni citano è quello dell’undici settembre: è la rabbia verso chi ha commesso quell’attacco a creare le condizioni per il “rally ‘round the flag”.
Ora il coronavirus non è un gruppo terroristico e quindi l’effetto
“patriottico” non è generato da rabbia nei confronti di chi ha commesso un
attacco. Però una qualche forma di rabbia potrebbe allungare la durata
dell’effetto? Mi spiego. Nel caso italiano, soprattutto nelle ultime settimane,
sono montate enormi polemiche, estremamente dure, nei confronti del
comportamento delle istituzioni europee e dei paesi europei verso l’Italia. E
se nella drammatizzazione di quei comportamenti ci fosse anche il tentativo,
inconscio magari, di prolungare l’unità “patriottica” in situazione di crisi?
*articolo apparso sulla rivista online Ytali il 3 Aprile 2020. Ci è stato segnalato dai compagni di Sinistra Anticapitalista di Brescia.