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Anche la discussione su una possibile riapertura delle scuole lascia alquanto perplessi. A La gestione della scuola in questo periodo di emergenza sanitaria è stata al centro di numerose discussioni e critiche soprattutto da parte del corpo docente e dalle direzioni. Quello che appare chiaro è che fin dall’inizio in tutte le sue decisioni il DECS ha agito, come da sua tradizione, senza consultare le componenti fondamentali della scuola: docenti, allievi e famiglie.

Molto si è discusso infatti sulla decisione, sicuramente tardiva e pasticciata, della chiusura delle scuole. Anche in questo caso i docenti lamentavano da tempo l’impossibilità di lavorare rispettando le norme di igiene e di distanziamento sociale, ma non sono stati ascoltati fin a quando la Confederazione ha decretato, per tutti, la chiusura. Gli stessi genitori manifestavano palesemente il proprio malumore, tanto è vero che nei giorni precedenti la chiusura, la presenza sui banchi di scuola era notevolmente diminuita.

Lo stesso si è fatto con la messa in pratica dell’insegnamento a distanza. Nessuno ha pensato di coinvolgere i docenti in una discussione su come implementare questi nuovi strumenti, sugli obiettivi della scuola in questa fase delicata e sulle tappe da seguire.

Il Dipartimento ha poi tardivamente emanato delle pseudo direttive che non chiariscono minimamente dove si vuole andare: unica preoccupazione capire come proseguire con il programma, nessuna seria riflessione sul ruolo che la scuola potrebbe e dovrebbe avere in questo contesto, soprattutto per non lasciare sole le famiglie ad affrontare con i figli l’emergenza sanitaria, ma anche economica e sociale. Anche sulle modalità di valutazione e di certificazione dell’anno scolastico regna il caos e l’incertezza.

La preoccupazione principale è stata quella di implementare le tecnologie per l’insegnamento a distanza e permettere a tutti di essere connessi per poter fare compiti (certo, di consolidamento inizialmente) senza preoccuparsi delle conseguenze di questa quarantena sulla salute psico-fisica di bambini e adolescenti.

Il risultato di tutto ciò è che ogni scuola ha agito come voleva o poteva; ci sono sedi che impongono lezioni online praticamente per tutto l’orario scolastico, sedi che privilegiamo i compiti a distanza senza troppe pretese e sedi che si adoperano in maniera più importante nel sostegno alle famiglie. Una situazione che crea disparità e non fa che accentuare le disuguaglianze sociali tra famiglie.

Un altro elemento scarsamente preso in considerazione sono le condizioni in cui una buona parte dei docenti deve affrontare l’insegnamento a distanza. È noto che la stragrande maggioranza del corpo docente sono donne, molte con figli a carico e, magari, anche con genitori anziani dei quali occuparsi, soprattutto in questa fase. Evidentemente anche questi sarebbero stati elementi da prendere in considerazione nell’implementazione dell’insegnamento a distanza.

poche settimane dalla fine presunta delle restrizioni a livello nazionale nessuno sa se e come le scuole riapriranno, si fanno ipotesi lasciando comunque tutti in una situazione di tale incertezza da rendere difficile la pianificazione del lavoro e delle attività. Molti si chiedono inoltre come sia possibile garantire, nella maggior parte delle sedi, la distanza sociale e il rispetto delle norme igieniche: sono anche questi i momenti nei quali si paga la tendenza ad avere classi numerose, sicuramente non gestibili – nel rispetto delle norme di distanziamento – nelle attuali strutture scolastiche. Senza contare che non ci pare, né eticamente né culturalmente sostenibile l’idea di riaprire le scuole per tornare, semplicemente, alla normalità, facendo finta che non sia successo nulla; magari preoccupandosi di portare a temine le verifiche di fine anno, come ha ribadito più volte Bertoli, senza tenere in considerazione che bambini, ragazzi e docenti non rientrano dalle ferie, ma da un periodo che per molti è stato caratterizzato da lutti, da preoccupazioni economiche e sociali evidenti.

Ora, arrivano anche notizie preoccupanti dalla scuola elementare e speciale. Per molte settimane le scuole speciali, come anche le scuole elementari, non sono state integrate nelle piattaforme Moodle e Teams che il Dipartimento mette a disposizione degli altri ordini di scuola. Le docenti di questi ordini scolastici, in assenza di direttive chiare, si sono inventate un modo per rimanere in contatto con le famiglie dei ragazzi, soprattutto per garantire una vicinanza e poter cogliere eventuali situazioni particolarmente vulnerabili e a rischio. Alcune hanno portato i compiti a casa, con l’obiettivo principale di vedere gli allievi a distanza, parlare con loro e con le famiglie. In assenza di indicazioni dal DECS si sono poi organizzate con altre tecnologie quali skype, zoom etc. Ora, proprio in questi ultimi giorni e dopo che questo lavoro si era andato organizzando garantendo una certa regolarità e permettendo a famiglie e ragazzi di famigliarizzarsi con queste nuove modalità, ecco arrivare l’alt da parte del Dipartimento.  Attraverso una direttiva del Cerd si vieta alle scuole elementari e speciali l’uso di skype, zoom, ecc. obbligando tutti a utilizzare solo Moodle e Teams.

Insomma ancora una volta, in nome di una pseudo sicurezza informatica, si passa sopra le teste e il lavoro di docenti e alle sensibilità delle famiglie, imponendo con ritardo un metodo di lavoro dall’alto.

In generale ci sembra di poter dire che sia mancata una riflessione ampia e complessiva sul come gestire l’insegnamento in questo contesto e si rischia di commettere lo stesso errore con un’eventuale decisione di riapertura. Ci sembra infatti che questa sia dettata principalmente dalla necessità di “liberare” le famiglie dalla cura dei figli per permettere ai genitori di tornare al lavoro, al servizio dell’economia, e non tanto dalla preoccupazione, legittima certamente, di togliere, soprattutto alcune fasce vulnerabili di allievi, dall’isolamento sociale.

Sulla base delle considerazioni fin qui espresse, chiediamo al Consiglio di Stato:

1. Non ritiene opportuno creare un gruppo di lavoro ampio, che coinvolga tutte le componenti della scuola, per discutere come organizzare e pianificare l’insegnamento a distanza e se e come immaginare una possibile riapertura?

2. Come si sono organizzate le varie sedi di scuola media e scuola media superiore? Questa organizzazione ha permesso di garantire un’uniformità del tipo di insegnamento impartito su tutto il territorio? Queste modalità sono state in grado di cogliere le difficoltà delle famiglie e evitare che le disuguaglianze sociali, già evidenti nella scuola in presenza, si accentuassero?

3. Quante sono le famiglie che non hanno accesso a mezzi informatici e alla tecnologia? Come si è mosso il Dipartimento per colmare eventuali lacune?

4. In che modo concretamente vengono sostenute le famiglie più vulnerabili, pensiamo per esempio alle famiglie migranti, ma non solo, nella gestione della relazione con la scuola?

5. Nel caso di una riapertura delle scuole, come si pensa di permettere il rispetto delle norme di distanziamento sociale e di igiene accresciuta?

6. Si sono pensate misure per proteggere quei docenti e funzionari attivi nella scuola che appartengono alle categorie a rischio (persone malate e vicine all’età di pensionamento o con genitori anziani a carico)?

7. Con quali obiettivi pedagogici ed educativi si pensa di riaprire le scuole?

8. Come mai per le scuole elementari e per le scuole speciali non si sono date subito, come per altro richieste dai/dalle docenti, indicazioni su come procedere con l’insegnamento a distanza?

9. Sulla base di quali considerazioni si vieta oggi l’utilizzo di tecnologie alternative a Moodle e Teams?

9. Non ritiene che una decisione come quella evocata per le scuole speciali metta le docenti e i docenti in una condizione di difficoltà e rappresenti un problema per ragazzi già fragili e che necessitano di una certa routine?

Bellinzona 16 aprile 2020

Angelica Lepori, Matteo Pronzini, Simona Arigoni

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