Al presidente del Gran Consiglio
Egregio signor presidente,
“Noi veniamo da Torino”: è con queste parole che, domenica 23 febbraio, rispondeva, al giornalista della RSI che la intervistava un’anonima partecipante al corteo del Rabadan a Bellinzona. Un corteo caratterizzato, a giudizio generale, da una partecipazione record: almeno 25’000 spettatori! Poi sono continuati i bagordi fino all’apoteosi del martedì grasso del 25 febbraio, giorno di chiusura del Carnevale.
Per non essere da meno, Lugano aveva organizzato le cose in grande per la tradizionale risottata, svoltasi il 24 febbraio. Gomito a gomito, “una marea di persone”, secondo il Corriere del Ticino, ha partecipato alla manifestazione sotto gli occhi festanti e soddisfatti dell’intero Municipio.
Solo dopo tutto questo il Consiglio di Stato decide di proibire le manifestazioni (e a partire dal giovedì anche i Carnevali “ambrosiani”) e di vietare il derby di hockey tra Ambrì e Lugano.
Se riguardassimo il film che, alla fine, ha portato ad emanare alcuni divieti importanti visto il tipo di pandemia con il quale siamo confrontati (vulnerabilità particolare delle persone anziane o malate), noteremmo lo stesso colpevole ritardo: pensiamo, in modo particolare, al divieto di visite alle case per anziani.
Basterà qui ricordare che è solo il 6 marzo (dopo la scoperta che tre operatori sanitari e due ospiti di una casa anziani di Chiasso erano risultati positivi e, secondo il medico cantonale Merlani, il virus era stato probabilmente introdotto da un visitatore) che il governo decide di limitarsi a “limitare” le visite alle case per anziani, malgrado il ministro De Rosa affermi che “Siamo sulla soglia dell’epidemia, bisogna proteggere gli anziani”.
Solo il 9 marzo, cioè tre giorni dopo, il governo decide il divieto totale di visite nelle case per anziani e negli ospedali acuti.
Non diverso e sotto gli occhi di tutti quanto successo sulla chiusura delle scuole. Malgrado le pressioni dell’opinione pubblica, malgrado le richieste di direttori e docenti, il governo decide l’11 marzo di chiudere solo le Scuole medie superiori e le università; inizia poi una sceneggiata (con il governo, compatto, a dire che la chiusura delle scuole non serve) che si concluderà venerdì 13 marzo, con l’annuncio della chiusura di tutte le scuole a partire da lunedì 16 marzo.
Decisione di fatto presa poiché lo stesso governo federale aveva nel frattempo deciso di chiudere scuole, bar, ristoranti, etc. a partire dal 16 marzo e fino al 19 aprile.
Ci fermiamo qui in questa breve ricostruzione che segnala errori, incertezze, indecisioni che, è evidente, hanno avuto conseguenze importanti sullo sviluppo della pandemia in Ticino. Sviluppi dei quali sicuramente si deve essere reso conto il Consiglio di Stato che poi ha cercato di correre ai ripari, di fronte allo sviluppo della stessa, prendendo misure sicuramente più incisive come quelle di chiudere i cantieri e le attività produttive non necessarie. Chiusura che settimana dopo settimana è sempre più rimessa in discussione, sia dalle risoluzioni governative settimanali che dal comportamento irresponsabile di diverse aziende.
Malgrado le date richiamate qui sopra (e gli eventi sicuramente dubbi come i Carnevali di Bellinzona e Lugano) nella conferenza stampa del 24 febbraio il governo dichiarava che “ha preso atto del resoconto del gruppo di coordinamento cantonale e ha deciso di non imporre alcuna restrizione su eventi pubblici, scuole, bar e ristoranti, al contrario di quanto hanno deciso alcune regioni italiane”. 48 ore dopo, come abbiamo ricordato qui sopra, il governo decide di proibire i carnevali ancora da tenere, di vietare le partite di hockey e le gite scolastiche fino a fine marzo.
Non si capisce che cosa abbia spinto a questo, seppur minimo, cambiamento visto che, ancora il 24 febbraio, confermando di non voler prendere misure il governo aveva, deciso, all’unanimità, sulla base delle proposte del gruppo di esperti creato qualche settimana prima.
Tutti questi elementi avrebbero dovuto spingere perlomeno ad una discussione su modi e forme con le quali venivano assunte queste decisioni; in particolare avevamo espresso la necessità che una discussione su questo modo di procedere (sostanzialmente reattivo e non preventivo) fosse sottoposto ad una discussione parlamentare.
Per questo l’MPS aveva sottoposto un’interpellanza per la seduta del GC dello scorso 9 marzo; sulla base delle risposte del governo i deputati dell’MPS avevano chiesto una discussione generale: ci sembrava che, di fronte ad una catastrofe che ormai si evidenziava all’orizzonte, fosse il minimo che il Parlamento cantonale avesse uno scambio di opinioni. Ma, praticamente tutti i partiti, hanno rifiuto la proposta dell’MPS di una discussione generale.
Poi, nei giorni successivi, abbiamo assistito alla pubblicazione di documenti provenienti dal mondo sanitario che mostravano come, da tempo, gli esperti avessero spinto verso misure molto più radicali e che, così pare di capire, non abbiano ricevuto la necessaria attenzione da parte del governo.
Il brevissimo sviluppo dei fatti (se ne potrebbero aggiungere molti altri) ci spinge a farle presente la necessità che, ritornata una situazione di normalità sanitaria, il Parlamento indaghi (se necessario anche attraverso la costituzione di una CPI) su come sono andate le cose, sulle decisioni prese e su quali basi sono state prese (avendo magari accesso ai resoconti del gruppo di esperti, così come alle prese di posizione – pubbliche e non – di altri esperti); in particolare si tratterà di verificare se erano possibili, auspicati e auspicabili altre decisioni che avrebbero verosimilmente avuto un impatto diverso sulla sviluppo dell’epidemia.
Le segnaliamo formalmente questa nostra intenzione, riservandoci, di presentare una formale richiesta in questo senso.
Per il Gruppo MPS-POP-Indipendenti
Matteo Pronzini, Simona Arigoni, Angelica Lepori