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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in questi mesi ha prima contribuito a coprire gli occultamenti da parte di Pechino del diffondersi dell’epidemia del nuovo coronavirus, poi ha dato sistematicamente sostegno alla propaganda del regime di Xi Jinping, fino a toccare il ridicolo nella propria campagna contro Taiwan. Ma i suoi errori non si limitano all’appoggio dato al regime cinese.

[Stiamo preparando per Crisi Globale un’ampia analisi in chiave storica e politica del diffondersi dell’epidemia di Covid-19 in Cina e nell’Asia Orientale, e da lì nel resto del mondo. Anticipiamo qui la ricostruzione del ruolo svolto dall’OMS, alla luce della stretta attualità del tema]

Sulle crisi che hanno in qualche modo portata continentale o mondiale va regolarmente a inserirsi qualche organizzazione internazionale, il più delle volte dell’Onu. Queste organizzazioni hanno spesso compiti poco utili dal punto di vista pratico, ma sono in prima linea in ambito mediatico con il compito di svolgere il ruolo di soggetto apparentemente super partes, sebbene in realtà siano quasi sempre al servizio di precisi interessi, o attraversate da scontri più o meno sotterranei tra schieramenti diversi. Questa constatazione vale anche per l’operato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in relazione alla crisi del nuovo coronavirus. Più specificamente, nella prima fase della pandemia di Covid-19 l’OMS è risultata essere una macchina al servizio della Cina e successivamente ha dato sostegno con i propri comportamenti alle campagne di propaganda politica di Pechino. A parte questo, più in generale, la linea che ha seguito ha causato concreti danni, a fronte dei quali l’organizzazione vanta ben pochi meriti nella crisi in corso. Nonostante questo, innumerevoli fonti, ivi comprese la maggior parte di quelle di sinistra, continuano a mettere un bollino di autenticità su dati e considerazioni pronunciando la formula di rito “come ha certificato l’OMS”. Si tratta di un’ennesima occasione persa a sinistra per criticare quelli che sono strumenti di burocrazie arroganti, nel migliore dei casi, o di regimi crudelmente oppressivi, nei peggiori. Tra l’altro la latitanza nel denunciare in un’ottica democratica l’evidente ruolo di connivenza dell’OMS con la Cina, e le enormi responsabilità di quest’ultima, lascia pieno spazio ai reazionari come Donald Trump, che hanno così gioco facile nel muovere accuse a Tedros e Pechino al solo ipocrita scopo di cercare di distrarre l’attenzione dalle proprie intenzionali e quindi criminali omissioni di fronte all’epidemia.

Ma andiamo a esaminare in concreto come si è comportata l’organizzazione in questi mesi. L’OMS, informata dalla Repubblica Popolare Cinese il 31 dicembre dell’esistenza di un nuovo coronavirus ha nelle settimane successive limitato nell’essenza il suo ruolo all’avallamento delle decisioni o dei desideri di Pechino. Per esempio, il regime cinese nelle prime settimane di gennaio si è posto come obiettivo essenziale quello di celare la vera entità del contagio e ciò per svariati motivi, uno dei quali era evitare che il suo sistema economico fosse danneggiato da un isolamento internazionale. Il 9 gennaio l’OMS emetteva un comunicato mirato a tutelare gli obiettivi politici di Pechino e nel quale, dopo avere specificato che con ogni probabilità i numerosi casi di polmonite atipica in Cina erano dovuti a un nuovo coronavirus, si scriveva: “Nella scorsa settimana persone con sintomi di polmonite e una storia di viaggio a Wuhan sono state identificate in aeroporti internazionali. L’OMS non consiglia alcuna misura specifica per i viaggiatori. L’OMS sconsiglia l’applicazione nei confronti della Cina di qualsivoglia limitazione dei viaggi o dei rapporti commerciali”. Già assurde allora, tali parole lo suonano ancora di più oggi. Il 14 gennaio l’OMS si era lasciata scappare che era in atto una “limitata” trasmissione del coronavirus da persona a persona, ma il giorno stesso ha fatto dietrofront affermando che non ve ne erano le prove, aderendo così alla posizione ufficiale cinese rivelatasi poi deliberatamente falsa. L’OMS ha riconosciuto poi la trasmissione da persona a persona solo il 23 gennaio, cioè in coincidenza con l’ammissione di tale trasmissione da parte di Pechino, nonostante in precedenza fosse stata già confermata da altri paesi. Sempre il 23 gennaio, l’OMS raccomandava controlli agli aeroporti con circa tre settimane di ritardo rispetto ai paesi più previdenti come Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong. E sempre solo il 23 gennaio ha tenuto la prima riunione del proprio Comitato di Emergenza, nonostante il fatto che fosse evidente già da settimane l’esistenza e la circolazione di un nuovo coronavirus. Questa convergenza delle tempistiche dell’OMS sulla data del 23 gennaio non appare casuale, visto che è la stessa data in cui Pechino ha cessato la propria inazione di fronte al diffondersi dell’epidemia decretando il blocco di Wuhan e dello Hubei. Successivamente l’OMS ha rimandato la dichiarazione di un’emergenza internazionale fino al 30 gennaio, sempre per non mettere in imbarazzo Pechino. Inoltre, come ha rilevato Antoine Bondaz, “fin dall’indomani delle sue prime riunioni sul tema, il 22 gennaio, l’OMS ha preso a diffondere gli argomenti del governo cinese, utilizzando il suo medesimo linguaggio”. Ne sono una testimonianza lampante le parole pronunciate il 28 gennaio dal segretario generale dell’OMS, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, dopo un incontro con Xi Jinping. Nonostante le evidenti latitanze del regime di quest’ultimo e i disastri di cui si è reso colpevolmente responsabile, Tedros dichiarava testualmente (si veda anche qui): “Xi Jinping è stato sempre personalmente al comando” e ha sempre “organizzato in prima persona le operazioni”. “La guida e l’operato del presidente Xi Jinping dimostrano la sua grande capacità di leadership. […] Le autorità cinesi hanno dato prova di velocità cinese ed efficienza cinese”. Tedros dispiega qui tutti i capisaldi della retorica del regime e della narrazione ufficiale di Pechino riguardo alla crisi del coronavirus: il ruolo personale di leadership svolto da Xi “sempre” e “in prima persona”, il culto della sua personalità, le considerazioni essenzialiste sul modello cinese. Un linguaggio che si ripete nel rapporto che ha fatto seguito alla visita in Cina di una delegazione dell’OMS, nell’ambito di una missione congiunta con un pari numero di partecipanti nominati dal governo cinese. La visita, rimandata per quasi un mese, si è infine tenuta dal 14 al 26 febbraio. Il relativo rapporto di 40 pagine (leggibile qui in inglese nella sua integralità) è un documento del tutto inutile, se non a Xi Jinping e alla sua propaganda: riassume nella prima parte dati già abbondantemente noti dai giornali e da fonti internet, si spende poi in lunghe lodi sperticate per il regime cinese e per il suo “leader”, e verso la chiusura, a pag. 29-30, riporta una serie di grafici che evitano in modo vergognoso di riportare le tappe degli occultamenti delle autorità di Pechino, tanto da sembrare redatti da responsabili della propaganda del PCC. D’altronde, in nessuna parte del rapporto relativo alla missione vengono fornite informazioni riguardanti l’applicazione di metodi per verificare la veridicità o meno dei dati forniti dalle autorità cinesi (ricordiamo che la missione era formata per metà da persone selezionate dalle autorità di Pechino) e dalla dettagliata descrizione dei lavori della Missione congiunta (pag. 25-26) risulta evidente che nella sostanza la sua fase conoscitiva si è limitata a un tour di istituzioni, stazioni ferroviarie, ospedali, campus, dogane, sedi governative, aeroporti e quant’altro, sempre con la guida di ospiti cinesi selezionati dal regime.

Infine, la dichiarazione di pandemia mondiale da parte dell’OMS è arrivata addirittura solo l’11 marzo, quando da almeno un mese era chiara la diffusione del coronavirus nei cinque continenti: anche in questo caso c’era evidentemente la preoccupazione di rimandare il momento in cui si riconosceva ufficialmente la portata globale del contagio, di per se stessa motivo di pesante imbarazzo per il regime di Xi Jinping, a quello esatto in cui detto regime poteva controbilanciare l’effetto del conseguente danno di immagine presentandosi al mondo come il “vincitore” della lotta contro il virus. Naturalmente le dichiarazioni di emergenza dell’OMS non contano quasi nulla da un punto di vista strettamente pratico, ma rimandarle ha di non poco contribuito al clima di generale sottovalutazione del pericolo del coronavirus, facilitandone il diffondersi.

Già in passato, comunque, erano emersi chiari segni della sudditanza dell’OMS ai gerarchi cinesi. Nel 2019 per esempio l’OMS ha inserito la Medicina Tradizionale Cinese (MTC) nell’ICD, il suo elenco delle malattie e dei relativi rimedi. La MTC si basa su cure come gli infusi o l’agopuntura per le quali non è mai stata dimostrata scientificamente in modo documentato alcuna proprietà curativa (sull’argomento ha scritto una dettagliata analisi in italiano Olmo Viola sulla rivista Micromega). Potrebbe essere promossa da una rivista di erboristeria ai suoi lettori curiosi, non da un’organizzazione alla cui base ci dovrebbero essere approcci scientificamente comprovati. La MTC in realtà è diventata uno dei cavalli di battaglia di Xi Jinping fin dal 2016 per motivi di evidente natura politica e non terapeutica: da una parte la MTC alimenta gli umori nazionalisti che si basano sulla fantasia di una supposta essenzialità della nazione cinese e della sua tradizione, dall’altra consentono di risparmiare sulle spese sanitarie, visto che suggerire a un malato di bere una tisana o di farsi fare un’agopuntura non comporta alcun costo, mentre fornirgli un’assistenza medica e farmaceutica costa molto, e infatti lo stato cinese la nega a larghe fette della popolazione, o la fornisce alla maggioranza dei cinesi in misura del tutto insufficiente. Ciò spiegherebbe anche perché in Cina i medici che osano criticare in pubblico la MTC finiscono in prigione. In più, la MTC rappresenta un business da miliardi di dollari dei cui profitti possono godere molti capitalisti sostenitori del regime. Va infine osservato che la MTC fa in qualche modo da terreno di coltura dei coronavirus, visto che tra gli ingredienti dei suoi “medicinali” vi sono animali selvatici (per es. le scaglie del pangolino), che quindi grazie alla diffusione della MTC vengono sfruttati intensamente, creando così le condizioni ideali per la generazione di altri nuovi coronavirus. L’OMS quindi di fatto si è fatta complice di tutto questo.

Un ulteriore esempio della subalternità dell’OMS a Pechino è dato dal caso di Taiwan. Il paese, come è noto, ha uno status del tutto particolare perché l’Onu riconosce solo la Repubblica Popolare Cinese, che boicotta duramente ogni paese o azienda che accenni anche solo indirettamente a un’identificazione di Taiwan come entità a se stante. Quindi l’isola è da oltre 70 anni nei fatti uno stato indipendente, ma non lo è per la diplomazia internazionale, ivi compresa quella Usa, paese che pure offre supporto logistico e militare a Taiwan. L’OMS, in quanto agenzia Onu, non ha mai riconosciuto Taiwan, ma fino al 2016 la aveva accettata con il ruolo di osservatore, ruolo che consentiva a Taipei di fornire dati all’OMS e di essere coinvolta nelle sue iniziative. Perché “fino al 2016”? Per il semplice motivo che in quell’anno nell’isola è stata eletta, con un voto democratico, la presidentessa Tsai Ing-wen, duramente osteggiata da Pechino per la sua linea indipendentista, per quanto moderata. L’OMS sembra quindi avere immediatamente trasformato il volere del regime di Xi in propria politica. In teoria, se l’OMS fosse un’organizzazione che contribuisce con efficacia alla lotta contro le epidemie coordinandola con razionalità, tenere fuori un paese di 24 milioni di abitanti geograficamente in primissima linea per quanto riguarda il nuovo coronavirus sarebbe una pura follia. Ma l’OMS non lo è, e non a caso Taiwan, nonostante la sua enorme esposizione al virus per motivi sia geografici che demografici, è il paese che più di ogni altro al mondo ha ottenuto risultati concreti nella lotta per contenerlo, probabilmente anche perché non ha seguito i consigli dell’OMS e ha adottato politiche opposte a quelle della Cina. E’ quindi ovvio che ogni domanda o accenno riguardante Taiwan metta ancora oggi in totale imbarazzo l’OMS. Chi vuole farsi quattro risate (amare) può guardarsi questo breve surreale video in cui Bruce Aylward, assistente del segretario dell’OMS e capo della sua missione in Cina a febbraio, fa sfacciatamente finta di non sentire la domanda di una giornalista su Taiwan e poi chiude la comunicazione. Un minuto di immagini che sono un po’ il simbolo del punto a cui si è ridotta un’organizzazione che pure un po’ di decenni fa dei meriti se li era guadagnati, per esempio nella lotta contro il vaiolo. A mettere infine la ciliegina sulla torta è giunto il segretario generale Tedros, che all’improvviso “ha riconosciuto” Taiwan a modo suo, quando in un’intervista dell’8 aprile ha dichiarato di essere stato “attaccato da ingiurie razziste. Questo attacco è venuto da Taiwan. Il ministero degli esteri sa di questa campagna e non si è dissociato da essa”. Tedros non ha spiegato qual è la campagna a cui si riferisce, né alcuna fonte giornalistica è riuscita a capirlo, dato che in questi mesi, come si può facilmente verificare cercando negli archivi, non vi è stata alcuna campagna razzista taiwanese nei confronti del segretario generale dell’OMS o di altri africani come lui. La propaganda di Pechino si è subito mossa in sintonia con le dichiarazioni di Tedros: in Twitter come per magia sono subito comparsi molti post di “taiwanesi” che si scusano con Tedros per i loro passati messaggi razzisti nei suoi confronti. In realtà è la Cina continentale amica di Tedros ad avere da tempo un macroscopico problema di razzismo, alimentato tra gli altri anche dalla TV di stato, diffuso da blockbuster come “Wolf Warrior 2” che riciclano in salsa Xi Jinping il razzismo antinero hollywoodiano, assistita da organi di polizia e amplificato dai social cinesi in cui il razzismo non viene colpito dalla censura, che tappa la bocca solo a chi avanza rivendicazioni democratiche e non ai razzisti. Questa xenofobia, tollerata e coadiuvata dal regime di Pechino, prende di mira in particolare proprio gli africani. Tra i casi più evidenti vi è quello degli immigrati africani che vivono nel quartiere di Canton detto Little Africa, che durante l’epidemia sono stati oggetto di trattamenti crudeli, tant’è che l’Unione Africana, i governi di Nigeria, Ghana e Kenya recentemente si sono visti costretti a denunciarlo pubblicamente.

Naturalmente, anche se una campagna razzista taiwanese contro Tedros ci fosse veramente stata (ma rimane la domanda: se fosse così, perché Tedros non la ha denunciata quando si è verificata?), non avrebbe cambiato di una virgola il fatto che l’OMS ha coperto sistematicamente un regime criminale e le sue politiche che hanno portato alla pandemia globale. Come osserva Brian Hioe sul sito di sinistra “New Bloom”, in un’analisi che consigliamo di leggere nella sua interezza, l’accusa di Tedros a Taiwan di cercare di politicizzare una crisi sanitaria in realtà è un tentativo di incolpare la vittima di quanto è stato commesso nei suoi confronti. Nell’approfondita analisi di un’altra fonte di sinistra, l’americano “The Nation”, Wilfred Chan, tra le tante altre cose interessanti, riporta anche alcuni particolari grotteschi: “Solo nel corso di questa epidemia l’OMS ha continuato a cambiare il modo in cui si riferisce a questo paese di quasi 24 milioni di abitanti, passando da ‘Taiwan, Cina’ a ‘Taipei’, e poi al nuovo e bizzarro ‘Taipei e i suoi dintorni’. Inoltre, osserva Chan, seguendo il modello dell’OMS non pochi paesi [e tra essi l’Italia – N.d.R.] hanno esteso a Taiwan le limitazioni di viaggio da essi varate, come se fosse parte della Cina e nonostante avesse un numero di contagi infinitamente inferiore. Chan conclude, e sottoscriviamo le sue parole: “l’inclusione o meno di Taiwan nell’OMS non è però quello di cui dovremmo discutere. Quella che dovrebbe invece essere messa in questione, piuttosto che la legittimità di Taiwan, è la legittimità del sistema che l’OMS rappresenta”.

Perché l’OMS, e in particolare Tedros e i suoi più stretti collaboratori, sono così schierati con la Cina? I dati dicono che gli Stati Uniti, e non la Cina, sono i maggiori finanziatori dell’organizzazione, anche se va precisato che il budget di quest’ultima si basa su contributi molto diversificati e tra di essi svolgono un ruolo importante anche quelli dei privati, tra i quali non mancano le società del settore farmaceutico. E in effetti in passato l’OMS si è piegata in più occasioni alla volontà americana. Ma da anni la Cina ha condotto una campagna per conquistare la guida dell’OMS, che è riuscita a ottenere nel 2006 piazzando con successo la burocrate hongkonghese Margaret Chan. Se oggi Tedros è alla guida dell’OMS lo deve essenzialmente al sostegno della Cina. Non è un caso, come segnala sempre Chan, che abbia subito lodato la crescita del commercio cinese con l’Africa e reiterato la sua adesione al principio di Una sola Cina, professato da Pechino. Ma forse c’è un motivo in più per la scelta della dirigenza dell’OMS di schierarsi spudoratamente con la Cina. L’organizzazione internazionale era stata negli ultimi anni criticata fortemente da innumerevoli fonti, una prima volta in occasione della pandemia di H1N1 (con l’accusa di avere ecceduto nel lanciare un allarme) e una seconda volta in occasione della gestione fallimentare dell’epidemia di Ebola in Africa nel 2014. Da allora la sua stessa esistenza come organizzazione che conta è stata messa in forse e Tedros, si può ipotizzare, potrebbe essersi convinto che per garantire la sopravvivenza dell’OMS e del ceto burocratico che la costituisce è più conveniente affidarsi per intero al sostegno di un regime semidittatoriale, ma coeso, piuttosto che cercare di trovare un equilibrio tra diversi paesi, soprattutto quando i più importanti centri di potere come gli Usa e l’Ue hanno dirigenze divise e spesso sono guidati da personaggi in continua oscillazione come Donald Trump.

Ma all’OMS vanno attribuite altre gravi responsabilità che non c’entrano nulla con il servilismo nei confronti del regime cinese. Ricordiamo che quando è emerso in Italia il caso del cosiddetto “paziente n. 1” a Codogno il 20 febbraio è risultato evidente quanto erano carenti i protocolli raccomandati dall’OMS che, nel momento in cui ormai il coronavirus era ampiamente diffuso in tutto il mondo, prevedevano ancora l’effettuazione di test solo a chi era stato in Cina. Gli ospedali hanno applicato un po’ ovunque nel mondo tali protocolli perché rigirati loro in automatico dalle rispettive autorità sanitarie nazionali o perché ingenuamente ritenevano che la supposta autorevolezza dell’OMS ne garantisse la validità. E più di recente abbiamo visto altri suoi errori, risultati con ogni probabilità letteralmente fatali per molte persone una volta adottati da autorità nazionali, che vanno dalla raccomandazione di tenere una distanza interpersonale di solo un metro, fino all’esortazione a condurre test in modo massiccio arrivata solo quando era troppo tardi, il 5 marzo, e infine al consiglio di non indossare mascherine. L’OMS è un’organizzazione dal budget di base 2020 di 3,8 miliardi di dollari e si tratta evidentemente di soldi mal spesi, per usare un eufemismo. La cosa migliore da fare in questo momento sarebbe chiudere l’organizzazione, confiscarne i fondi e creare una rete mondiale autogestita di lavoratori del settore medico, sanitario e della ricerca, che hanno dato prova in questi mesi di avere grandi capacità umane e professionali, sicuramente enormemente superiori a quelle dei costosi burocrati dell’OMS.

*articolo apparso sul sito https://crisiglobale.wordpress.com