Le decisioni annunciate oggi dal Consiglio Federale, sia quelle – già annunciate e in vigore dall’inizio di questa settimana, sia, soprattutto, quelle della cosiddetta fase 2 in vigore dal prossimo 11 maggio rappresentano una decisa accelerazione nel processo di “ritorno alla normalità”.
Scuole dell’obbligo, negozi e mercati, ristoranti, trasporti pubblici (con l’orario normale), attività sportive: se escludiamo bar, scuole superiori, aviazione e qualche settore minore (che dovrebbero tuttavia essere interessate dalla terza fase prevista per l’8 giugno) abbiamo praticamente un ritorno a pieno regime delle attività economiche. Attività economiche che, d’altronde in grandissima parte del paese non si erano per nulla fermate, continuando in particolare nei settori industriali, dell’edilizia e di buona parte del terziario.
La cosa non sorprende: non ci si poteva attende altro dal governo di uno dei paesi che, storicamente, si è caratterizzo per il suo alto livello di liberalizzazione? Un paese nel quale è profondamente radicata l’idea che i meccanismi di mercato vengano prima di tutto e che in essi, nelle regole che al suo interno si sviluppano, si trovino le risposte adeguate per il progresso di tutta la società e la soluzione dei diversi problemi.
E a giustificare questo mutamento nessuna seria e documentata riflessione dal punto di vista sanitario o epidemiologico; la misura di come queste cose poco contino l’abbiamo vista nei giorni scorsi con le dichiarazioni surreali di “mister Coronavirus” Koch: ovvero quando la scienza e le sue evidenze vengono piegate alle esigenze dei progetti politici.
Naturalmente sappiamo che questa potenza dei meccanismi di mercato e della libertà economica è ben lungi dal risolvere i problemi sociali e sanitari con i quali siamo confrontati. Ma, sembra evidente, la scelta del governo svizzero è chiara: costi quel che costi, anche in termini sanitari, l’economia deve riprendere a pieno regime, in particolare quella che deve orientarsi sui mercati mondiali: quel che conta è che queste imprese possano guadagnare nel confronto concorrenziale con le altre grandi imprese e avere dei vantaggi in termini competitivi dopo la pausa forzata del coronavirus.
Ancora una volta, se ma ce ne fosse stato bisogno, il Consiglio federale si è rivelato per quello che è: non certo un interprete di una inesistente e presunta “unità nazionale”, un organismo al di sopra delle parti; ma un fedele esecutore di una politica che corrisponde agli interessi fondamentali delle classi dominanti di questo paese.
Non a caso la direzione in cui ci si muove è quella auspicata dal grande padronato e dalla destra politica che, a più riprese in questi giorni, hanno criticato una presunta eccessiva prudenza del Consiglio federale nell’attivare le misure di riapertura. Queste critiche da destra (e da quella anche estrema come l’UDC) non hanno trovato alcuna resistenza: quella che dovrebbe essere la “sinistra” si è in realtà presentata come la portavoce del Consiglio federale. Ed è sconsolante, non certo sorprendente, vedere il ruolo giocato (anche nella conferenza stampa odierna) dai due rappresentanti “socialisti” in governo, d’altronde appoggiati in pieno dal loro partito.
Nemmeno segni di vita arrivano dal movimento sindacale (o quel che ne resta in termini di capacità di mobilitazione); in queste settimane, con qualche momentanea eccezione, lo si è visto fondamentalmente allineato alle posizioni del governo federale. Lo stesse dinamiche si sono avute (dal punto di vista politico e sindacale) a livello dei governi cantonali.
Di fronte a tutto questo non ci resta che continuare nella nostra opposizione e denuncia di queste decisioni dietro alle quali non vi è altro che il progetto di “ripartire” nella stessa direzione di prima, nella stessa logica economica e sociale di prima, dimenticando tutti quei “buoni propositi” apparsi qua e là.
E tutte le decisioni che verranno prese nei prossimi giorni (certo ribadendo, spergiurando, raccomandando, garantendo che verranno osservate tutte le misure di igiene e di distanziamento sociale) non faranno altro che contribuire a questa idea della necessità di un ritorno alla normalità del capitalismo quotidiano; come, ad esempio, quella di aprire (certo, con prudenza e attenzione) le scuole dell’obbligo in Ticino.
Per noi appare più che mai necessario, anche di fronte a decisioni come quelle di oggi, rilanciare e approfondire la nostra critica anticapitalista, sottolineando la irriformabilità di questo sistema e della sua logica, ormai sempre più distruttiva.
Ripetiamolo ancora una volta perché ce n’è bisogno: la nostra vita vale più dei loro profitti!