Goldman Sachs ha attirato l’attenzione di molti con le sue previsioni secondo le quali il prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti dovrebbe diminuire del 34% nel secondo semestre di quest’anno. Si tratta di un dato significativo, una diminuzione tre volte e mezzo superiore al peggior trimestre della storia economica americana, almeno da quando sono iniziate le statistiche trimestrali del PIL nel 1947. Il trimestre fortemente recessivo in questione era il primo del 1958 che marcava l’inizio di una forte recessione (la prima dopo 13 anni di crescita) che si è coincisa, tra l’altro, con un’“influenza asiatica” (di tipo A-H2N2- che colpì gli Stati Uniti durante l’estate). Ecco un piccolo scorcio su questa statistica.
Questa cifra del 34% è annualizzata, ciò significa che rappresenterebbe la diminuzione totale se il tasso trimestrale si mantenesse durante un anno intero. Una diminuzione annualizzata del 34% corrisponde a una diminuzione del 9.9% per un solo trimestre. È enorme, ma almeno non è un terzo.
Ma, a meno di essere un esperto di queste questioni, forse non sapete che non ci siamo mai completamente ripresi dalla recessione del 2008-2009. È quello che mostra il grafico qui di seguito. La linea indicata come “tendenza” (trend) si basa sul tasso di crescita medio del 2.1% dal 1970 al 2007, l’anno che precede di poso la Grande Recessione (2008-2009). La linea “reale” (actual) è, come indica il suo nome, il PIL per abitante dichiarato (pro capite). La stima di Goldman Sachs per il secondo trimestre è indicata da una linea punteggiata. Se questa previsione si realizzasse, avremmo cancellato in qualche mese l’insieme del ciclo di ripresa/espansione 2009-2019.

Notate come, dal 1970 al 2007, la linea reale (actual) rimbalza attorno alla tendenza (trend), la supera in periodo di crescita (raggiungendo un picco verso il 1990 e il 2000, per esempio), e scende al disotto in periodo di recessione (come nel 1975 e nel 1982). Il reale (actual) non si è mai allontanato molto dalla tendenza (trend), fino a quando non ha registrato una forte caduta nel 2008 e 2009, dalla quale non si è mai veramente ripreso. Dal 2009, il tasso di crescita si è assestato in media all’1,6%. L’anno scorso, la crescita economica sotto Trump, che era considerata come la più importante di tutti i tempi, è riuscita a tornare alla media precedente il 2008, vale a dire al 2,1%, una media che include due recessioni profonde (1973-75 e 1981-82).
A fine 2019, il tasso reale era inferiore del 13% alla tendenza. Alla fine della recessione del 2008-2009, era inferiore del 9% alla tendenza. È impressionante constatare come, malgrado un decennio di espansione sia sceso ancora più in basso della tendenza durante più della metà dei trimestri seguenti la fine della Grande Recessione. Lo scarto è oggi uguale a 10’200 dollari per persona (PIL pro capite), vale a dire una perdita di reddito permanente, come dicono gli economisti.
Questo si traduce letteralmente in una perdita di 10’000 dollari di reddito personale; ci sono molte altre cose nel PIL, come gli investimenti. E i guadagni di reddito personali sono concentrati nelle fasce superiori da più decenni. Questo non significa che l’americano medio sia di 10’000 dollari più povero di quanto non fosse se l’economia si riprendesse “normalmente”, come dopo il 2009. Ma significa che disponiamo di molte meno risorse materiali di quanto dovremmo averne. E questo suggerisce che ci sono delle gravi patologie soggiacenti a una “prosperità” superficiale e spesso bizzarra.
Ebbene, tutto questo oggi è finito. Indipendentemente dalla cifra esatta, è praticamente certo che siamo entrati in una forte recessione, che potrebbe rivaleggiare con quella degli anni 1930, ma a un ritmo molto più veloce. Abbiamo vissuto in qualche mese quello che è successo in tre o quattro anni dopo il crack borsistico del 1929.
Goldman si aspetta una ripresa rapida più avanti, durante l’anno. Trovo difficile crederlo. Uno shock come quello del COVID-19 non è facile da superare. Anche se ritrovassimo il nostro equilibrio tra due o tre trimestri, subiremo un’altra perdita di reddito permanente (pauperizzazione), a meno che non si proceda a delle serie riforme strutturali.
Certo il PIL è una misura imperfetta del benessere materiale. Non dice nulla su ciò che l’economia produce, sul costo umano ed ecologico, né sulla maniera in cui è distribuito. Ma il PIL è un abbreviazione utile per i principi attorno a quali la nostra società è organizzata. Questa analisi permette di spiegare perché le cose sono così insoddisfacenti malgrado le gioiose prime pagine economiche degli ultimi 5-7 anni. E non fa che peggiorare, e probabilmente non abbiamo ancora visto il peggio.
* Doug Henwood è l’editore del Left Business Observer e interviene sul canale TV Behind the News. Questo articolo è stato pubblicato nella rivista americana Jacobin il 4 aprile 2020). La versione italiana, condotta sulla base della traduzione francese apparsa sul sito www.alencontre.org. è stata curata dal segretariato MPS.