La nostra richiesta di dimissioni di Bertoli e Berger, lo ripetiamo per chi non lo avesse capito (o facesse finta di non capirlo: basta leggere il documento con il quale l’abbiamo chiesta) non c’entra proprio nulla con la decisione di “riaprire” le scuole in quanto tale.
Se dovessimo chiedere le dimissioni di un ministro ogni volta che non siamo d’accordo con le decisioni (e anche importanti) che esso prende, passeremmo il tempo a chiedere le dimissioni di questo o quell’altro oppure, una settimana sì e una no, dell’intero governo.
La decisione di aprire le scuole, così come l’ha formulata il DECS e il governo, non ci piace. Abbiamo scritto che essa è “un’operazione inutile, diseducativa e approssimativa”; come si può vedere non abbiamo invocato né questioni di ordine sanitario (ancora aperte tuttavia, visto anche l’oscillare dei pareri scientifici), né ci siamo pronunciati “per principio” contro qualsiasi forma di apertura. Tanto è vero che, come molti altri, abbiamo sostenuto l’appello del Movimento della scuola intitolato significativamente “Riaprire le scuole l’11 maggio? Come riaprire e che scuola riaprire?”, tutt’altro che una dichiarazione di non entrata in materia. Su questo tema le opinioni possono divergere e, lo ripetiamo, sarebbe stato veramente stupido chiedere le dimissioni per una decisione, seppur importante, che non condividiamo.
La ragione di fondo, lo abbiamo scritto, è un’altra e solo chi non vuol capire non la capisce. Il modo con il quale questa decisione è stata presa dal DECS (senza ascolto e considerazione di qualsiasi proposta alternativa sulle modalità di riapertura) è stata l’ennesima dimostrazione di un determinato modo di gestire la scuola che l’equipe Bertoli-Berger ha imposto in questi anni.
Ed è proprio contro questa conduzione autoritaria, arrogante e irrispettosa che si indirizza la nostra richiesta di dimissioni. Diciamolo chiaramente: abbiamo detto ad alta voce quello che centinaia e centinaia, vedi migliaia di docenti in Ticino bisbigliano in aula docenti dopo essersi assicurati che non vi siano nei paraggi orecchie troppo indiscrete. In realtà, dobbiamo correggerci: dopo il disastro giro di presentazione nei diversi collegi del progetto La scuola che verrà, alcuni di questi collegi (citiamo a memoria Losone) ebbero il coraggio di scrivere all’accoppiata Bertoli Berger che non volevano più a vere a che fare con loro… È questo il clima che si respira nella scuola ticinese.
Un clima che investe in modo “totalitario” anche gli orientamenti pedagogici, il modo di fare scuola, dominato ormai dal pensiero unico. Guai se in un testo, sia un programma o delle semplici linee direttive, non si fa riferimento, quale orientamento pedagogico indiscutibile, all’insegnamento per competenze: viene considerato un atto di lesa maestà!
Non che i nostri non abbiamo i loro sostenitori: un clima di questo genere favorisce a lungo andare, oltre che l’opposizione di molti, anche gli allineamenti, le genuflessioni, i rinnegamenti. E molto schiene si sono piegate. Non le nostre!