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Tutti i discorsi sulla solidarietà, sulla necessità di “stare uniti”, sul “siamo tutti nella stessa barca” cominciano a dimostrarsi per quello che sono: un ignobile artificio retorico per nascondere la brutalità con la quale il padronato ha affrontato questa prima fase della crisi pandemica (che si inserisce in una crisi economica che covava da tempo, come un virus) e con la quale intende affrontare la “ripartenza”. Dalla barca, sulla quale è solidamente installato ai posti di comando i padronato, cominciano ad essere gettati a mare diversi passeggeri, cominciando dai più deboli.

Parliamo dei 18 licenziamenti intimati alla AGIE di Losone, appartenente a uno dei gruppi più importanti dell’industria svizzera metalmeccanica, il gruppo Georg + Fischer. L’azienda aveva già licenziato, un anno fa, altri 15 dipendenti, alcuni con decine di anni di anzianità di lavoro. Licenziamenti che questa volta riguardano lavoratori interinali, i più deboli sul mercato del lavoro, tutti lavoratori, sembrerebbe dalle prime informazioni, residenti in Ticino e che andranno ad ingrossare la fila dei disoccupati che, dopo la crescita del mese di marzo, sicuramente vedremo ingrossarsi con i dati del mese di aprile che verranno pubblicati tra poco.

Una brutalità che avevamo già visto e denunciato con la vicenda Mikron (e i suoi 100 licenziamenti): oggi è un’altra azienda di un altro grande e ricco gruppo ad imboccare la stessa strada.

Un’azienda che, ancora pochi giorni fa, ha ribadito, nel corso dell’assemblea degli azionisti, di non temere per il futuro, confermando gli obiettivi di crescita per fatturato e profitti. E decidendo di versare ai suoi azionisti lo stesso dividendo dello scorso anno (25 franchi ad azione), a conferma di una progressione continua della remunerazione del capitale: basti ricordare la serie dei dividendi per azione degli ultimi 6 anni (2015/17Fr.- 2016/18 Fr. – 2017/20 Fr. – 2018/ 23 Fr. – 2019/25 Fr. – 2020/25 Fr.) per rendersi conto degli enormi spazi di manovra finanziari di cui dispone questo gruppo.

E, sempre la recente assemblea degli azionisti del 15 aprile ha ribadito il versamento del dividendo, ignorando le indicazioni di coloro che chiedevano al mondo delle imprese di rinunciare in parte o in tutto a questi dividendi e di reinvestirli nell’azienda. Illusioni e inviti che non possono che cadere nel vuoto di fronte alle esigenze di redditività del capitale investito, anche nel bel mezzo della tragedia umana e sociale nella quale viviamo.

D’altronde questo appello è stato raccolto solo da un ventina delle aziende quotate in borsa, una su dieci (ricordiamo che anche quest’anno, con la prevista distribuzione di oltre 47 miliardi di dividendi, avremo una crescita di questa voce). E alla Georg Fischer è stato rimproverato il fatto che abbia continuato su questa strada, pur avendo ricorso a più riprese al lavoro ridotto.

 È questo un punto che accomuna l’azienda di Losone alla vicenda della Mikron: il ricorso al lavoro ridotto (che nelle spiegazioni ufficiali dovrebbe servire a impedire dei licenziamenti) e poi la mannaia dei licenziamenti che altro non serve se non a mantenere intatto (e a migliorare) il livello dei profitti.

Un ruolo determinante in questa politica (e in modo particolare in questa vicenda dell’AGIE) lo svolgono le agenzie di lavoro interinale (veri e propri mercanti di uomini e donne, sul cui comportamento in questa crisi rinviamo al nostro articolo apparso sul nostro sito https://mps-ti.ch/2020/04/bollettino-mps-coronavirus-8-aprile-2020/) che hanno brutalmente licenziato, ad inizio della crisi, almeno il 70-80% del personale da loro piazzato nelle diverse aziende, rinunciando (perché troppo costoso) al lavoro ridotto, scaricando quindi tutti i rischi sui lavoratori e le lavoratrici. E la libertà d’azione di queste agenzie, come noto, è nel nostro paese totale, uno dei paesi nei quali è maggiore rispetto ai concorrenti del capitalismo svizzero.

È ora di reagire a tutto questo, perché nelle prossime settimane, nei prossimi mesi questa sarà la logica padronale che cercherà di agire in modo sotterraneo, cosciente di esporsi alla disapprovazione pubblica. Spetta al movimento sindacale, se ancora ha la forza per uno scatto di dignità, rifiutare di accompagnare questa politica (con più o meno inguardabili piani sociali) chiamando e organizzando i salariati alla resistenza contro questa politica padronale. Altro che primo maggio telematico!