Tra le cose più importanti accadute nelle scorse settimane ci sono di sicuro le azioni di lotta dei lavoratori di Amazon negli Stati Uniti, e la proclamazione da parte loro di una giornata di sciopero il 1° maggio che ha avuto un buon esito, anche se non vi è stato uno sciopero generalizzato . Tra i documenti più interessanti e battaglieri di queste azioni di lotta c’è di sicuro la lettera, in traduzione più sotto, scritta da un ex-lavoratore di Amazon licenziato in tronco per aver denunciato i rischi gravi per la salute dei lavori corsi nel magazzino Amazon di State Island a New York, e la totale indifferenza dimostrata dai manager del magazzino davanti ad essi. Chris Smalls è un lavoratore nero di circa 28 anni, che ha lavorato in Amazon per 5 anni con la mansione di capo-gruppo. Ringraziamo il compagno che ci ha segnalato la lettera, e chiediamo a chi condivide il lavoro di costruzione di questo blog di provvedere a segnalazioni e contributi.
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Caro Jeff Bezos,*
quando mi sono proposto per lavorare ad Amazon, la descrizione delle mansioni di lavoro era semplice. Diceva: devi avere un diploma di scuola superiore o anche un semplice attestato scolastico di base, e devi essere capace sollevare 50 libbre [poco più di 25 kg]. Ora, a causa del covid-19, ci è stato detto che i lavoratori Amazon sono “la nuova Croce rossa”. Ma noi non vogliamo essere degli eroi. Noi siamo gente comune. Io non ho alcun attestato medico, né sono stato formato per interventi di pronto intervento. Noi non dobbiamo essere costretti a rischiare le nostre vite per andare a lavorare. Ma, in questa situazione, lo siamo. E se qualcuno deve essere ritenuto responsabile di questo, quella persona sei tu.
I lavoratori Amazon stanno andando al lavoro ammalati come cani, giusto per guadagnare 2 dollari in più all’ora rispetto alla loro paga base. Sai come chiamo questa cosa? Soldi sporchi di sangue.
Io ho lavorato per Amazon per cinque anni. Fino alla scorsa settimana, quando sono stato licenziato dal magazzino di State Island a New York, ero il supervisore di un gruppo di 60-100 pickers [raccoglitori], che prendono i pacchi dalle macchine di smistamento, li preparano e li mettono sui nastri trasportatori pronti per la spedizione.
All’inizio di marzo, prima che venisse confermato il primo caso di covid-19 dentro il magazzino, mi accorgevo che c’erano persone che si ammalavano. Avevano diversi sintomi: fatica, stordimento, vomito. Ho parlato con il responsabile delle risorse umane. Gli ho detto: ehi, c’è qualche cosa che sta andando storto qui. È necessario mettere in quarantena il magazzino. Volevo che prendessimo l’iniziativa. Ma il management non è stato d’accordo con me, e mi ha assicurato che loro stavano seguendo tutte le raccomandazioni e le linee guida del CDC [Center for Disease Control and Prevention].
La mancanza di protezioni mi preoccupava. Nei magazzini ci sono guanti, ma sono di gomma, non sono quelli giusti in lattice. Non ci sono mascherine. L’igienizzante per le mani è scarso. Le persone vanno in giro per gli stabilimenti con i propri personali igienizzanti, i fortunati che ne hanno trovato uno in qualche negozio.
A causa di queste condizioni non mi sentivo sicuro, quindi ho preso dei giorni di permesso, e sono rimasto a casa per evitare di ammalarmi. Ma alla fine, quando ho finito i giorni di permesso, sono dovuto tornare al lavoro. Altri miei colleghi di lavoro non hanno questa possibilità. Molti miei colleghi e amici di lavoro presso la struttura di Amazon hanno condizioni di salute precarie. Alcuni hanno l’asma, chi il diabete, chi il lupus. Altri sono anziani, e ci sono donne incinta. Loro non sono andati al lavoro per un mese intero, e non hanno ricevuto la paga. Le uniche cose che possono fare è salvare le loro vite. Se si prendono il virus, sono sicuramente morti. Uno dei miei amici di lavoro, che è malato di lupus, è andato a vivere con i suoi parenti, così non deve pagare l’affitto. Puoi immaginare cosa sarebbe stato per lui se non avesse avuto questa possibilità? Ora sarebbe molto probabilmente un senzatetto.
Un altro problema è che Amazon ha imposto gli straordinari obbligatori per mantenerci al passo con gli ordini on line. Il risultato è che i lavoratori Amazon stanno andando al lavoro ammalati come cani, giusto per guadagnare 2 dollari in più all’ora rispetto alla loro paga base. Sai come chiamo questa cosa? Soldi sporchi di sangue.
I lavoratori che vogliono guadagnare di più stanno lavorando fino a 60 ore la settimana, e rischiando la loro vita. Alcuni continuano a lavorare anche se sono malati. Quando qualcuno tossisce o starnutisce, dice che è a causa delle allergie. Stare nello stabilimento in questo periodo è cosa che fa spavento.
Quando sono tornato al lavoro martedì scorso, ho parlato con uno del mio gruppo che sembrava veramente ammalato. Lei mi ha detto che aveva paura, pensava di avere il coronavirus e ha cercato di fare un controllo. Io le ho detto di tornare a casa e prendersi un po’ di riposo. Due ore più tardi abbiamo avuto un meeting con i manager. E questo è accaduto quando siamo stati informati del primo caso di covid-19. La cosa pazzesca è che i dirigenti ci hanno detto di non dire nulla agli altri lavoratori. Loro ci tenevano molto a tenere la cosa segreta.
Io ho pensato che questa segretezza era sbagliata. E non appena è finita la riunione con i manager, ho raccontato quanto stava accadendo a quante più persone ho potuto. Subito dopo ho cominciato ad inviare email al dipartimento della salute dello stato di New York, al Governatore, al CDC. Ho chiamato la polizia locale. Ho fatto tutto quello che potevo affinché il magazzino venisse sanificato nel modo appropriato, ma l’amministrazione è finora troppo sovraccarica per fare qualcosa. Allora ho compreso che avrei dovuto fare qualcosa da me.
Ho cominciato a parlare e a mettere a conoscenza della cosa tutti i lavoratori all’interno dello stabilimento. Ho avuto riunioni nelle aree comuni e molti lavoratori si sono uniti a noi per esprimere le loro preoccupazioni. La gente era spaventata. Siamo andati tutti nell’ufficio del general manager per chiedere la chiusura del magazzino in modo che venisse fatta la sanificazione. Gli abbiamo anche detto che volevamo comunque essere pagati durante la chiusura. Un’altra nostra richiesta riguardava gli altri lavoratori che non possono venire al lavoro per motivi di salute: dovevano essere ugualmente pagati. Perchè avrebbero dovuto correre il rischio di prendere il virus per poter mettere del cibo in tavola?
Questa azienda sta facendo trilioni di dollari. Ma ancora le nostre richieste stanno cadendo su orecchie che non vogliono sentire. E’ pazzesco. A loro non interessa se noi ci ammaliamo. Amazon pensa che noi possiamo essere sacrificati.
Siccome Amazon non dava risposte, io ed altri lavoratori che la pensavano come me abbiamo deciso di fare il walk-out (uscire dal magazzino) e allertare i media su cosa stava accadendo. Il martedì eravamo 60 lavoratori. Molti di loro hanno parlato con i giornalisti. E’ stato bellissimo, ma sfortunatamente mi è costato il posto di lavoro.
Sabato, pochi giorni prima del walk-out, Amazon mi aveva comunicato che volevano mettere in quarantena “per motivi di salute” perché avevo avuto contatti con qualcuno che si era ammalato. La cosa non aveva senso perché lo stavano facendo solo con me, e non anche con altri lavoratori. Ho pensato che ero il loro bersaglio perché ero sotto i riflettori. Ma la cosa non ha funzionato. Ho cominciato a ricevere telefonate da lavoratori di Amazon da tutto il paese, e tutti volevano unirsi per fare anche loro il walk-out. Stiamo iniziando una rivoluzione, e tutte le persone nel paese ci sostengono.
Se tu sei un cliente di Amazon, è adesso che puoi realizzare il vero social distancing: astieniti dal cliccare sopra il bottone “compra ora”. Vai al negozio di alimentari, in questo modo puoi salvare molte vite.
E quanto a te, signor Bezos, il mio messaggio è semplice. Non me ne frega niente del tuo potere. Tu pensi di essere potente? Ma siamo noi quelli che hanno il potere. Senza il nostro lavoro, cosa puoi fare? Tu non farai soldi. Noi abbiamo il potere. Noi facciamo i soldi per te. Non lo scordare mai.”
*lettera apparsa su The Guardian del 2 aprile 2020