Interpellanza:
Quanto riportato nel titolo di questa nostra interpellanza è una delle tante testimonianze da noi
raccolte da parte di parenti di persone, nel frattempo decedute, ospitate nelle case anziani di
questo cantone.
Da questi racconti emerge che a partire da metà marzo si sarebbe data l’indicazione di
non più ospedalizzare nessuno degli ospiti delle case anziani positivi al COVID.
Un’ipotesi che parrebbe venir confermata dal direttore sanitario degli Istituti Sociali di Lugano
in un articolo pubblicato dal Corriere del Ticino lo scorso 23 aprile 2020:
“Con gli altri colleghi, direttori sanitari, in accordo con l’Ufficio del medico cantonale
(UMC) e con i rappresentanti della Società dei medici geriatri, abbiamo subito
discusso su come gestire i nostri ospiti che sarebbero risultati positivi al SARS-
CoV-2. Allo scopo di evitare, per quanto possibile, ricoveri in ospedali o cliniche, ci
siamo presi la responsabilità di occuparcene nelle strutture di appartenenza,
seguendo i suggerimenti forniti puntualmente dall’UMC tramite l’Associazione dei
direttori di case anziani (ADI-CASI) e partecipando a numerosi e regolari incontri
utili a condividere le nostre esperienze.”.
Se queste affermazioni dovessero essere la conferma di un atteggiamento diverso da quello
ufficialmente dichiarato (la protezione ad ogni costo della persone vulnerabili), saremmo di
fronte ad un modo di procedere che ci pare non conforme alle direttive della Società svizzera
di medicina intensiva SSMI aggiornate al 24 marzo 2020 (Pandemia Covid-19: triage dei
trattamenti di medicina intensiva in caso di scarsità di risorse) che recitano:
- Principi etici fondamentali
I quattro classici principi medico-etici (beneficenza, non maleficenza, rispetto
dell’autonomia e giustizia) sono determinanti anche in caso di scarsità di risorse.
E’ importante chiarire preliminarmente la volontà del paziente riguardo ai
trattamenti d’urgenza e di terapia intensiva, soprattutto se la persona rientra in
una categoria a rischio. Le scarse risorse a disposizione non devono in alcun
caso essere utilizzate per curare un paziente che non desidera essere assistito.
Se le risorse non sono sufficienti per curare tutti i pazienti in maniera ottimale,
occorre applicare questi principi fondamentali in base alle seguenti regole di
preferenza:
Equità: le risorse disponibili devono essere distribuite senza operare
discriminazioni, ovvero senza disparita di trattamento ingiustificate legate a età,
sesso, luogo di residenza (I posti letto liberi in terapia intensiva devono essere
notificati tramite la piattaforma nazionale), nazionalità, confessione religiosa,
posizione sociale, situazione assicurativa o invalidità cronica. La procedura di
allocazione deve essere equa, obiettivamente motivata e trasparente.
Rispettando il principio di equità nella suddetta procedura, si evita soprattutto di
prendere decisioni arbitrarie. - Criteri per il triage (ricovero e permanenza) nel reparto di terapia intensiva e
nei reparti di Intermediate Care in caso di scarsità di risorse
Fintanto che le risorse disponibili sono sufficienti, i pazienti che necessitano di un
trattamento di medicina intensiva vengono ricoverati e curati secondo criteri
convenzionali. Gli interventi che richiedono un impegno particolarmente elevato
in termini di risorse andrebbero eseguiti solo nei casi in cui la loro utilità sia
chiaramente comprovata. Il ricorso all’ECMO8 andrebbe evitato per i pazienti
affetti da Covid-19.9 In casi motivati e dopo aver attentamente soppesato le
risorse necessarie in termini di personale, si può comunque decidere di effettuare
tale trattamento.
E importante chiarire anticipatamente la volontà dei pazienti, se essi sono in
grado di esprimerla, rispetto all’eventualità di complicanze (stato di rianimazione
ed entità della terapia
intensiva). Se si rinuncia a provvedimenti di medicina intensiva, si devono
garantire curepalliative adeguate.
Se a causa di un totale sovraccarico del reparto specializzato si rende necessario
respingere pazienti che necessitano di un trattamento di terapia intensiva, il
criterio determinante a livello di triage e la prognosi a breve termine: vengono
accettati in via prioritaria i pazienti che, se trattati in terapia intensiva, hanno
buone probabilità di recupero, ma la cui prognosi11 sarebbe sfavorevole se non
ricevessero il trattamento in questione; in altri termini, la precedenza viene data
ai pazienti che possono trarre il massimo beneficio dal ricovero in terapia
intensiva.
L’età in se e per se non e un criterio decisionale applicabile, in quanto attribuisce
agli anziani un valore inferiore rispetto ai giovani e viola in tal modo il principio
costituzionale del divieto di discriminazione. Essa, tuttavia, viene considerata
indirettamente nell’ambito del criterio principale ≪prognosi a breve termine≫, in
quanto gli anziani presentano più frequentemente situazioni di comorbidità. Nelle
persone affette da Covid-19, peraltro, l’età rappresenta un fattore di rischio a
livello di mortalità, occorre quindi tenerne conto.
Dalle diverse testimonianze da noi raccolte i parenti degli ospiti, ed ancora meno gli ospiti delle
case anziani, sono stati consultati e coinvolti nella decisione di non procedere
all’ospedalizzazione. Anzi, in diversi casi in cui i parenti hanno chiesto di procedere
all’ospedalizzazione si è sempre dato una risposta vaga e sfuggente, quando non addirittura
si è semplicemente detto che ciò non sarebbe avvenuto. E questo, così pare,
indipendentemente da una valutazione oggettiva della opportunità o meno
dell’ospedalizzazione.
Bisogna inoltre aggiungere che secondo il medico cantonale Merlani in Ticino non vi è mai
stata, durante la pandemia, un’insufficienza di risorse e dunque il problema di un triage non
sembrerebbe essersi mai posto:
“Né il medico cantonale accetta le illazioni circa un’insufficiente ospedalizzazione degli
anziani pur di non sovraccaricare le strutture sanitarie. Quelle strutture non sono mai
arrivate a saturazione, il nostro tasso di ospedalizzazione non appare diverso da quello
della Romandia. In nessun caso – tranne quelli nei quali si sarebbe sfociati apertamente
nell’accanimento terapeutico- si è dovuto rinunciare alla cura in ospedale”. (La Regione
12 maggio 2020)
Alla luce di queste considerazioni chiediamo al Consiglio di Stato:
- Dal 9 marzo al 30 aprile quanti ospiti di case per anziani positivi al COVID sono stati
ospedalizzati? - Se, come afferma il medico cantonale, le strutture ospedaliere acute durante la
pandemia non sono arrivate a saturazione per quale motivo si è deciso, come pare
affermare il direttore sanitario degli Istituti Sociali di Lugano e confermare numerose
testimonianze raccolte, di vietare l’ospedalizzazione degli anziani positivi degenti nelle
case per anziani? - Chi ha preso questa decisione e sulla base di quale disposizione legale?
- Il Consiglio di Stato è stato informato? Ha dato il suo consenso a questa decisione?
- Per quale ragione non si è chiesto il consenso degli ospiti o dei loro parenti prima di
prendere la decisione di non ospedalizzazione? - Considerato che i letti in terapia intensiva devono essere coordinati a livello nazionale
perché non si è pensato di trasferire parte dei malati COVID ospedalizzati nel resto
della Svizzera così da avere maggiori capacità per ospedalizzare gli anziani positivi
degenti in case anziani? - Per la cura degli anziani positivi degenti in case per anziani si è fatto capo a personale
con formazione pari a quella operante negli ospedali COVID della Carità e Moncucco?
Se no, perché non si è impiegato personale con la stessa formazione, e chi lo ha
deciso?
Per il Gruppo MPS-POP-Indipendenti
Matteo Pronzini, Simona Arigoni, Angelica Lepori