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Pubblichiamo il testo dell’intervento di Simona Arigoni (a nome del gruppo MPS-POP-Indipendenti) nella discussione sulla cosiddetta “Riforma sociale cantonale” discussa mercoledì 27 maggio in Gran Consiglio (Red).

Il nostro gruppo si asterrà su questa cosiddetta riforma sociale cantonale. Non votiamo contro perché rappresenta, seppur in modo limitatissimo e insufficiente, un piccolo passo avanti per due o tremila nuclei familiari: è la sola ragione per la quale non ci esprimiamo in modo negativo.

Le ragioni sono molteplici e ne richiameremo qui solo le principali.

Queste proposte (non vorremmo mancare di rispetto alla lingua italiana utilizzando a sproposito come fa il messaggio il termine riforma) rientrano in un disegno complessivo, in particolare come presunta contropartita delle riforme fiscali cantonali e nazionali. Una logica che non abbiamo condiviso e continuiamo a non condividere.

Basterebbe guardare le cifre per capire che a confronto la classica truffa del falso nipote è più “equilibrata”: 152 milioni di sgravi che andranno ad avvantaggiare, come sempre, i redditi alti e 13,4 milioni di “misure sociali” (una volta dedotti gli effetti positivi). 

Vi è poi il contenuto stesso di queste misure, spacciate addirittura per una “riforma sociale cantonale”: se le riforme sono queste e la socialità si esprime in questo modo siamo veramente a terra. Per esempio, quella relativa all’estensione della durata del diritto all’API (Assegno di prima infanzia). Si tratta di una modifica che era già stata proposta nel pacchetto di riequilibrio delle finanze cantonali del 2016 e che viene solo adattata; o,ancora, l’altra misura, quella relativa all’introduzione del principio della franchigia sul reddito da lavoro di tutte le prestazioni LAPS introdotta per “motivi finanziari” già nel 2015. In pratica ora la franchigia viene aumentata solo da 350 franchi a 500 franchi.

Lo stesso potremmo dire, andando a spulciare qua e là nelle giungla di disposizioni (che la dice lunga sulla “socialità” di simili leggi): quasi sempre si tratta di disposizioni che restaurano in parte qualcosa che era stato tolto. Da qui tutti i limiti a chiamare riforma, e per di più sociale, questo insieme di proposte.  È un po’ come se io, dopo aver decurtato i salari del 10%, decidessi, tre anni dopo, di aumentarli del 2% e spacciassi questa operazione come una rivalorizzazione dei salari. È quanto si sta facendo con questa cosiddetta riforma sociale cantonale.

Basti pensare che nel 2015, prima quindi dei tagli, il cantone contribuiva agli assegni AFI/API con 29,1 milioni; nel consuntivo 2019 questo contributo è sceso a 6,5 milioni, in pratica è stato diviso per 5 e questo dopo una Riforma denominata, non senza ironia, fiscale “e sociale”. Con le attuali proposte si aggiungerebbero globalmente 2,4 milioni (0,8 api, 1,6 api) ma siamo ben lungi da arrivare ai livelli precedenti. 

Le misure relative alle prestazioni LAPS si fondano, tra l’altro, su una serie di ipotesi tutte da verificare e investono globalmente un numero limitato di persone e generebbero costi pari al 40% dell’importo complessivo destinato a questa cosiddetta riforma sociale.

Il resto (relativo al coefficiente cantonale di finanziamento Ripam e all’aumento del reddito disponibile massimo per il diritto alla Ripam) sono poco più di 10 milioni, spalmati di fatto su 60’000 assicurati. Potete fare benissimo il calcolo di quanto, mediamente, questo possa giovare in termini finanziari. Sappiamo che non è corretto fare un calcolo medio, ma rende benissimo l’idea di quanto sia esigua la contropartita che ricevono i cittadini e le cittadine di questo cantone, come “contropartita” (si fa per dire) di cospicui sgravi fiscali. 

Anche in questo caso occorre forse rinfrescare le memorie: dal 2014 al 2018 sono stati tagliati sussidi di cassa malattia a 25’000 beneficiari. Con queste proposte il numero dei beneficiari aumenterebbe di 1’900. 

E si ha il coraggio, persino a sinistra, di chiamare tutto questo riforma sociale. Le parole, come diceva qualcuno, sono importanti. Non sembrerebbero esserlo per il governo e la stragrande maggioranza di questo Parlamento.

E prima di concludere forse è il caso di dedicare qualche riflessione alla crisi sociale che farà seguito a quella sanitaria scatenata dal coronavirus. Con i tagli alle prestazioni sociali operate in passato abbiamo fragilizzato molte famiglie privandole di aiuti essenziali e, una volta raggiunto il mitico pareggio di bilancio, governo e Parlamento hanno operato due riforme fiscali successive che faranno mancare alle casse pubbliche oltre 200 milioni (52,5 per comuni e cantone quella del 2018 e 152 mio per cantone quella del 2019). Già lo scorso anno si prevedevano bilanci in rosso a partire dal 2021, quindi evitiamo di dare la colpa unicamente al coronavirus per scaricare le responsabilità.

Come se non bastasse il salario mediano in Ticino fra il 2016 e il 2018 è calato di ben 200 franchi (pubblico e privato assieme), un fatto unico e più che sconcertante sul quale a quanto pare l’amministrazione e le autorità cantonali hanno fatto calare il solito velo di omertà. 

Ora ci troviamo quindi ad affrontare una crisi senza precedenti con le casse svuotate e con un numero crescente di persone in difficoltà fin da prima del coronavirus. E tutto grazie a quella che questo governo e questo Parlamento hanno per anni definito “lungimiranza” e che nei fatti è sempre la solita politica di sgravi fiscali a vantaggio dei soliti pochi, e che ha impoverito la maggioranza della popolazione.