Pubblichiamo il testo dell’intervento di Angelica Lepori (a nome del gruppo MPS-POP-Indipendenti) nella discussione sul messaggio “Obbiettivo 95%” dedicato alla formazione professionale, discusso mercoledì 27 maggio in Gran Consiglio (Red).
Le proposte del messaggio “Obbiettivo 95%” sono complementari a quelle presenti nel recente messaggio sul rafforzamento della formazione duale. Entrambi si caratterizzano, complessivamente anche se con qualche differenza, per una scarsa concretezza. Abbiamo già detto che delle proposte contenute nel messaggio per il rafforzamento della formazione duale l’unica veramente concreta è quella di aumentare l’offerta di posti di tirocinio da parte degli enti pubblici, una proposta che l’MPS ha fatto a più riprese con atti parlamentari ancora pendenti.
Per il resto si tratta di petizioni di principio e di rinvii a ulteriori possibili proposte come quelle che potrebbero venire dalla commissione cantonale per la formazione professionale.
Il messaggio in questione è, nella sua insufficienza, un po’ più concreto. Non tanto nel meccanismo sottoposto a votazione (una modifica generale e di principio della Legge sulla scuola, sulla quale evidentemente non possiamo non essere d’accordo nella misura in cui auspica un aumento del livello di formazione); ma quanto nella misura in cui decide di mettere in campo alcuni mezzi, per la verità assai limitati, per occuparsi o cercare di occuparsi di quei giovani che sono circa 200 o 300 che finita la scuola dell’obbligo sfuggono a qualsiasi impegno formativo. Questa volontà di impegno è senza dubbio positiva anche se tardiva (il DECS per anni ha negato l’esistenza di questo fenomeno) ma, come detto, ci pare che i mezzi a disposizione siano comunque insufficienti.
Ma la questione è anche più di fondo. In sostanza si cerca di risolvere il problema della formazione di questi giovani “difficili” nell’ambito delle attuali strutture di formazione senza rimettere quindi in discussione, o per lo meno ripensare, l’organizzazione stessa di questo tipo di formazione.
Infatti l’obiettivo a cui il gruppo di accompagnamento dovrebbe giungere è quello di “piazzare” questi giovani all’interno delle aziende private disponibili. In altre parole si propone, seppur con un servizio di assistenza e di coaching a dei giovani che sono sfuggiti al circuito normale della formazione professionale, un tipo di formazione che rientra nella normalità della formazione professionale. E’ un po’ come voler reintegrare chi è stato espulso dal mercato del lavoro per patologie o disagi legati a esso nello stesso contesto che lo ha reso invalido.
Ora è noto che la formazione in azienda è una delle prove più difficile e dure per un giovane si trova ad affrontare; spesso ci si trova in situazioni relazionali difficili con un mondo adulto non sempre disposto a integrare i più giovani; in altri casi le funzioni assunte sono poco qualificate o caratterizzate da sfruttamento; spesso questi giovani hanno scarse relazioni tra pari e si trovano isolati. Tutto questo è già difficile per apprendisti che hanno seguito il processo di inserimento tradizionale e rischia di essere proibitivo per giovani in difficoltà. Si tratterebbe quindi di creare posti di lavoro “protetti” al di fuori dal normale circuito degli apprendistati e quindi pensare a strutture dedicate e investimenti e risorse ben più importanti di quelle che ci si limita a evocare o a mettere a disposizione. Questo, soprattutto, in un contesto come quello attuale che avrà un impatto sulle possibilità di formazione professionale per tutti.
In sostanza non ci opponiamo quindi a questa proposta ma come detto ne sottolineano la debolezza e insufficienza.
Un ulteriore discorso, che ci vede sostanzialmente contrari, è l’idea di sviluppare l’offerta di tirocini biennali; ci pare una tendenza al ribasso nei livelli della formazione professionale e se l’obiettivo a corto termine potrebbe apparire a prima vista ragionevole (offrire dei tirocini più abbordabili o meno impegnativi) il rischio reale, in un mercato del lavoro come il nostro, è che questa formazione al ribasso rischi di penalizzarli ulteriormente una volta finita la formazione.
In conclusione ci preme sottolineare che con questo messaggio si è nuovamente persa l’occasione di riflettere e ripensare seriamente tutto il sistema della formazione professionale.
Come abbiamo affermato diverse volte il problema di fondo della formazione duale, che questo messaggio non affronta, è che essa è completamente controllata dalle aziende, cioè dal padronato. Il padronato controlla l’offerta di posti di tirocinio e in questo modo determina e struttura la domanda che è costretta ad adeguarsi.
È un problema vecchio e conosciuto: sono le aziende, il padronato, ad offrire determinati posti di tirocinio sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo.
I criteri con i quali vengono offerti questi posti di lavoro sono legati ai bisogni delle aziende e alla valutazione del mercato del lavoro. In altre parole: è reperibile sul mercato del lavoro manodopera qualificata immediatamente disponibile, oppure da formare in poco tempo e che possa garantire un impiego stabile a medio/lungo termine?
È rispondendo a questo interrogativo che le aziende decidono di modulare la loro offerta di posti di tirocinio. Ed è comprensibile che, nell’attuale contesto del mercato del lavoro, l’offerta di posti di tirocinio sia orientata verso professioni sostanzialmente con qualifiche basse e medie e da aziende nelle quali gli apprendisti possono di fatto rappresentare manodopera a basso costo.
Se si escludono quelle poche aziende che hanno centri di formazione (tra l’altro profumatamente finanziate per investimenti e gestione dai contributi pubblici), sono piccole aziende che puntano sullo sfruttamento di apprendisti/e ad offrire il numero maggiore di posti di tirocinio.
La tradizionale testimonianza di questa tendenza è la segregazione delle ragazze in quattro o cinque professioni di apprendistati “femminili” (estetista, parrucchiera, impiegata di commercio, di vendita, etc.).
Fino a quando saranno le aziende a dettare l’offerta e le condizioni di apprendistato (a cominciare dalle condizioni di lavoro e di remunerazione con i miseri salari che vengono offerti agli apprendisti in un regime di libero mercato assoluto) non è pensabile che vi sia una “svolta” e che un numero maggiore di giovani scelga un tirocinio nel settore artigianale o industriale (di tipo duale).
Il risultato di questa situazione è il numero elevato di scioglimento di contratti di tirocinio, risultato di una politica che tende a ”piegare” la domanda (che corrisponde alle aspirazioni dei giovani) all’offerta.
Sarebbe quindi auspicabile riflettere in altre direzioni, in particolare nel potenziamento dell’offerta di posti di apprendistato nelle scuole professionali a tempo pieno nel settore artigianale e industriale. Uno sviluppo che, oltre a rompere il monopolio padronale sul mercato dei posti di tirocinio, permetterebbe anche di correggere alcune distorsioni evidenti, a cominciare da quelle di genere.
Solo così si può pensare di aiutare anche coloro che si trovano in difficoltà dopo la scuola dell’obbligo a rientrare nella formazione.