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Quel pasticciaccio di risoluzione adottata ieri in vista della riapertura delle scuole è l’ultima di una serie di pessime decisioni politiche che hanno investito, in questi ultimi anni, la scuola ticinese.

E, ancora una volta, gli elementi di fondo sono sempre gli stessi.

Il primo, ricorrente in quasi ogni decisione, è l’assoluta indifferenza dei vertici del DECS nei confronti delle opinioni delle altre componenti della scuola (insegnanti, genitori, studenti): nessun ascolto nei confronti di chi ha posto seri interrogativi sulla possibilità di riaprire, in forme più o meno limitate, le scuole dell’obbligo. Nemmeno l’opinione di medici, pediatri, specialisti è stata seriamente presa sul serio.

È noto a tutti, ad esempio, che la grande maggioranza dei direttori delle scuole medie ha espresso contrarietà di fronte alle intenzioni del DECS; ed oggi costoro vedono non solo ignorate le loro preoccupazioni e le loro richieste, ma sono confrontati con decisioni che ribaltano su di loro le maggiori responsabilità per l’applicazione della strategia dipartimentale. Chi ha letto con attenzione le direttive emanate avrà constatato che il messaggio è abbastanza semplice: priorità, costi quel che costi, alla riapertura: e per tutto il resto (organizzazione, protezione, etc.) che si arrangino i singoli istituti, a cominciare dalle direzioni.

Questo atteggiamento di sufficienza, combinata con una dose di autoritarismo e insofferenza, non è certo nuovo da parte dei vertici del DECS. Quante volte, in questi ultimi anni, abbiamo visto insegnanti ai quali è stato impedito (su temi di pertinenza scolastica) di rilasciare interviste o dichiarazioni pubbliche (a giornali, televisioni, etc.)? Ancora ieri sera persino i tranquilli giornalisti RSI hanno dovuto constatare che è stato impossibile dare voce a chi (direttori) dovrà garantire la realizzazione di questo pasticcio di riapertura! Quante volte abbiamo assistito ad un atteggiamento di indisponibilità di principio nei confronti di chi osava rimettere in discussione gli orientamenti pedagogici difesi, meglio dire imposti, dal Dipartimento? Quante volte abbiamo assistito, di fronte a motivate e documentate critiche della politica dipartimentale, non solo al rifiuto di entrare in materia, ma al tentativo di delegittimare chi sollevava tali critiche?

Ancora di recente i docenti delle scuole medie superiori hanno contestato metodo e contenuto della modifica della griglia oraria, sostenendo che si trattava non solo di una riforma mascherata degli studi liceali; ma che vi era la possibilità di spostare di un anno l’entrata in vigore della nuova griglia (prevista per questo settembre), permettendo così di avviare una vera consultazione che approfondisse i temi di fondo dell’insegnamento liceale. Di fronte a tutto questo non solo il DECS ha imposto la sua logica (dopo una consultazione ristrettissima che ha impedito una reale riflessione tra gli insegnanti), ma ha approfittato del vuoto creato dalla crisi pandemica per far adottare definitivamente dal governo il progetto e deciderne la immediata applicazione a partire da settembre. Tutto questo senza essere sfiorati dal minimo dubbio sul contesto nel quale le scuole riapriranno in settembre, con insegnanti, studenti, strutture scolastiche verosimilmente ancora destabilizzati.

Questi modi di procedere (e ci siamo riferiti solo agli ultimi mesi) mostrano un disprezzo totale nei confronti di coloro che la scuola contribuiscono a farla tutti i giorni: a cominciare dagli e dalle insegnanti di tutti gli ordini di scuola.

Ma questo scollamento non riguarda solo il rapporto con gli e le insegnanti. In questi ultimi anni abbiamo vissuto parecchie vicende che hanno visto andare in scena lo stesso atteggiamento nei confronti non solo dei docenti, ma dell’intera popolazione.

Ci riferiamo, ad esempio, alla proposta e al dibattito sul progetto denominato “La scuola che verrà”. Indipendentemente dal giudizio di merito che si può avere su quella riforma, non vi sono dubbi che sia stato soprattutto l’atteggiamento dei vertici del DECS a preparare il terreno alla sua sconfitta in votazione popolare.

Se questa sconfitta avesse rappresentato solo uno scacco personale per Bertoli e i dirigenti del DECS, non vi sarebbero problemi. Ma in realtà quella sconfitta ha affossato, e per molto tempo, l’idea stessa di una riforma progressista della scuola dell’obbligo e in particolare della scuola media. E non tanto perché quel progetto fosse di segno progressista: ma perché, affossandolo, si sono cancellate anche le ragioni di fondo dalle quali diceva di voler muovere quel progetto: le diseguaglianze sociali che si riflettono sulla scuola.

Dal nostro punto di vista (che non è certo quello di chi questi problemi non vuole affrontarli perché li ritiene organici al sistema nel quale viviamo) le responsabilità di Bertoli e della direzione del DECS sono state gravissime. Un minimo di dignità politica, intellettuale e personale avrebbe voluto che, dopo la sconfessione in votazione popolare, almeno il capo della divisione scuola, Emanuele Berger, rassegnasse le dimissioni.

E invece si è continuato come se nulla fosse; anzi, la sicumera, l’arroganza e l’atteggiamento di indisponibilità non hanno fatto che aumentare ad ogni occasione nella quale vi sia stato un confronto all’interno della scuola.

Questa gestione della scuola (che dura ormai da diversi anni) ha condotto a una fase di stagnazione della scuola ticinese come non se ne conosceva da decenni, incapace di affrontare i mutamente sociali e culturali che coinvolgono pesantemente la scuola, i suoi valori, il suo rapporto con la società. Una stagnazione che si riflette sulla qualità dei livelli di insegnamento e di apprendimento, rappresentando un inesorabile declino, che non può certo essere né nascosto, né contraddetto dalla presentazione degli estemporanei risultati PISA. Il declino della nostra scuola è sotto gli occhi di tutti, giorno dopo giorno: e questo malgrado lo sforzo compiuto, in condizioni sempre più difficili, dalle e dagli insegnanti.

Proprio alla luce di tutto questo e di fronte alle vicende alle quali abbiamo assistito in questo contesto pandemico (pensiamo alla discussione che ha portato – a inizio marzo – alla chiusura della scuola e, oggi, a questa sciagurata riapertura), appare necessario, per il bene della scuola ticinese, che le due persone che con il loro atteggiamento, la loro arroganza e la loro inadeguatezza ci hanno condotti a questa situazione, si facciano da parte.

Manuele Bertoli ed Emanuele Berger dovrebbero tirare le conseguenze di tutto questo e dimettersi: è quello che, siamo sicuri, pensano anche la stragrande maggioranza delle e degli insegnanti e dei cittadini e delle cittadine di questo cantone.