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Dall’era dell’oro nero stiamo entrando in quella dei cosiddetti metalli rari,  elementi fondamentali  della transizione digitale ed energetica? La crescita nell’uso delle tecnologie digitali, o in misura minore delle energie rinnovabili, poggia in gran parte su questi metalli diventati indispensabili; essi stanno suscitando un crescente interesse da parte della maggior parte degli attori della scena internazionale. Tuttavia, in questa nuova corsa alle risorse, solo uno Stato sembra trarre vantaggi: la Cina. Su scala globale, la maggior parte di queste risorse sono proprietà di Pechino, che dispone quindi di un quasi monopolio sulla produzione e distribuzione di questi metalli rari. Come è riuscita la Cina ad ottenere un controllo quasi totale su questi metalli? Lungi dall’essere una coincidenza, questa concentrazione della produzione di metalli rari nelle mani della Cina è il risultato di una meticolosa strategia orchestrata da anni da Pechino.

L’importanza dei metalli rari

Ferro, argento, gas, rame… Tante risorse naturali necessarie per alimentare le attività economiche degli essere umani. Successivamente, risorse come il carbone e il petrolio hanno segnato la prima e la seconda rivoluzione industriale. Se è forse abusivo parlare di “terza rivoluzione industriale” [1] proprio per la crescente importanza dei metalli rari, nondimeno la cosa assume un’importanza per nulla secondaria. L’ampiezza della transizione energetica e digitale, che non è più da dimostrare, tende ad emancipare gradualmente gli esseri umani dalla loro dipendenza dai combustibili fossili – sia come materia prima che come fonte di energia. L’uso di tecnologie definiti verdi, la chiave di volta di questa transizione, è in continuo aumento. Tuttavia, queste tecnologie dipendono da una nuova risorsa: i metalli rari. Stiamo parlando di cobalto, litio, di diverse terre rare… Poco conosciute ma primordiali, queste risorse sono essenziali e sono anche soprannominate “the next oil” (il petrolio del futuro), come scrive Guillaume Pitron, specialista in materia e autore del libro La guerre des métaux rares [2]. Le nostre società e i nostri modelli di consumo dipendono da queste nuove risorse e questa dipendenza dai metalli rari non farà che aumentare.

Ma al di là delle cosiddette energie verdi, settori strategici come il digitale, la telefonia e l’elettronica si affidano quasi interamente a questi metalli rari, al punto che oggi non si può trascorrere decentemente una giornata senza utilizzarli. Prendiamo le terre rare ad esempio: un disco rigido di un computer contiene 4,5 grammi di terre rare, un motore di un veicolo ibrido o elettrico da 1,2 a 3,5 kg, mentre la fabbricazione di una turbina eolica può richiederne fino a una tonnellata [3]. D’altronde, la progettazione di uno smartphone richiede l’utilizzo di ben 16 metalli rari. La conclusione è la seguente: le nostre società e i nostri modelli di consumo dipendono da queste nuove risorse e questa dipendenza dai metalli rari non farà che aumentare. Nonostante i loro nomi fuorvianti, queste risorse sono presenti ovunque sulla Terra; ma a differenza di metalli come il rame o il ferro, la loro presenza nei nostri terreni è molto più tenue. I metalli rari sono infatti presenti – anche se in piccole quantità – in tutto il mondo, ma la loro produzione è concentrata nelle mani di un unico Stato: la Cina.

Il quasi monopolio di uno Stato

Oggi si stima che oltre il 90% della produzione mondiale di metalli rari sia garantita dalla Cina. Non perché il paese detenga tutte le riserve mondiali di metalli rari; solo circa un terzo delle riserve mondiali si trova in territorio cinese [4]. Tuttavia, Pechino si è vista affidare la produzione di metalli rari, anche se Stati come la Francia e gli Stati Uniti dominavano ancora questo mercato fino a pochi decenni fa. Nella regione della Charente-Maritime, il gruppo francese Rhône-Poulenc negli anni 80 procedeva ancora alla purificazione di più del 50% delle terre rare del mondo [5]. Tuttavia, lo sfruttamento dei metalli rari non è esente da danni ambientali considerevoli. La loro produzione, indispensabile per fornire le nuove energie e tecnologie allora in piena espansione, non poteva essere realizzata senza un certo costo ambientale. All’ombra della produzione di metalli rari, i veri disastri ecologici colpiscono l’ambiente, gli ecosistemi e la salute umana. La loro estrazione e il loro sfruttamento rilascia tonnellate di gas serra nell’atmosfera, contaminando terreni e fiumi. La situazione appare alquanto paradossale. Per Guillaume Pitron, due cose appaiono chiare: in primo luogo, queste nuove energie verdi, descritte come pulite, si basano infatti sull’estrazione di metalli tutt’altro che puliti. In secondo luogo, queste energie verdi, descritte anche come rinnovabili, non potrebbero sopravvivere senza lo sfruttamento di materiali tutt’altro che rinnovabili [6].

Come l’Occidente ha subappaltato alla Cina la produzione di metalli rari

Nel mondo occidentale della fine degli anni ’80 che si stava aprendo alle questioni ambientali, le normative in questo settore sono diventate più restrittive man mano che una certa coscienza ecologica cominciava ad emergere all’interno della società. Allo stesso tempo, una Cina in crescita e in via di liberalizzazione cercava di continuare il suo sviluppo economico. Per acquisire la produzione di metalli rari, il paese ha utilizzato una duplice strategia di dumping: il dumping sociale e il dumping ambientale. Dotato di una forza lavoro a basso costo – il dumping sociale – e molto meno preoccupato degli occidentali per le implicazioni ambientali della produzione di metalli rari – il dumping ambientale, la Cina è riuscito ad inserirsi sul mercato con prezzi che sfidavano ogni concorrenza. Pechino, ben consapevole dell’importanza futura di queste nuove risorse, stava investendo molto nello sviluppo di tecnologie e infrastrutture per garantirne la produzione.

Gli Stati sviluppati, di fronte ai costi ambientali delle loro produzioni nazionali, hanno allora deciso di delocalizzarvi la loro produzione di metalli rari e, così facendo, hanno delocalizzato il loro inquinamento. Alla fine tutti ci hanno guadagnato: crescita economica per alcuni, produzione a basso costo senza inquinamento locale per altri. Guillaume Pitron riassume così questa situazione: “negli ultimi due decenni del XX secolo, i Cinesi e gli Occidentali si sono semplicemente ripartiti i compiti della futura transizione energetica e digitale: i primi si sarebbero sporcati le mani per produrre i componenti della tecnologia verde, mentre i secondi, acquistandoli da loro, potevano vantarsi di buone pratiche ecologiche” [7].

Qualche decennio dopo, la situazione è chiara: il monopolio virtuale della Cina sulla produzione mondiale di metalli rari è innegabile. Il suo territorio è oggi ricco di siti di estrazione e produzione di queste preziose risorse; i principali siti si trovano nelle province della Mongolia Interna e dello Sichuan. Insieme, queste province rappresentano rispettivamente il 50-60% e il 24-30% della concentrazione di metalli rari della Cina [8]. Tra il 1990 e il 2000, la produzione annuale di metalli rari della Cina è aumentata del 450%, passando da 16’000 tonnellate a 74.000 tonnellate [9]. Queste cifre sono aumentate costantemente negli anni successivi, raggiungendo una produzione di 120’000 tonnellate nel 2018, mentre Pechino intende limitare la produzione a 140’000 tonnellate entro il 2020. Secondo la Commissione Europea, nel periodo 2010-2014, Pechino ha detenuto il 69% della produzione di grafite naturale, l’87% della produzione di antimonio e l’84% della produzione di tungsteno [10]. Per le terre rare, che sono risorse essenziali per lo sviluppo di nuove tecnologie, questo monopolio aumenta fino al 95%.

Una volontà di accaparramento su scale internazionale

La Cina si sta infatti dimostrando il principale produttore di metalli rari e Pechino sta lavorando per applicare questa strategia di monopolizzazione del mercato al di fuori dei suoi confini. In qualità di grande esportatore, Pechino sta cercando di espandere le sue importazioni per garantire la sua produzione di metalli rari a livello internazionale, a partire dai suoi vicini. Prendiamo come esempio le terre rare. Pechino sta esaminando molto da vicino le riserve di terre rare della Corea del Nord, che sono tra le più grandi del mondo. Come unico alleato regionale di Pyongyang e suo principale partner commerciale, la Cina è già presente nelle joint venture minerarie del paese e i principali gruppi cinesi possiedono la maggior parte dei diritti di sfruttamento. Mentre le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite nel 2016 in risposta a un test nucleare e al lancio di un missile balistico vietano a Pyongyang di vendere e fornire, tra le altre cose, terre rare, la Cina si sta già preparando a eliminare tali sanzioni per sfruttare queste risorse. Infatti, secondo alcune fonti cinesi, la Corea del Nord concederebbe alla Cina i diritti minerari sulle sue terre rare in cambio di investimenti cinesi nello sviluppo dell’energia solare della Corea del Nord. Un controllo sulle abbondanti riserve di terre rare della Corea del Nord e la loro commercializzazione darebbe alla Cina un monopolio quasi assoluto in questo ambito.

Alcune aziende cinesi stanno già sviluppando la loro produzione di terre rare all’estero, come la Shenghe Resources, che ha stipulato accordi lucrativi con aziende straniere per progetti futuri di sfruttamento di queste risorse. In particolare, la società è l’azionista di maggioranza di Greenland Minerals and Energy, proprietaria del progetto sulle terre rare di Kvanefjeld nella Groenlandia meridionale; l’accordo di fornitura di Shenghe Resources per questo progetto comprende il 100 % della produzione della miniera (12 ). Inoltre, il China Nonferrous Metal Mining Group ha annunciato di aver firmato un memorandum d’intesa non vincolante con la SRI Capital, proprietaria del progetto minerario di terre rare di Tantalus in Madagascar, che le permetterebbe di acquistare 3’000 tonnellate di terre rare entro tre anni dall’inizio della produzione sul suolo malgascio.

L’Africa al centro della strategia cinese

È proprio in Africa, un continente ricco di queste risorse che tutti desiderano, che la Cina sta estendendo il proprio controllo sui metalli rari. Non è sfuggito a nessuno il fatto che, da anni ormai, Pechino ha lanciato una vera e propria offensiva di avvicinamento in Africa ed è diventata un partner essenziale per la maggior parte degli Stati del continente, tanto che alcuni oggi considerano la Cina una potenza africana [13]. Pechino è il principale partner commerciale di molti di questi Stati, fornendo loro una significativa assistenza allo sviluppo economico e sta attualmente approfittando della crisi di Covid-19 per rafforzare i suoi legami con il continente, vestendo i panni del salvatore. L’obiettivo di fondo di Pechino è quello di controllare i metalli rari dell’Africa e la sua strategia sta dando i suoi frutti: la Cina e i suoi capitali sono accolti a braccia aperte nel continente e le aziende cinesi si stanno accaparrando la produzione di metalli rari con l’approvazione – e la benedizione – dei governi africani. Ad esempio, come conferma Guillaume Pitron, “l’ex presidente angolano José Eduardo dos Santos ha fatto delle terre rare una delle priorità nel suo sviluppo minerario per soddisfare le esigenze di Pechino“[14]. In Tanzania, con la firma di un accordo con la società australiana Strandline Resources, il gruppo cinese Hainan Wensheng ha acquistato tutte le risorse di zirconio e monazite che saranno prodotte nella miniera tanzaniana di Fungoni. Nella Repubblica Democratica del Congo, la Cina ha rilevato i depositi di cobalto del Paese, investendo in cambio in infrastrutture congolesi [15]. In effetti, una delle manovre della Cina è l’utilizzo di pacchetti di accordi che consentono, in cambio del finanziamento di infrastrutture, l’acquisizione di una partecipazione in un progetto minerario [16].

Pechino come “market maker”

Gli esempi citati non sono un elenco esaustivo degli Stati in cui la Cina sta investendo: in Sudafrica, Zambia e Zimbabwe, Pechino sta attuando la propria strategia di controllo dei metalli rari su scala africana; mentre in Canada, Bolivia, Vietnam e Kirghizistan, Pechino sta lavorando per realizzare il suo piano di monopolizzazione dei metalli rari su scala internazionale. Il predominio della Cina nella produzione di metalli rari si sta verificando sia in patria che all’estero, rafforzando l’ambizione di Pechino a svolgere un ruolo di primo piano nella transizione energetica e digitale. Secondo Guillaume Pitron, la Cina “non solo è diventata un attore sui mercati dei metalli rari, ma si è di fatto trasformata in un produttore di questi mercati“[17]. Questo monopolio le conferisce, oltre a questa conquista del mercato, un considerevole vantaggio diplomatico e geopolitico sulla scena internazionale, dato che i metalli rari sono per noi oggi così indispensabili. Nel contesto della concorrenza tra Stati Uniti e Cina, l’impero cinese dei metalli rari potrebbe far pendere la bilancia a favore di Pechino.

*articolo apparso il 20 maggio 2020 sul sito le vent se lève (https://lvsl.fr/). Traduzione a cura del segretariato MPS

1] RIFKIN Jérémy, The Global Green New Deal, The Ties That Bind, 16 ottobre 2019, 304p.

[2] PITRON Guillaume, La guerre des métaux rares : la face cachée de la transition énergétique et numérique, Les Liens qui Libèrent, 10 gennaio 2018, 296p.

3] BRGM, “Les terres rares”, 10 gennaio 2017. Disponibile al seguente link: https://www.brgm.fr/sites/default/files/dossier-actu_terres-rares.pdf

4] VESAKI Kristin, “China’s Control of Rare Earths Metal”, intervista a The Pacific Energy Summit, The National Bureau of Asian Research, 13 agosto 2019. Disponibile al seguente link: https://www.nbr.org/publication/chinas-control-of-rare-earth-metals/

5] PITRON Guillaume, La guerre des métaux rares : la face cachée de la transition énergétique et numérique, op. cit.

6] PITRON Guillaume, ” Métaux rares : la face cachée de la transition énergétique”, TEDx Talks Conference, Lille, 14 aprile 2018. Link alla conferenza: https://www.youtube.com/watch?v=LVWUDLBYb-Q

7] PITRON Guillaume, La guerre des métaux rares : la face cachée de la transition énergétique et numérique, op. cit.

8] TSE Pui-Kwan, “China’s rare-earth industry: U.S. Geological Survey”, Open-File Report 2011-1042, USGS, 2011, 11p. Disponibile al seguente link: https://pubs.usgs.gov/of/2011/1042/of2011-1042.pdf

9] Idem.

10] Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull’elenco 2017 delle materie prime critiche per l’UE, Commissione europea, Bruxelles, 13 settembre 2017.

11] Idem.

12] SEAMAN Giovanni, “La Cina e le terre rare. Il suo ruolo critico nella nuova economia”, in Ifri Notes, Ifri, gennaio 2019. Disponibile al seguente link: https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/seaman_chine_terres_rares_2019.pdf

13] LAGARGUE François, “La Chine, une puissance africaine”, in Perspectives chinoises,, n. 90, luglio-agosto 2005. Disponibile al seguente link: https://journals.openedition.org/perspectiveschinoises/900

14] PITRON Guillaume, La guerre des métaux rares : la face cachée de la transition énergétique et numérique, op. cit.

15] MOLINTAS Dominique Trual, “Impact of Globalization on Rare Earth: China’s co-optive conquistare il coltan colongese”, in MPRA Munich Personal RePec Archive, 16 gennaio 2013. Disponibile al seguente link: https://mpra.ub.uni-muenchen.de/96264/1/MPRA_paper_96264.pdf.

16] CHAPONNIERE Jean-Raphaël, ” Chine Afrique : enjeux de l’ajustement chinois pour les pays miniers “, in Afrique contemporaine, n°248, 2013/4, 2013, pp.89 a 105. Disponibile al seguente link: https://www.cairn.info/revue-afrique-contemporaine-2013-4-page-89.htm

17] PITRON Guillaume, La guerre des métaux rares : la face cachée de la transition énergétique et numérique, op. cit.