Tempo di lettura: 6 minuti

«L’omicidio di George Floyd non è la classica goccia che fa traboccare il lavandino, perché quel lavandino lo alimentano almeno tre rubinetti». È quanto ci dice in quest’intervista Keith Mann, sociologo, docente universitario nell’Ohio e dirigente di Solidarity, una delle piccole organizzazioni della sinistra radicale negli Stati uniti.

Un ennesimo accesso di febbre negli Stati Uniti dopo l’omicidio atroce di George Floyd ?

No, qui siamo in presenza di un contesto diverso da quello della seconda metà degli anni Sessanta o delle rivolte precedenti contro il razzismo istituzionale della polizia. L’omicidio di George Floyd non è la classica goccia che fa traboccare il lavandino perché quel lavandino lo alimentano almeno tre rubinetti: le pratiche poliziesche, certo, ma anche la pandemia ed il susseguente approfondimento di una disoccupazione di massa che raggiunge oggi i 40 milioni di persone. Il contenuto di quel lavandino era quindi particolarmente esplosivo: l’omicidio di Floyd ha fatto da detonatore.

A contesto diverso, ribellione diversa?

Certo! Tu ed io, come tanti della nostra generazione, siamo sempre stati abituati ad organizzare manifestazioni prevedendo un percorso, un obiettivo, un servizio d’ordine… Qui, tradizionalmente, le manifestazioni finivano davanti ad un edificio ufficiale, se possibile simbolico. Oggi, invece, l’esplosione è dappertutto, non è organizzata. Ci sono manifestazioni nei quartieri delle città che si sviluppano spontaneamente, in modo quasi indipendente l’una dall’altra. E’ un fatto nuovo. Nel 1936, Simone Weil spiegava che gli operai partecipanti ai grandi scioperi del giugno francese[i], scoprivano una nuova libertà che non avevano mai conosciuto. Penso che la stessa constatazione sia da fare per la grandissima maggioranza dei manifestanti di oggi. La manifestazione, il fatto di essere per strada assieme, è anche una rivolta contro l’isolamento imposto dal confinamento.

Ma chi sono quelli che manifestano?

Anche su questo piano, le differenze sono notevoli con le manifestazioni di Los Angeles nel 1965, con quelle che fecero seguito all’assassinio di Luther King nel 1968 e con tutte le altre nei decenni seguenti. Allora, la stragrande maggioranza dei manifestanti erano Neri; i rari Bianchi erano per la maggior parte militanti delle formazioni di estrema sinistra. Oggi invece, manifestano tutti, Neri, Bianchi, asiatici, latino-americani e le manifestazioni spontanee non nascono solo nei quartieri abbandonati, ma anche in quartieri più altolocati. Immagina, qui a Milwaukee, ci sono state manifestazioni addirittura su Lake Avenue, un quartiere di ville con vista sul lago! E manifestare è pericoloso, non solo per le eventuali cariche della polizia, ma anche perché, seppur con la mascherina, si manifesta senza tener conto della distanza sanitaria. Ma il numero di manifestanti non diminuisce, anzi…

Come lo spieghi?

Beh, è relativamente semplice: dapprima si è manifestato contro l’omicidio razzista; poi, la repressione della manifestazioni ha spinto altre persone a scendere in piazza, e così via. Se poi pensi che in certe situazioni le autorità hanno bloccato Internet, che le immagini di giornalisti attaccati dalle forze dell’ordine sono state diffuse dappertutto, la questione della libertà di espressione prende un’importanza sempre più grande. Ed è in questo ambito che comincia a svilupparsi un’idea, quella del costo di quella polizia che reprime i cittadini, costo che nelle grandi città si situa attorno ad un terzo del budget.

In una recente intervista, James Galbraith, l’economista keynesiano consigliere di Sanders spiega che la logica poliziesca si è sempre più tramutata in logica militare dopo l’undici settembre 2001, con una mentalità da stato in guerra e con armi sempre più sofisticate.

E’ vero, però il grande problema sta nel dirottamento delle risorse finanziarie devolute alla DEA, l’agenzia anti-droghe, verso la polizia. Infatti, i programmi che avrebbero dovuto, grazie alla prevenzione dei traffici, stroncare il legame «dalla scuola alla prigione»[ii], si sono ridotti a semplici programmi di repressione dei traffici e della delinquenza e della criminalità a loro connesse. È così che la polizia può beneficiare di un finanziamento eccezionale. Da qui l’esigenza che si fa sempre più viva di tagliarle i viveri. Ed è un’esigenza che incomincia a riscontrare echi talmente positivi che il sindaco di New York ne parla apertamente e quello di Los Angeles propone una riorganizzazione dei sussidi dell’ordine di 150 milioni di dollari.

In certi casi, è lo smantellamento della polizia ad essere rivendicato, come suggerito dal consiglio municipale di Minneapolis…

Anche se il sindaco di Minneapolis si è dichiarato contrario all’applicazione di questa decisione, il fatto che un’istituzione come un consiglio municipale si pronunci in favore di una misura del genere è l’espressione di una profonda crisi di direzione politica negli Stati Uniti, così come lo è la distanziamento pubblico dei capi dell’esercito e dell’ex-ministro della difesa di Trump, un falco, dalla volontà del presidente di ricorrere alla militarizzazione delle grandi città.

Appunto, si ha l’impressione che Trump faccia tutto quanto in suo potere per riaffermare l’immagine del capo inflessibile allo scopo di piacere alla sua base conservatrice, razzista e reazionaria e di compattarla.

Sì, però quello zoccolo duro di reazionari suprematisti non gli garantisce per niente la rielezione. Da qui a novembre, tutto può ancora succedere. Se delle divergenze nelle élites repubblicane appaiono oramai alla luce del sole, la cosiddetta base elettorale – quella delle fasce operaie bianche declassate dalla globalizzazione – non sono poi tanto stabilizzate. Come ho più volte avuto modo di dire, queste fasce avevano votato Obama nel 2008 e nel 2012, ma non avevano votato la Clinton nel 2016 malgrado il fatto che fra loro, molti avessero sostenuto Sanders alle primarie…

Ma, da un punto di vista sociologico, chi sono quelli che scendono in piazza?

Difficile da dirsi in assenza di dati statistici empirici. Per quanto riguarda le popolazioni degli afro discendenti, la caratterizzazione di classe è chiara dato che questa frangia della popolazione è povera. Con quaranta milioni di disoccupati, tra i quali la popolazione nera e sovra-rappresentata, è evidente che le classi subalterne sono molto presenti. Per il resto, si possono per il momento solo fare delle ipotesi, anche se però si può sperare che queste generazioni scese in piazza, in maggioranza giovani, Neri, Bianchi e latino-americani, possano fare emergere una nuova generazione militante capace di fare i legami tra povertà degli uni e ricchezza degli altri, tra posti di lavoro e remunerazione degli azionisti, tra spese per l’apparato repressivo e spese per la scuola pubblica, ad esempio. Ma si resta per il momento al livello di ipotesi nella misura in cui tarda ad emergere una direzione politica del movimento.

Cioè?

Le organizzazioni tradizionali del popolo Nero sembrano sorprese dall’esplosione del movimento e restano ligie al vecchio patto con il partito Democratico che dura dagli anni Trenta del secolo scorso, quindi molto prudenti e timorate. Per esempio, la più vecchia delle organizzazioni per i diritti civili, la National Association for the Advancement of Colored People[iii] s’è pronunciata contro l’idea di tagliare i fondi alla polizia.

Battuto nella corsa all’investitura democratica, Sanders, fedele all’impegno preso di sostenere Biden come sostenne la Clinton quattro anni fa, tace. Immaginati la dinamica che avrebbe potuto rappresentare in questo momento una possibile nomination di Sanders o una sua campagna indipendente dal partito democratico e, soprattutto, la prevalenza, nello spazio pubblico, del suo discorso malgrado resti un discorso molto, ma molto riformista…

E i Democrats socialist of America, DSA?

La sconfitta di Sanders nelle primarie li ha molto demoralizzati e subiscono la pressione dell’urgenza di sbarrare la strada a Trump, una pressione che si fa sentire anche nelle deboli organizzazioni della sinistra radicale. Quindi, la catalizzazione a livello politico del legame tra repressione, razzismo e povertà da un lato e progresso sociale dall’altro resta difficile. E non è certamente Joe Biden, il più repubblicano-compatibile dei candidati democratici, che, dalla cantina dove è tutt’ora rinchiuso, potrà farlo. Sono tutt’al più i Verdi che potrebbero giocare un ruolo in questo senso nella misura in cui presenteranno probabilmente un ticket alla presidenziale molto marcato a sinistra.

Allora? Forse che le forze sindacali…

Sono molto timide. Certo, formalmente ed ufficialmente, l’AFL-CIO sostiene le mobilitazioni di piazza, però resta ambigua nella misura in cui ha sempre tanta premura di prendere le distanze dalle violenze[iv]. Ed è un vero peccato perché la questione non si pone più per la grande maggioranza in termini di sicurezza pubblica, ma in termini di violenza poliziesca e di come combatterla. Tagliandole i fondi? L’idea sembra farsi strada…

* Intervista realizzata l’8 giugno 2020).


[i] La vittoria elettorale del Fronte popolare nel giugno del 1936 fu seguita da una storica ondata di scioperi con occupazione delle fabbriche e che permisero di ottenere, per la prima volta nella storia, una settimana di ferie pagate, i famosi «congés payés».

[ii] Il programma The War Against Drugs è stato tra l’altro pretesto per l’intensificazione del controllo sociale della popolazione vittima della delocalizzazione della produzione in particolar modo nei settori dell’automobile e della siderurgia

[iii] Fondata nel 1909, la NAACP si è fissata sin da allora lo scopo di «promuovere l’uguaglianza dei diritti e eradicare i pregiudizi razziali e di classe fra i cittadini degli Stati Uniti e promuovere gli interessi dei cittadini di colore…» ed è strettamente legata, dagli anni trenta in quà, al partito democratico.

[iv] E’ però importante rilevare delle eccezioni sul piano locale: per esempio, il sindacato del personale dell’università di Minneapolis ha preso posizione contro il razzismo mentre quello degli insegnanti della stessa città esige la rottura di un contratto che la direzione dell’insegnamento aveva firmato con la polizia per assicurare la sicurezza delle scuole elementari.

Print Friendly, PDF & Email