Pubblichiamo questo testo dei compagni di Sinistra Anticapitalista di Genova dedicato alle vicende (e soluzioni) della rete autostradale italiana. Esso è interessante, al di là del giudizio fortemente critico sull’esito della vicenda, perché richiama vicende del passato. Ed in particolare il contributo di tutta la filiera socialdemocratica (sfociata poi nell’attuale PD) al processo di privatizzazione della rete autostradale, con quell’iniziale vendita da parte del governo D’Alema del 31% ai Benetton. Un governo, quello di D’Alema, che si caratterizzò come il governo che più incise nel processo di privatizzazione delle aziende pubbliche (TIM, etc.). Un governo e un partito al quale guardavano con grande simpatia e partecipazione anche i social-liberali (e non solo quelli) in Ticino. (Red)
Da molti anni la rete autostradale italiana versa in condizioni pessime: ponti e gallerie a rischio crollo, scarsa e scadente il livello della manutenzione, mancanza di cartellonistica o di zone di sosta in molti tratti, e tutto ciò nonostante le tariffe molto elevate. Solo in Liguria vi sarebbero una decina di ponti e una 50ina di gallerie a rischio crollo; lo sanno bene i cittadini liguri che da due mesi affrontano disagi quotidiani per i cantieri in corso, avviati dopo le ispezioni della Procura a seguito della tragedia del Morandi, e delle numerose segnalazioni dei cittadini-utenti.
Per capire come sia stato possibile arrivare a questa pessima situazione, occorre ricordare brevemente la vicenda della sciagurata privatizzazione di Autostrade Spa (poi divenuta Autostrade per l’ Italia-Aspi).(1)
In sintesi. Marzo 2000: il governo D’ Alema decide di vendere ai Benetton il 30% di Autostrade Spa (già quotata in Borsa nel 1986 dall’ IRI, presidente Romano Prodi) per l’ equivalente di 2,5 miliardi di euro (4870 miliardi di lire); dopo soli quattro anni i Benetton salgono al 50,1% delle azioni, avendo già recuperato la metà di quanto pagato all’ IRI, con un guadagno di 6 volte sul valore iniziale delle azioni.
Un’ operazione commerciale irrazionale poiché si trattava di un settore a monopolio naturale e senza bisogno di particolari investimenti in know-how, ma solo di manutenzioni costanti e di investimenti minimi per l’ adeguamento della rete (3 mila km complessivi). Perfino il Telepass era già stato sviluppato ai tempi dell’ IRI.
Da quando è stata privatizzata la società ha distribuito (dati al 2018) ben 11 miliardi di dividendi e ha ancora davanti a sé 22 anni di concessione (fino al 2042). Tutto ciò è stato possibile grazie al meccanismo della tariffazione basata sui costi medi invece che su quelli marginali. Tradotto, significa che gli utenti pagano anche i costi di investimento e non solo i costi di esercizio (come avviene per le Ferrovie). E ciò grazie ai pedaggi e agli indennizzi di subentro (risarcimenti per opere infrastrutturali realizzate dal concessionario che vengono rimborsati con i futuri pedaggi) stabiliti in convenzioni e piani finanziari che fino a poco tempo fa erano segretati; e prorogati più volte negli anni, sotto diversi governi: nel 2002 con ministro alle Infrastrutture Lunardi (governo Berlusconi), nel 2007 con il ministro Di Pietro (governo Prodi), e nel 2017 con il ministro Del Rio (governo Renzi).
Infine, come la vicenda del ponte Morandi ha dimostrato, per aumentare i profitti Aspi ha costantemente risparmiato sulle spese di manutenzione infrastrutturale, con più che fondati dubbi sulla complicità dei controllori (ANAS e Ministero) rei di firmare falsi report, con annesse mazzette o regalie varie; in alcuni casi alcuni tecnici del Ministero sono stati cooptati nei vari cda locali di Aspi.
Da tutto ciò si capisce l’ enormità del furto subito dagli utenti delle autostrade italiane in più di 20 anni di privatizzazione e le varie complicità politiche e istituzionali, a più livelli. E quanto fosse indispensabile farla finita col regime concessionario, per evitarci altri 22 anni di patimenti e disservizi. Cosa che non avverrà affatto con la recente (16 Luglio) soluzione trovata dal governo.
Infatti, dopo mesi di stallo per le numerose divisioni interne al governo Conte2 e per la minaccia dei Benetton di licenziare parte dei 7 mila dipendenti, bloccare gli investimenti in Italia e di far causa allo Stato, si è giunti alla scelta della public company: in pratica, Cassa depositi e prestiti (Cdp) (2) investirà -entro fine anno- 4-5 miliardi di euro pubblici per acquisire la maggioranza delle azioni di Aspi (dal 33% fino ad un max del 51%). Una operazione transitoria che durerà al max 12 mesi, dopo di ciò le azioni di Aspi verranno rimesse sul mercato ed Aspi verrà separata da Atlantia (la holding dei Benetton che controlla l’ 88% di Autostrade). A quel punto, i Benetton potranno decidere se restare con una quota di minoranza (circa il 12%) oppure uscire completamente.
A quel punto, i Benetton potranno decidere se restare con una quota di minoranza (circa il 12%) oppure uscire completamente da Aspi -nel giro di un anno- senza contenziosi legali.
Infine, si parla di ridurre le tariffe autostradali di almeno il 5%, aumentare gli investimenti in manutenzioni e alzare i risarcimenti per i parenti delle 43 vittime della tragedia del Morandi, e di aumentare il contributo economico per la costruzione del nuovo ponte di Genova, ormai terminato. In totale, si parla di 18 miliardi di euro, totalmente a carico del la nuova Aspi, con Cdp azionista di maggioranza.
Per tutto ciò, riteniamo che la soluzione della public company sia una mastodontica truffa ai danni dei cittadini italiani, perché: non si mette fine alla privatizzazione di Autostrade che viene solo rinviata di 12 mesi (e già ci sono nuovi possibili predatori-privati interessati a comprarne le azioni); perchè si usano soldi pubblici (tramite Cdp) per risanare l’ azienda, risarcire le vittime del Morandi, e per finanziare le necessarie ed urgenti opere di manutenzione senza nessun vantaggio per la collettività nel lungo periodo, e senza pretendere un euro dai Benetton che -anzi- potranno guadagnarci miliardi attraverso la vendita delle proprie azioni, e senza conseguenze penali per la loro gestione sciagurata e criminale di questi vent’ anni. Al di là delle notizie ufficiali e dei commenti di facciata, la contropartita è proprio questa: soldi pubblici per risanare i danni prodotti dai Benetton, grandi finanziatori di partiti politici di centrodestra e centrosinistra. Non a caso, dal giorno dopo il titolo di Atlantia è salito in Borsa.
Per noi, è tempo di farla finita per sempre con la privatizzazione di Autostrade e di evitare qualunque tipo di indennizzo per i Benetton. Rivendichiamo -perciò- la statalizzazione e l’ esproprio dell’ intera rete autostradale, e una gestione democratica e trasparente attraverso un organismo di rappresentanza plurale (per esempio: composto da delegati del Ministero, di tecnici-esperti del settore, dei lavoratori e dei cittadini-utenti). Nell’ interesse collettivo e non per il profitto di pochi.
Si tratta di una rivendicazione che per essere attuata e finanziata richiede l’ introduzione della patrimoniale sulle grandi ricchezze e una lotta massiccia all’ evasione fiscale (che ogni anno supera i 120 mld di euro) e la costruzione di un fronte politico unitario formato da organizzazioni politiche, sindacati, collettivi, associazioni e comitati vari che condividono queste rivendicazioni.
Note:
(1) Fonte: il libro “La svendita di autostrade” (PaperFirst, 2020) di Giorgio Ragazzi, esperto di economia autostradale, dove si racconta -nei minimi dettagli- l’ intera vicenda della privatizzazione.
(2) Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) è un ente controllato dal Ministero dello sviluppo economico (Mise) e gestisce il risparmio postale degli italiani (un totale di circa 265 miliardi di euro). Dal 2003 è stato trasformato in una società per azioni, quotata in Borsa.